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    NCAA maschile: derby californiano per il titolo tra UCLA e Long Beach

    Sarà la finale più attesa e spettacolare a chiudere il campionato di Division I della NCAA maschile: nella notte italiana tra sabato 4 e domenica 5 maggio, alla Walter Pyramid, si affronteranno per il titolo i padroni di casa di Long Beach, testa di serie numero 2, e i campioni uscenti di UCLA, numero 1 del seeding. Si rinnova così un duello tutto californiano vissuto per la prima volta nella storica edizione d’apertura del campionato, nel 1970, e poi nuovamente nel 2018: il bilancio è di una vittoria a testa. UCLA, tornata al successo nel 2023 dopo un digiuno di 17 anni, è di gran lunga la formazione più titolata della Division I con 20 successi, mentre Long Beach ha vinto “solo” tre volte, ma le ultime affermazioni sono più recenti (2018 e 2019).

    Nei quarti di finale UCLA, allenata dal CT della nazionale maschile John Speraw, ha disposto facilmente di Fort Valley, superata con un netto 3-0 (25-14, 25-15, 25-15); ben altre le difficoltà incontrate in semifinale contro Irvine, che si è arresa soltanto sul 3-2 (22-25, 25-20, 25-16, 18-25, 15-12) dopo avere a sua volta battuto per 3-0 Penn State. Percorso identico per Long Beach, che prima ha trionfato per 3-0 su Belmont Abbey (25-18, 25-14, 25-11) e poi ha avuto bisogno di una grande rimonta dallo 0-2 per aver ragione al tie break di Grand Canyon (24-26, 26-28, 25-18, 25-23, 15-10), che aveva eliminato Ohio State in tre set.

    (fonte: NCAA) LEGGI TUTTO

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    NCAA maschile: playoff al via, tutti a caccia di UCLA

    Prenderanno il via nella serata italiana i playoff di NCAA maschile, atto conclusivo del massimo campionato universitario USA. Come da tradizione la competizione è molto più contenuta rispetto a quella femminile, con sole 8 squadre partecipanti, e si svolge interamente all’arena Walter Piramid di Long Beach (California).

    La grande favorita per il titolo è ancora UCLA, vittoriosa nel 2023 dopo 17 stagioni di digiuno e anche quest’anno numero uno del seeding. Nel primo quarto di finale, alle 20 italiane, i Bruins sfideranno Fort Valley (Georgia), per poi trovarsi di fronte eventualmente una tra UC Irvine e Penn State, protagoniste del secondo scontro alle 22. Dall’altra parte del tabellone i padroni di casa di Long Beach, semifinalisti un anno fa, iniziano il loro cammino alla mezzanotte italiana contro Belmont Abbey, mentre la testa di serie numero 3 Grand Canyon chiude il programma alle 2 di notte affrontando Ohio State.

    Le semifinali si disputeranno nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 maggio, a mezzanotte e 30 e alle 3.30, mentre la finale per il titolo è prevista alle 5 del mattino sabato 4 maggio.

    (fonte: NCAA) LEGGI TUTTO

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    Merritt Beason, stella di Nebraska: “Bello essere parte di un’evoluzione del ruolo di opposta”

    Pur non avendo le prerogative di avanguardia dal punto di vista tecnico-tattico, il campionato NCAA femminile fornisce sempre dei buoni motivi per essere seguito. Un po’ perché è il primo banco di prova per le giocatrici del Team USA del futuro, e la loro evoluzione attira molto interesse; un po’ per la grande tradizione all’interno di ogni ateneo, con i suoi miti e le sue peculiarità; un po’ perché sì, la pallavolo non sarà al livello di quella dei campionati professionistici, ma di sicuro è intensa ed emozionante. Senza contare che l’atmosfera dentro e fuori dal campo è unica.

    Perciò, abbiamo deciso di portarvi alla scoperta di una delle grandi protagoniste della fall season 2023: l’opposta Merritt Beason, che con le Nebraska Huskers si è guadagnata la luce dei riflettori grazie a prestazioni da urlo, riconoscimenti degni di nota (All-America First Team, Region Player of the Year, All-Region Team, All-Big Ten First Team) e numeri da leader.

