More stories

  • in

    Archeo Tennis: 15 ottobre 1983, Aaron Krickstein vince a 16 anni un torneo ATP, è record assoluto di precocità

    Aaron Krickstein

    15 ottobre 1983, Tel Aviv. Il torneo Open tornato sul Grand Prix dopo un anno di stop viene vinto dal formidabile teenager statunitense Aaron Krickstein, che a soli 16 anni e 73 giorni diventa il più giovane vincitore della storia in un torneo del Tour maggiore. 
    Classe 1967, Aaron Krickstein è stato uno dei primi talenti emersi della rivoluzionaria scuola di Nick Bollettieri in Florida, insieme a Jimmy Arias (classe 1964). Nel 1983, il 16enne Krickstein si impose in varie competizioni nazionali U18, quindi mosse i primi passi sui tornei del Gran Prix. C’era grande attenzione per questo ragazzo magro e veloce, capace di colpire la palla con forza e precisione, ma soprattutto un anticipo davvero straordinario per quei tempi. Il primo risultato importante lo raggiunse agli US Open, dove sconfisse l’altra stella nascente Stefan Edberg al tiebreak decisivo del quinto set, e poi l’esperto Vitas Gerulaitis (allora n.16 del mondo) rimontando due set di svantaggio. La sua corsa a NY si arrestò agli ottavi, sconfitto dal campione in carica di Roland-Garros (e numero 4 del mondo) Yannick Noah.
    Sull’onda di quell’ottimo risultato, Aaron si presentò a Tel Aviv in grande forma e già con gli occhi puntati da parte di moltissimi appassionati di tennis. Non era passato inosservato quel suo gioco “estremo” per anticipo e velocità. Si sprecavano i confronti con il rovescio in anticipo di Jimbo Connors, ma il giovane prodotto di Bollettieri sparava pallate a ritmi e potenza nettamente superiori, facendo intravedere ampi margini di miglioramento, anche se la “mano” non sembrava tra le più “morbide” e l’incedere un po’ “robotico”.
    Nel torneo israeliano Krickstein iniziò comodamente, eliminando il n. 24 del mondo Henrik Sundstrom (e testa di serie n.1) per ritiro, in vantaggio 6-3 1-0. Al turno successivo, concesse solo 7 game a Schalk Van Der Merwe, quindi nei quarti di finale fu impegnato duramente dal tennista di casa Shahar Perkiss, superato solo 7-6 al terzo set. Aaron mise in mostra una forte capacità di resistenza mentale, nonostante la giovanissima età e poca esperienza di tennis Pro. In semifinale superò con un duplice 6-4 il britannico Colin Dowdeswell (tennista giramondo, che in carriera aveva giocato anche per Svizzera e Rhodesia). Anche nella parte bassa del tabellone ci furono molte sorprese. La seconda testa di serie e favorito del pubblico Shlomo Glickstein si arrese all’esordio, per la delusione dei fan israeliani, tanto che a giocarsi il posto in finale furono due tedeschi poco conosciuti, Rolf Gehring e Christoph Zipf. Prevalse quest’ultimo, classe ’62, discreto talento e vittorioso di buoni titoli a livello junior, per poi non confermarsi ad alto livello tra i Pro.
    La finale, disputata il 15 ottobre, vedeva quindi di fronte due tennisti alla prima chance per alzare un titolo professionistico. Krickstein impose la sua maggior potenza da fondo campo e soprattutto restò più calmo e focalizzato, vincendo 7-6 6-3. Trionfò alla sesta apparizione in un evento Pro, stabilendo il record, ancora imbattuto, di giocatore più giovane a vincere un torneo dell’ATP Tour.
    Krickstein, insieme a Jimmy Arias, divenne un vero “caso” nel mondo della racchetta, sia per la ventata di innovazione del suo tennis che le astute mosse promozionali del suo coach, Nick Bollettieri. La vera generazione di fenomeni del tennis USA, plasmata dalla visione e metodi assai particolari del coach, arrivò da lì a pochi anni: Agassi, Courier, Chang (e Sampras, solo in parte formato da Nick).
    Purtroppo Aaron non riuscì a diventare quel super-campione che la precocità aveva fatto immaginare, frenato da tanti infortuni ma anche da alcune carenza tecniche che non riuscì mai a superare totalmente. Con il suo tennis di sbarramento e pressione, regalò spesso bei match contro i tanti attaccanti dell’epoca. In carriera vinse nove titoli, toccando un best ranking al n.6 nel 1990, pochi mesi dopo aver ottenuto la sua migliore prestazione in un Grande Slam, agli US Open del 1989, dove sbarcò in semifinale (sconfitto di Boris Becker). Terminò la sua carriera nel 1996.
    Krickstein resta il più giovane vincitore di un torneo ATP. Guida una ideale “top10” di precocità che vede a seguire Michael Chang (16 anni e 7 mesi – San Francisco 1988), Lleyton Hewitt (16 anni e 10 mesi – Adelaide 1998), Guillermo Perez Roldan (17 anni e 6 mesi – Monaco 1987), Boris Becker (17 anni e 6 mesi – Queen’s 1985), Andre Agassi (17 anni e 6 mesi – Itaparica 1987), Bjorn Borg (17 anni e 7 mesi – Auckland 1974), Pat Cash (17 anni e 7 mesi – Melbourne 1982), Mats Wilander (17 anni e 9 mesi – Roland Garros 1982) e Andrei Medvedev (17 anni, 9 mesi – Genova 1992).
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    52 anni dal Grande Slam di Laver. La storia dell’impresa e perché è stato quasi impossibile ripeterla (di Marco Mazzoni)

