Chris Kermode
Il britannico Chris Kermode è stato CEO dell’ATP per ben sette anni, prima della sfiducia da parte dei giocatori nel 2019 che ha portato al non rinnovo della sua carica. Dopo un periodo “sabbatico” in cui s’è esposto ben poco con la stampa, lasciando così libertà di campo al suo successore Andrea Gaudenzi, Kermode è intervenuto nel corso del programma “The Tennis Podcast” condotto dal collega David Law. Le parole di Chris sono state interessanti, e ferme. Pur non facendo polemica in merito all’interruzione del suo percorso a guida dell’ATP, ha rivendicato gli ottimi risultati (a suo dire) nel suo mandato, sottolineando soprattutto l’aspetto economico, proprio quello che a detta dei giocatori invece gli è “costato il posto”.
Ecco alcuni passaggi del pensiero di Kermode, con alcune considerazioni finali, visto che l’ultima parte dell’intervista è quella più interessante.
“Nel corso del mio mandato come CEO dell’ATP ho ricoperto un ruolo politico. Credo molto nell’ATP, penso che sia un’organizzazione che funziona. Il tennis è uno dei pochi sport in cui giocatori e tornei sono ascoltati ogni giorno, a differenza degli sport USA dove si trovano accordi collettivi che diventano operativi per diversi anni e quindi non c’è necessità di ritrovarsi, nonostante ci possano essere anche litigi e conflitti. Le decisioni che abbiamo preso sono state quasi totalmente all’unanimità, direi per il 98%. Ovviamente è successo di ritrovarmi in mezzo ad un conflitto tra tornei e giocatori, serve un amministratore proprio per questo. Durante la mia presidenza in sole 8 votazioni su 350 il mio voto è stato decisivo, e in queste ben 7 su 8 ho votato sposando la parte vicina al parere dei tennisti. Sono stato il CEO a decidere per il maggior incremento dei prize money nella storia dell’ATP tour. Devo dire che se esiste un punto debole nel sistema è nel fatto che la politica può diventare determinante e il peso si sposta su questa piuttosto che sul miglioramento della disciplina. Quindi è importante trovare le persone giuste per far crescere il tennis”.
“Se fossi stato confermato? Avrei lavorato per trovare il modo migliore per aumentare ancora i prize money. Siamo riusciti a centrare l’obiettivo per la categoria 500, avrei lavorato per trovare lo stesso equilibrio in 250 e Masters 1000″.
“La nascita delle NextGen Finals testimonia che abbiamo guardato in modo deciso alla crescita dei giovani insieme a possibili cambiamenti delle regole del gioco. Siamo stati consapevoli fin dall’inizio che tutti gli esperimenti della manifestazione non sarebbero diventati novità sull’ATP Tour, ma ci siamo posti delle domande e provato sul campo. Alcune cose sono state un successo. Col mio mandato inoltre è nata la ATP Cup. I giocatori spingevano per avere nuovi eventi, la ATP Cup è stata una risposta, portando 15 milioni ai protagonisti, diventando così una apertura nuova e interessante per la stagione. Abbiamo osservato l’andamento degli ascolti televisivi: i numeri salivano solo a marzo con Indian Wells, era indispensabile trovare una novità che facesse scattare prima l’interesse per l’ATP tour, già in gennaio e quindi per febbraio. L’ATP Cup è nata in questa ottica”.
“La pandemia? Non ho mai pensato in realtà a come l’avrei potuta affrontare. Mi dispiace molto per Gaudenzi, è stato sicuramente sfortunato ad iniziare il suo mandato in un anno così difficile. In un periodo come questo è necessario aver i nervi saldi per mantenere la corretta prospettiva ricordandosi che stiamo governando il tennis, attività importante ma che, in una visione globale, ha un’importanza relativa. Bisogna resistere, forse si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel, ma i primi sei mesi del 2021 saranno altrettanto duri. Credo che il tennis sopravviverà, anche se i problemi saranno tanti. Dall’altro lato, possiamo dire che in tempo di crisi si può sfruttare la contingenza per spingere su cambiamenti più radicali, cosa più difficile da realizzare quando tutto va bene e non è facile toccare qualcosa che sembra funzionare”.