    Foto Nebraska Huskers

    Merritt, per cominciare raccontaci qualcosa di te e di come ti sei appassionata alla pallavolo.

    “Mi chiamo Merritt Beason e sono originaria di una piccola città dell’Alabama chiamata Gardendale. Nel sud degli Stati Uniti il football è lo sport più popolare e tutto ruota intorno ad esso. Così, arrivata in prima media, dopo aver smesso di praticare ginnastica artistica perché ero diventata troppo alta, mi sono ritrovata a scegliere quale percorso sportivo intraprendere. Ero indecisa se diventare una cheerleader o fare qualcos’altro. Nel frattempo, ero venuta a sapere che un’amica di famiglia della mia età giocava a pallavolo e aveva preso parte a qualche piccolo torneo. Ne abbiamo parlato con lei e alla fine ho deciso di iscrivermi a un campionato per ragazzine. È così che è iniziato il mio percorso pallavolistico“.

    Dagli inizi in Alabama al college. Come mai dopo due solide stagioni con le Florida Gators hai deciso di trasferirti in Nebraska? Quali erano le altre opzioni?

    “Quando ero nel cosiddetto ‘transfer portal’, le mie prime tre opzioni erano Nebraska, Wisconsin e Auburn. Ovviamente Nebraska e Wisconsin offrivano cose diverse rispetto ad Auburn, ma erano anche più distanti da casa. Trovavo interessanti tutti e tre le possibilità e penso che sarei stata felice allo stesso modo se fossi finita altrove; alla fine, però, ho scelto la University of Nebraska perché non appena sono entrata nel campus mi sono sentita a casa. Poi Lincoln mi ricorda molto Birmingham, che è la città principale più vicina a Gardendale: anche questa somiglianza mi ha fatto sentire come a casa.

    Inoltre, in precedenza ero stata in nazionale con Lexi (Rodriguez, n.d.r.) e Bekka (Allick, n.d.r.) e avevo avuto l’occasione di vedere come giocavano, come facevano squadra e quanto erano motivate; in questo modo mi ero fatta un’idea più precisa di come fosse il programma. Siccome era una decisione importante, poi ho avuto un colloquio con coach Cook e il suo staff. Quando hanno espresso chiaramente che si sarebbero presi cura di me più come persona che come atleta, ho capito che Nebraska sarebbe stata la scelta migliore“.

    Dopo aver vinto la Big Ten Conference, Nebraska si è dovuta arrendere nella finale del campionato NCAA contro le Texas Longhorns. Ci racconti com’è andata la fall season 2023?

    “Senza dubbio la stagione 2023 è stata speciale e credo che a renderla tale sia stata soprattutto la forza del gruppo. Quando 14 ragazze formano una squadra, può succedere di imbattersi in diverse problematiche, ma alla fine ognuna di noi ha sempre voluto il meglio per le persone che aveva accanto: l’altruismo è proprio la caratteristica che ha portato in alto questa squadra. Ovviamente sapevamo di essere forti, ma non avremmo mai immaginato di poter essere così brave. Dunque, per noi all’inizio è stato fondamentale incentivare la chimica del gruppo, lavorare sodo ogni giorno e coltivare il desiderio di spingerci il più lontano possibile. Una volta che la stagione è entrata nel vivo, ci siamo rese conto di essere una buona squadra, e questa cosa ci ha motivato ancora di più, alimentando la nostra curiosità riguardo al percorso che potevamo fare insieme“.

    Foto Nebraska Huskers

    In che modo la prima stagione in Nebraska ha contribuito alla tua crescita?

    “Penso che siano migliorati molti aspetti del mio gioco. Una crescita che non si limita alle abilità ma che riguarda anche la capacità di divertirsi in campo. Mai come in questa stagione in Nebraska sono riuscita a divertirmi giocando a pallavolo, e questo per me è molto significativo. Inoltre, mi hanno aiutato a crescere come persona e come leader“.

    Durante l’ultima stagione hai preso parte al “Volleyball Day”, un momento che ha scritto la storia dello sport femminile a livello mondiale: erano ben 92.003 gli spettatori presenti (battuto ogni record) alla vostra partita contro Omaha. Che esperienza è stata?