    Rod Laver vince US Open 1969, completa il secondo Grande Slam

    12 settembre 2021: stasera a Flushing Meadows verrà assegnato il titolo maschile di US Open, quarto Slam stagionale. Non è una finale “qualsiasi”. Novak Djokovic è una sola vittoria da completare quel Grande Slam stagionale che manca da 52 anni. Scaldiamo l’attesa con un flashback storico. Torniamo a quel 9 settembre 1969, esattamente al West Side Tennis Club nel quartiere di Forest Hills – NYC, dove andò in scena la finale maschile dell’88esima edizione di US Open. Rod Laver sconfisse Tony Roche in quattro set, completando per la seconda volta il cosiddetto Grande Slam. Un’impresa epocale, mai più riuscita ad un tennista uomo (Steffi Graf l’ultima nel 1988). Un successo leggendario, che merita di essere raccontato, e compreso. Ma prima, perché il completamento in un anno solare del poker Australian Open – Roland Garros – Wimbledon e US Open si chiama Grande Slam?
    Forse non tutti conoscono la storia del termine “Grande Slam”, oggi in uso non solo nel tennis ma anche nel golf, baseball ed altre discipline. Deriva dal gioco di carte del Bridge: è il colpo massimo che si può realizzare, tredici prese effettuate ai danni dell’avversario. Si parlò per la prima volta di Grande Slam nel tennis nel 1933, grazie al giornalista del New York Times John Kieran. Jack Crawford quell’anno vinse Australian Open, Roland Garros e Wimbledon. Prima di US Open Kieran (giocatore di bridge) scrisse: “Se Crawford vincesse il torneo, sarebbe come segnare un Grande Slam nel bridge”. Il tennista australiano vinse due set della finale di contro Fred Perry, ma fu rimontato fino alla sconfitta. Don Budge nel 1938 fu il primo tennista a completare un Grande Slam, quindi Rod Laver (1962 e 1969). Tra le donne ci sono riuscite Maureen Connolly (1953), Margaret Smith Court (1970) e Steffi Graf (1988). Torniamo ora a quel 9 settembre 1969, 52 anni fa, a New York.