“Unire ATP e WTA? Sì, ne ha parlato anche Federer, ma la situazione è complessa, servirebbe superare la storia delle due organizzazioni, che sono diverse. Si può partire da una maggior collaborazione e quindi vedere di accrescere i punti di contatto. Fare ex novo un calendario? Facile a dirsi, difficilissimo da realizzare. Ci sono tanti punti di vista diversi, mediare non è affare comodo. Non ci dobbiamo dimenticare il tennis è lo sport globale per eccellenza, quindi non siamo noi a poter decidere tutto, ogni paese ha proprie peculiarità, governi ed esigenze. I giocatori vogliono giocare molto, i tornei devono essere sostenibili, non è per niente facile”.
“Di cosa vado più fiero del mio mandato? È stato un periodo molto intenso, stressante, ma anche ricco di soddisfazioni, un onore guidare l’ATP . I numeri che abbiamo lasciato alla nuova dirigenza sono molto buoni e ne vado orgoglioso: il fatturato è passato da 97 milioni di dollari nel 2013 a 150 milioni nel 2018, il montepremi è passato da 85 a 135 milioni nello stesso periodo, e il numero di i giocatori che hanno raccolto più di un milione di dollari sono aumentati del 90%. La crescita è stata reale nei guadagni per i giocatori tra il n.50 e n.100, aumentati del 69%, e per i tennisti tra il n.150 e n.200, aumentati del 65%. Siamo riusciti a fare una ridistribuzione del denaro ai giocatori di rango inferiore, oltre ad aver aumentato anche il fondo pensione del 60%. Sono numeri indiscutibili, che i giocatori conoscono”.
“PTPA? Non è la prima volta che succede che i giocatori vogliano qualcosa, ma il Board non lo approva, quindi non possono fare quello che vogliono che accada. Vedremo cosa succederà con la PTPA, personalmente non credo che questa iniziativa alla fine avrà un grande impatto, ma è un messaggio che va ascoltato. I giocatori non ascoltati? Non è vero, ci sono i membri del Consiglio, sono adeguatamente rappresentati. Il problema è che le esigenze del numero 1 al mondo sono diverse da quelle del 2000 e queste due cose sono difficili da conciliare. Non so quali siano le intenzioni di Djokovic, non posso giudicare. Penso che dovremmo stare molto attenti quando facciamo affermazioni generali che possono essere suggerite da persone che non hanno nulla a che fare con il tennis. Quando ero in carica come CEO, una delle cose che leggevo molto era che stavamo mettendo troppe energie nei giocatori di rango inferiore. I numeri suggeriscono che questo non è vero. La situazione è molto, molto complicata: da un lato è certamente molto difficile per questi giocatori guadagnare abbastanza per mantenersi, ma è anche vero che i tornei Challenger non sono redditizi, è necessario che il sistema sia sostenibile perché senza tornei nessun giocatore può guadagnare qualcosa. E questo apre la questione di definire cosa sia un “tennista professionista”. È necessario disporre di un sistema in cui non sia possibile per un giocatore trascorrere 10-15 anni sul circuito Challenger. I Challenger devono essere una categoria di transizione per arrivare al circuito ATP, non un luogo dove trascorrere l’intera carriera”.
Quelle conclusive sono le affermazioni più nette. Ovvio che Kermode difenda il suo mandato, ma obiettivamente non gli si può rimproverare di non aver fatto crescere “la torta”. Che magari questa sia cresciuta con “fette non abbastanza grandi” per i giocatori, può essere la vera questione. Come anche il fatto dei Challenger: è una questione dibattuta da tempo. Per la visione di Kermode i tennisti considerati davvero Pro dovrebbero essere quindi meno di 300, con altri 200 (al massimo) che lottano per salire al piano di sopra e quindi considerarsi dei veri professionisti. Chiaro che solo con l’ingresso nel 100 oggi un tennista vive “bene” e guadagna abbastanza di potersi assicurare – con vari anni stabilmente dentro – un futuro sereno dopo la carriera.
È una visione altamente meritocratica e spinta verso l’eccellenza, e anche Gaudenzi – anche se non l’hai mai dichiarato con questa nettezza – ha lasciato intendere una visione simile. Che ne pensate?
Marco Mazzoni LEGGI TUTTO