    “È stato fantastico! Sono passati più di 5 mesi e ancora faccio fatica a esprimere a parole quello che ho vissuto. Penso che sia stato speciale, quasi surreale, per noi essere protagoniste di un evento così importante per lo sport femminile. Tante ragazzine ci hanno seguito e hanno pensato: ‘Anche noi possiamo farlo; anche noi potremmo essere lì un giorno’. Un evento come il ‘Volleyball Day’ ha dunque un significato più profondo. E credo che lo sport femminile non avrebbe potuto chiedere di meglio“.

    Amie Just (giornalista del Lincoln Journal Star) ha detto di te: “È impossibile immaginare questa squadra senza Beason. Lei è il collante che tiene insieme le Huskers”. Cosa pensi di aver dato a Nebraska quest’anno?

    “Penso di aver disputato una buona stagione, ma so bene di non aver ancora espresso tutto il mio potenziale. Ne ho parlato con l’allenatore proprio in questi giorni. Ci sono diverse cose su cui voglio lavorare e tanti aspetti del mio gioco che posso migliorare. Questa off-season e il prossimo campionato saranno importanti per me, soprattutto per vedere in quali aspetti riuscirò a crescere ulteriormente e dove riuscirò ad apportare piccoli cambiamenti che possono alzare il livello del mio gioco.

    Riguardo all’ultima stagione, ho messo a disposizione della squadra il mio bagaglio di conoscenze pallavolistiche e la mia leadership, e come ho detto in precedenza mi sono focalizzata sulle relazioni. Ero consapevole che, se fossi riuscita a creare legami solidi con le compagne e capire fino in fondo coloro che stavano al mio fianco, avrei potuto tirare fuori il meglio dall’intera squadra. Ovviamente questo meccanismo vale anche nei miei confronti. Dunque, nell’ultima stagione ho cercato di capire come lavorano le mie compagne, di cosa hanno bisogno da me in determinate situazioni e come possiamo lavorare insieme. Ho rivolto il mio focus su tutte queste cose“.

    Come ti descriveresti come opposta? C’è qualche giocatrice professionista che ammiri o a cui pensi di assomigliare?

    “Quando era più piccola mio padre era solito accostarmi a Jacqueline Quade, ex schiacciatrice di Illinois. Tuttavia, colei che ammiro di più è Jordan Thompson: per me è sempre un piacere vederla giocare e rappresenta un punto di riferimento importante per chi ricopre il mio ruolo in campo. Penso che sia speciale, soprattutto a livello universitario, per un opposto saper giocare in ogni rotazione con grande versatilità. e che nella pallavolo femminile questo aspetto del gioco si stia evolvendo. Al liceo non giocavo da opposta, quindi ho dovuto trovare un modo per apprezzare questo ruolo e, una volta superata la fase di apprendistato legata al fatto di essere destrorsa, ho imparato ad amarlo. È bello essere parte di questo processo di evoluzione del ruolo di opposto“.

    Foto Nebraska Huskers

    Qual è il miglior consiglio che hai ricevuto da una leggenda del coaching NCAA come John Cook e dal suo staff (formato da Jaylen Reyes, Kelly Hunter e Jordan Larson)?

    “Sicuramente ho ricevuto un sacco di consigli e insegnamenti nell’ultima stagione, ma in generale penso che i più importanti riguardano come essere una buona compagna di squadra e una grande leader, cosa posso fare nei momenti positivi e in quelli negativi, e quali sono le piccole cose che favoriscono la crescita del team“.

    La filosofia di coach Cook può essere riassunta dall’espressione “Dream Big” (sogna in grande). Dunque, ti chiedo: quali sono i tuoi sogni per il futuro?

    “Sto ancora cercando di capire bene cosa fare. Ci sono un sacco di sogni e obiettivi diversi che sto cercando di perseguire. Il mio desiderio è di giocare da professionista. Non so ancora per quanto tempo, ma sicuramente è qualcosa a cui aspiro e non vedo l’ora di scoprire quali porte si apriranno per me da questo punto di vista. Successivamente mi piacerebbe fare qualcosa nell’ambito della pallavolo: ho già in mente qualche progetto che può aiutare questo sport a crescere nel sud degli Stati Uniti, in particolare in Alabama“.