    “L’elicottero e la Leggenda”
    Il cammino di Rod Laver a US Open 1969 non fu affatto una passeggiata. Da un lato era molto vicino a ripetere una grandissima impresa sportiva, dall’altra la sua testa era concentrata sulla famiglia, visto che sua moglie stava per partorire Rick proprio in quei giorni e non c’era modo a quei salire in poche ore su di un aereo e scappare via. Dopo tre turni agevoli, Rod negli ottavi rimontò uno svantaggio di due set a uno contro Ralston, scampando un grande pericolo, quindi nei quarti sconfisse Emerson in quattro lottati set. Anche “Rocket”, il più grande e forte tennista dell’epoca, sentiva la pressione. In semifinale trovò il suo miglior tennis e superò Ashe in tre set, incluso un bellissimo terzo parziale terminato 14-12. In finale trovò Tony Roche, uscito vittorioso da una battaglia epica contro il connazionale Newcombe, terminata  8-6 al quinto, partita più bella del torneo. C’era enorme attesa per la finale, guastata anche dal meteo newyorkese, sempre uggioso e imprevedibile a settembre, ad allungare il torneo. Quel 9 settembre era martedì e non mancò la pioggia. Di tetti mobili a quell’epoca nemmeno l’ombra, tanto che sul centrale piombò addirittura un elicottero (!) a sorvolare per alcuni minuti il campo e così “asciugare l’erba” dopo un ritardo di 90 minuti. Siamo in America, le trovate ad effetto sono sempre dietro l’angolo… Finalmente la finale scattò. La tensione era altissima, anche nel braccio granitico di Laver, che iniziò male sparando un doppio fallo. Seguì una prima palla troppo centrale, seguita a rete e punita da una gran risposta di Roche, prontissimo a scattare dai blocchi e desideroso di stoppare la corsa dell’amico rivale. Una prima slice esterna consegnò a Laver il primo quindici del suo match. La partita avanzò velocemente, servizio e volée erano la religione su erba. Rod aveva strappato un game di servizio a Tony, ma quando servì per il primo set sul 5-3 subì il contro break. Dopo 27 minuti di un match a dir poco “scivoloso”, Laver decise di cambiare le sue scarpe indossando le “Spikes”, con una leggera dentatura per aiutare la presa sul manto erboso ancora molto umido. Non gli bastò per vincere il primo set, perso 7-9 dopo 42 minuti. L’atmosfera era elettrica, si pensava che il campionissimo potesse crollare da un momento all’altro sotto il tennis consistente della “roccia” Roche. Laver cancellò una delicata palla break in apertura del secondo set con un gran tocco. Quel momento fu una liberazione, la tensione iniziò ad allentarsi e salì in cattedra, iniziando a produrre quel tennis offensivo e quasi perfetto che l’aveva reso il più forte. Il braccio mancino di “Rocket” iniziò a mulinare colpi precisi, potenti, “senza alcuna lacuna tecnica” come raccontavano i cronisti dell’epoca. Prese possesso del match, servendo benissimo e rispondendo da campione. Con un crescendo wagneriano regolò Roche 6-1 6-2 6-2. Vinse il suo 11esimo e ultimo Major, ma soprattutto completò il secondo Grande Slam dopo quello del 1962 “da dilettante”. Nel 1963 infatti era passato al tour Pro, niente tornei Slam fino al 1968.L’Era Open iniziò nel 1968, ma è corretto considerare l’impresa di Laver del ’69 come la “vera” chiusura dell’epoca precedente. Dai ’70s nuovi giocatori, con un tennis diverso, più muscolare e moderno, cambieranno le carte in tavola rivoluzionando lo sport della racchetta. Da quel 9 settembre nessun tennista è riuscito a completare il Grande Slam, solo Steffi Graf tra le donne nel 1988. In questi 52 