    Quando un giorno smetterai di giocare e guarderai la tua carriera in retrospettiva, per cosa vorresti essere ricordata?

    “Non ho dubbi sulla risposta a questa domanda. Non voglio essere ricordata per i premi che ho vinto, per quanto punti ho messo a segno o cose del genere. Per me la priorità è sempre stata quella di mostrare che tipo di persona e compagna di squadra sono. Perciò, spero che il giorno in cui appenderò le ginocchiere al chiodo potrò guardarmi indietro e vedere che effettivamente sono riuscita ad avere un impatto – più o meno grande – sulle mie compagne. È per questo che vorrei essere ricordata. Ritengo che l’aspetto relazionale sia molto più importante dei premi e dei trofei vinti“.

    di Alessandro Garotta LEGGI TUTTO

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    USC regina del campionato NCAA per il secondo anno consecutivo

    Di Redazione La testa di serie numero uno del campionato NCAA di Beach Volley femminile, la USC (University of Southern California), si è assicurata domenica 8 maggio il secondo titolo nazionale consecutivo, il quinto titolo nella storia del programma universitario. Contro le californiane, che hanno chiuso la stagione con uno straordinario record di 37 vittorie e una sola sconfitta, nulla ha potuto la numero 4 del ranking Florida State (33-11), che ha ceduto in finale per 3-1. Protagonista indiscussa delle finali nazionali la lettone Tina Graudina, quarta alle olimpiadi di Tokyo. Foto USC Beach Per la seconda stagione consecutiva, la Loyola Marimount University di Reka Orsi-Toth ha concluso la sua stagione come una delle migliori squadre del campionato statunitense. Le Lions hanno aperto le danze sabato scorso con una importante vittoria su Georgia State, arrendendosi solamente di fronte alla finalista Florida State. LMU ha quindi concluso la stagione tra le top 4, risultato storico e ampiamente soddisfacente. Reka rientrerà presto in Italia per disputare numerose comeptizioni internazionali al fianco della sorella Viktoria. Stagione decisamente positiva anche per le italiane Pratesi, Bianchi e Mancinelli, che si sono affermate come capisaldi di Long Beach State e Florida International University. Una lunga estate sulla sabbia è in programma per Alice Pratesi, ormai veterana del campionato italiano e vincitrice di diverse tappe IBVC. Il Beach Pro Tour internazionale è invece pronto ad accogliere la coppia di punta spagnola formata da Alvarez-Moreno, duo che rappresenta la colonna portante della Texas Christian University, a sua volta presente alle NCAA Finals. LEGGI TUTTO

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    Beach Volley NCAA: Orsi Toth e Bianchi nel team All-American

    Di Redazione Al termine della fase di conference del campionato NCAA di Beach Volley femminile, ben due giocatrici italiane sono entrate nel team All-American, la squadra ideale del torneo. Dopo Federica Frasca e Margherita Bianchin, le prime italiane del beach a vincere questo riconoscimento, arriva anche il turno di Reka Orsi Toth (Loyola Marymount University) e Giada Bianchi (Florida International University). “Quest’anno ho fatto un grande passo avanti per quanto riguarda la mia crescita personale – ci spiega Reka, inserita nel first team All-American – credo che l’essermi prefissata degli obiettivi, collettivi e individuali, durante la preseason mi abbia tenuta ‘sul pezzo’ durante tutta la stagione“. Quest’ anno il primo round delle NCAA Finals sarà ad eliminazione diretta e per questo la LMU, fresca vincitrice della West Coast Conference, basa la filosofia del team su un approccio molto pragmatico: “Sarà molto importante essere presenti nel momento giusto, nonostante le distrazioni e le pressioni che normalmente si creano in eventi importanti come questo“. Grande soddisfazione anche per l’altra italiana Giada Bianchi, che entra a far parte del second team All-American. Nonostante FIU sia la grande assente di queste NCAA finals, Bianchi e Mancinelli hanno disputato la conference USA in modo sorprendente, cedendo solamente in finale contro Georgia State, e Giada è stata eletta tra le MVP del torneo. Sconfitta con onore per la Long Beach State University, dove milita Alice Pratesi. “The Beach” si arrende nella semifinale della Big West Conference disputatasi contro la favorita Hawai’i, università che ha poi vinto la finale e affronterà proprio la LMU di Orsi Toth nel primo round delle finali nazionali. Stagione da incorniciare per Pratesi, divenuta negli anni giocatrice di punta della LBSU. Grande vittoria per Carolina Ferraris, l’italo-brasiliana arruolata da Stetson e protagonista di diverse tappe del Campionato Italiano e vari eventi con la canotta dell’Italia. Ferraris e compagne hanno vinto la ASUN Conference e affronteranno UCLA (University of California, Los Angeles) nel primo round delle NCAA finals. LEGGI TUTTO

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    Airi Miyabe: da Osaka a Minneapolis… e ritorno, nel segno del volley

    Di Alessandro Garotta Tra Osaka, da dove proviene Airi Miyabe, e Minneapolis, sede della University of Minnesota, ci sono circa 9.900 chilometri di distanza in linea d’aria e, se esistesse un volo diretto a collegarle, il viaggio durerebbe più di 12 ore. Soprattutto, a separare la città giapponese da quella statunitense c’è un oceano enorme, il più grande al mondo. La giovane schiacciatrice, che recentemente ha terminato la sua esperienza in NCAA, lo sa, così come sa che l’oceano fra le due sponde del Pacifico non è solo geografico.  Infatti, non è facile adattarsi a un nuovo paese, a una cultura diversa. Cambiano tante cose. A volte, tutto. I suoni delle parole, gli odori della cucina, i piccoli gesti quotidiani, il modo in cui il sole avvolge le giornate o, magari, sembra scomparire del tutto. E poi ci sono le cose pratiche (a partire dalla lingua) e quelle legate alla pallavolo. Eppure Miyabe è riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si sono presentati dinanzi e ora è finalmente pronta a tornare in Giappone per intraprendere il suo percorso da professionista – come ha raccontato in un’intervista esclusiva a Volley NEWS. Foto University of Minnesota Per iniziare, parlaci un po’ di te – le tue origini, la tua storia, i tuoi interessi. “Il mio nome è Airi Miyabe. Sono nata in Giappone da mamma nipponica e papà nigeriano; ho anche una sorella, che come me gioca a pallavolo. Da piccola amavo leggere e disegnare, mentre non mi piaceva giocare all’aria aperta. La mia famiglia non è il prototipo di ‘famiglia sportiva’, visto che i miei genitori lavorano nella moda, un settore che ha sempre attratto il mio interesse. Ora si capisce meglio perché da bambina preferivo stare in casa piuttosto che uscire a giocare. A livello scolastico ho seguito un percorso classico, in parallelo alla mia carriera sportiva. Tuttavia, dopo il diploma alla scuola superiore, ho coronato il sogno di andare a studiare e giocare negli Stati Uniti: prima ho frequentato un junior college in una piccola città dell’Idaho e poi mi sono trasferita alla University of Minnesota, dove mi laureerò tra poche settimane!“. Come è nata la tua passione per la pallavolo? “Ho iniziato a giocare quando avevo otto anni. Un’amica mi chiese di dare una mano alla sua squadra perché non c’era un numero di giocatrici sufficiente per la partita in programma quattro giorni dopo. Onestamente non volevo giocare a pallavolo, ma non potevo dirle di no. Così, accettai pensando di prendere parte giusto a un allenamento e a una partita. In realtà, poi per non mettere in difficoltà la squadra andai avanti a giocare… E ora eccomi qua: sto per intraprendere la mia carriera da professionista!“. Foto Instagram Airi Miyabe “Should I stay or should I go?“. Davanti al grande dilemma della tua carriera sportiva hai scelto di andare a giocare negli USA. Come mai? “Ho affrontato questo dilemma due volte. Nella prima occasione ero al penultimo anno di liceo e parlai con i miei allenatori dell’intenzione di andare negli Stati Uniti a giocare e diplomarmi. Nessuno era d’accordo, tranne i miei genitori. Anzi, mi risposero di non illudermi e che potevo aspirare a qualcosa di meglio. Così, piansi lacrime amare: non c’era altro che potessi fare… Affrontai di nuovo quel dilemma un paio di mesi dopo essermi diplomata ed andò diversamente, nonostante che ancora una volta l’allenatore e altre persone avessero cercato di convincermi a non andare via. Infatti, piansi di nuovo, ma a differenza della volta precedente decisi di lasciare il Giappone. Non ero del tutto felice, perché non avevo la garanzia che il mio percorso all’estero sarebbe stato un successo. Però, perché non provarci? Sarei andata in un posto dove nessuno mi conosceva o aveva aspettative smisurate su di me… Potevo essere semplicemente Airi. E soprattutto, volevo tornare a divertirmi quando giocavo a pallavolo“. In quali aspetti sei maggiormente migliorata nel tuo percorso al college? “Onestamente, sono migliorata più nella comunicazione che nel gioco: da straniera che non parlava la stessa lingua del resto della squadra, all’inizio era complicato comunicare in modo chiaro con le mie compagne, soprattutto in partita. Inoltre, ho imparato a gestire le mie emozioni al di fuori della mia comfort zone. Perciò, posso dire che, specialmente ad Idaho, sono cresciuta come persona e dal punto di vista mentale“. Foto Instagram Airi Miyabe Quanto sono state importanti per te le esperienze al Southern Idaho College e alla University of Minnesota? “Il Southern Idaho College è stato il luogo che mi ha ricordato quanto la pallavolo fosse divertente. E il primo posto degli Stati Uniti che ho potuto chiamare ‘casa’. Inoltre, l’incontro con Heidi e Jim mi ha davvero svoltato la carriera. Heidi era l’allenatrice nella mia prima stagione; purtroppo, poi è venuta a mancare ed è stata sostituita da Jim, suo marito e precedentemente vice-allenatore. Sono stati loro ad insegnarmi ad amare gli altri e a battersi per la propria gente. Per quanto riguarda la University of Minnesota, non posso che sottolineare quanto abbia apprezzato questa esperienza, che mi ha aiutato a diventare una persona e una giocatrice migliore. Devo ammettere che sono stati anni molto belli, ma anche difficili. Infatti, non mi era mai capitato di piangere in allenamento perché insoddisfatta: tutte le giocatrici qui sono davvero forti e talentuose, e qualche volta è capitato che l’autostima non fosse al massimo. Però, è stata proprio questa dinamica a farmi crescere e a rendermi migliore. E ovviamente sono stati importanti anche gli allenatori, che non hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Perciò, nel complesso, darei un voto molto positivo ai miei cinque anni negli Stati Uniti: venire qui è stata la miglior decisione che abbia mai preso!“. Quali sono stati gli ostacoli più grandi che hai dovuto affrontare negli USA? “Come accennato prima, direi che la barriera linguistica è stata senza dubbio l’ostacolo più grande. Per superarla ho dovuto accettare di sbagliare ed essere ‘vulnerabile’. È stato davvero l’unico modo per poterne uscire. Un’altra difficoltà ha riguardato come comunicare agli altri il mio stato d’animo o le mie opinioni. Infatti, i giapponesi spesso sono troppo cordiali e tendono a non dire quello che pensano realmente perché non vogliono ferire i sentimenti altrui; ecco, negli Stati Uniti non funziona così. Perciò, ho lavorato molto su questo aspetto e ancora oggi sto cercando di migliorarlo“. Foto Instagram Airi Miyabe Nella stagione 2022-2023 inizierà un nuovo capitolo della tua carriera: quello da professionista. Quali sono le tue aspettative? “Onestamente, non so bene cosa aspettarmi. Sono eccitata per la nuova avventura ma allo stesso tempo nervosa: è una sensazione mista. Ho giocato negli Stati Uniti, dove la cultura sportiva è diversa, quindi sono un po’ spaventata per come sarò vista dalla gente. Inoltre, ho notato che negli ultimi cinque anni ci sono stati molti cambiamenti nel modo in cui interagisco e comunico in campo. Questo perché cinque anni è un intervallo di tempo lungo. Dunque, c’è un po’ di preoccupazione per lo shock culturale che affronterò tornando in Giappone… È anche vero, però, che sarò vicino alla mia famiglia e finalmente i miei cari avranno l’opportunità di vedermi giocare dal vivo: questo mi rende molto felice“. Come ti descriveresti come giocatrice? Hai un modello di riferimento in particolare? “Sono una giocatrice che porta energia positiva al proprio team. Magari, non sarò la più forte o quella di cui si parla di più, ma farei qualsiasi cosa per portare a casa il punto successivo o la partita. Posso giocare da opposto, da posto 4, come ricettrice, o essere una buona compagna di squadra. So bene che a volte non è facile gestire la competizione interna, ma darei qualsiasi cosa per trasmettere energia positiva e fare il massimo per la squadra, e non solo per me stessa. Non c’è una giocatrice che ammiro o considero come un modello soprattutto perché non mi interessa essere la copia di qualcuno, dentro o fuori dal campo“. Quali sono i tuoi sogni e obiettivi come giocatrice? “Non ho ancora individuato un obiettivo specifico, ma di sicuro mi piacerebbe andare a giocare all’estero! Al momento sono concentrata sulla mia tesi di laurea; poi, quest’estate, farò parte del roster della nazionale giapponese“. Una giovanissima Miyabe in campo contro l’Italia nel 2015 – Foto FIVB Il termine “hafu” – in italiano “metà” – si riferisce alle persone che hanno solo un genitore giapponese e in generale si usa per indicare la comunità multietnica in Giappone. Perché è così difficile essere “hafu”? Ti sono mai capitati episodi di discriminazione? “Ho parlato proprio di questo argomento nella mia prima tesi di laurea! Non è assolutamente facile essere ‘hafu’ e il termine stesso rivela che esiste una questione sociale. Quando viene usato ‘hafu’ in riferimento a noi della comunità birazziale, abbiamo la sensazione che vogliano ricordarci che non siamo completamente giapponesi, e quindi siamo gli ‘esclusi’. Qualcuno potrebbe ribattere dicendo che il significato reale del termine non è esattamente quello o quando è stato coniato non ci hanno pensato troppo, ma il problema del nostro paese è proprio questo! Le persone sono davvero poco consapevoli delle questioni etniche e religiose, e preferiscono non informarsi rifugiandosi nella formula ‘non sapevo che’. Personalmente, sono sempre stata presa in giro per il colore della mia pelle, i capelli e l’altezza. E sono certa che purtroppo questo tipo di razzismo, discriminazione e maltrattamento mi capiterà di nuovo quando tornerò in Giappone“. Eppure ci sono tante star dello sport nella comunità birazziale giapponese: dalla tennista Naomi Osaka al cestista dei Washington Wizards Rui Hachimura, dal pitcher dei Chicago Cubs Yu Darvish all’oro olimpico nel lancio del martello Koji Murofushi. Dunque, cosa può fare lo sport per superare le disuguaglianze sociali? “Prendere posizione, condividere la propria esperienza e cercare di sensibilizzare il Giappone alla tematica del razzismo: questo deve essere il primo passo. So cosa vuol dire sentirsi esclusi e avere difficoltà a sentirsi amati. Quindi, continuerò ad approfondire lo studio di questa tematica per averne una migliore comprensione, e un giorno spero di diventare un modello da ammirare per tutti gli atleti birazziali. Mi piacerebbe aiutarli a trovare un modo per amare se stessi perché è molto più difficile di quello che si possa pensare… Insomma, vorrei trasmettere loro una maggiore consapevolezza di quanto ognuno di noi è speciale!“. LEGGI TUTTO

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    NAIA maschile: Grand View University vince la Heart Conference

    Di Redazione Grande successo per la Grand View University nel campionato NAIA maschile, uno dei principali tornei universitari degli USA: la squadra del veronese Leonardo Annichini, partita con il numero uno del ranking, si è aggiudicata nello scorso weekend la Heart Conference. I vichinghi hanno spazzato via la testa di serie numero 2, la William Penn University, con punteggi di 25-22, 25-18 e 25-23. A mettere in discussione il primato di Grand View è stata solamente la Missouri Baptist (#13) di Francesco Michelini e Daniel Borsi. La semifinale si è protratta per cinque set e la squadra di Annichini l’ha chiusa con punteggi di 25-19, 21-25, 20-25, 25-20 e 15-12. A Leonardo e compagni, oltre che festeggiare meritatamente, non resta che prepararsi per le finali nazionali NAIA, che si svolgeranno a West Des Moines, Iowa, dal 12 al 16 aprile. Non è bastata l’ottima performance di Luciano Bucci (34 assist e 7 digs): la sua Park University è caduta proprio per mano della William Penn University, squadra che ha disputato poi la finale. La serie di 4 vittorie consecutive è stata quindi interrotta, ma il bilancio stagionale resta molto positivo. Park ha un record generale di 20 vittorie e 6 sconfitte (15-5 nella conference) e grazie al suo ranking a livello nazionale potrà accedere a sua volta alle Finali Nazionali. La Warner University (record 13-7) di Tomas Di Costanzo è arrivata fino alle semifinali della Mid-South Conference. I Royals hanno ceduto per 3-2 a Georgetown University (record 26-5). Questi i parziali: 16-25, 34-32, 25-20, 20-25, 9-15.  Niente da fare per Filippo Meoni e la sua Vanguard University. La Master University, testa di serie numero 4, riesce a spuntarla in cinque set nelle semifinali del torneo della Golden State Athletic Conference (24-26, 25-23, 17-25, 25-16, 15-9). I Lions però avranno una possibilità di rivalsa in quanto anche loro hanno ottenuto la wild card e saranno tra le 12 squadre in azione nelle finali del campionato NAIA.  LEGGI TUTTO

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    NCAA femminile: weekend da incorniciare per Giada Bianchi e Rachele Mancinelli

    Di Redazione Grande weekend per Giada Bianchi e Rachele Mancinelli nel campionato NCAA di Beach Volley femminile. La Florida International University (ranking #19) si è tolta qualche sassolino dalla scarpa, battendo allo Stetson Beach Bash la numero 10 Florida Atlantic (3-2). Poche ore dopo, Mancinelli e compagne hanno nettamente superato la squadra ospitante Stetson (#18) con un netto 5-0. Ma non è finita qui: nemmeno Georgia State University (#13) è riuscita a domare le “Panthers” di Miami, cedendo per 3-2. L’ultima vittoria su una squadra top 10 risaliva all’anno scorso, quando le Panthers erano riuscite a battere Florida State. FIU (record 15-1) può quindi tornare a sorridere e ad avanzare nel ranking nazionale. La numero 15 del ranking AVCA, Long Beach State (record 7-9), ha vinto tre dei 4 scontri disputati al Big West Challenge. L’unica sconfitta è arrivata contro Hawai’i, ma non senza lottare: LBSU è riuscita a impensierire la numero 9 del ranking nazionale cedendo solamente per 2-3. Grazie alle 5 vittorie totali ottenute tra sabato e domenica, per questa settimana, LBSU si è rivelata l’università più vincente della conference. Non si può di certo non menzionare l’italiana Alice Pratesi che, grazie ad una crescita tecnica esponenziale, è arrivata a giocare con il numero 1 del seeding. Grandi notizie anche dalla Loyola Marymount University, dove milita l’italiana Reka Orsi-Toth. Dopo aver annunciato la partnership con la sorella Viktoria per il pro-tour, Reka fa ritorno in California dove ottiene due vittorie importanti per la sua università. Le Lions si aggiudicano infatti il WCC Mid-Season Invitational con una vittoria schiacciante su Saint Mary’s Gaels e imponendosi su Pepperdine (#16) per 5-0. Reka e compagne si recheranno a Manhattan Beach dal 2 al 3 Aprile per l’East Meets West Invitational per misurarsi con la Texas Christian University (#2), la Louisiana State University (#6) e la Florida International University (#19). Quest’ultima “parla” sempre più italiano e si sente già aria di derby. LEGGI TUTTO