anni abbiamo attraversato varie fasi storiche, molte rivoluzioni tecniche – incluso l’avvento dei nuovi materiali – e campioni epocali. Abbiamo accompagnato le gesta di leggende come Borg, McEnroe, Connors, Lendl, Agassi, Sampras, e oggi quelle di Federer, Nadal e Djokovic; tra le donne Navratilova, Evert, Seles, Serena Williams. Alcuni di loro hanno dominato alcune annate nel senso pieno del termine, sono riusciti a vincere tutti i Majors in carriera, ma non a completare un Grande Slam. C’è riuscito solo Novak Djokovic a cavallo di 2015 e 2016, vincendo di fila tutti i 4 gli Slam. Adesso Novak ci riprova, stavolta nell’anno solare 2021. Chi c’era andato vicino prima di Novak “Djoker” Djokovic?
    Dal 1970 nessun Grande Slam, eccetto Steffi Graf (1988). Ma qualcuno c’è andato vicino. Djokovic ha vinto in fila i quattro Majors, tra 2015 e 2016, con le vittorie a Wimbledon e US Open 2015, Australian Open e Roland Garros 2016. Stessa situazione tra le ragazze per Martina Navratilova (a cavallo tra 1983-84), Steffi Graf (1993-94) e due volte Serena Williams (2002-03, 2014-15). Alcuni commentatori annoverano questi poker tra i Grande Slam, ma per la classica interpretazione dell’impresa i quattro titoli devono essere conquistati nell’anno solare. Roger e Rafa? Nadal non c’è mai andato vicino, avendo trionfato a Melbourne solo nel 2009, ma uscendo clamorosamente di scena vs. Soderling a Parigi negli ottavi. Federer invece c’è andato molto vicino nelle annate 2004 e soprattutto 2006 e 2007, quando vinse tre Slam perdendo (da Rafa) la finale di Roland Garros, quindi ad un solo match dal Grande Slam. Tornando più indietro, Sampras mai ha vinto a Roland Garros; Lendl mai vinse a Wimbledon; Wilander vinse tre Slam nel 1988, gli mancarono i Championships. Connors non ha mai trionfato sul rosso parigino, come McEnroe. Unico il caso di Borg. Nei suoi anni d’oro l’Australian Open si svolgeva a dicembre, ultimo Slam in calendario (per l’esattezza dal 1977 al 1985). Bjorn vinceva a ripetizione Roland Garros e Wimbledon, ma non riuscendo a trionfare a New York finiva per saltare la trasferta down under. Tutto lascia pensare che in caso di successo in America, Borg avrebbe avuto vita facile a Melbourne, dove il livello era indubbiamente inferiore agli altri Majors in quegli anni. Tra le donne, ci andrò molto vicino Martina Navratilova nel 1984: vinse Parigi, Wimbledon e US Open, ma perse clamorosamente a Melbourne in semifinale da Helena Sukova 7-5 al terzo. Addio sogno Grande Slam.Vincere un Grande Slam implica disputare una stagione quasi perfetta, “almeno” da gennaio a settembre. Non facile riuscire a tenere così alta la condizione fisica, tecnica e mentale in uno sport che dagli anni ’70 è diventato sempre più difficile e competitivo. La differenza nelle condizioni di gioco hanno avuto un impatto decisivo nel rendere l’impresa più complicata, ancor più da fine anni ”70 fino ai primi anni 2000, quando le superfici erano davvero diverse tra di loro. Fino al 1974 infatti tre Majors su quattro si giocavano su erba, chi possedeva un tennis ideale ai prati era molto avvantaggiato. Dal 1975, per tre anni, a New York si giocò sulla terra “verde”, più veloce e scivolosa di quella rossa europea; lì Borg perse la grande occasione… Quindi dal 1978, sempre a NY, ecco il primo Slam su hard court. Tre superfici diverse per i quattro Majors. La situazione si complicò ancor più quando gli Australian Open rivoluzionarono il loro torneo. Dopo averlo riportato a gennaio nel 1987 (vinse Edberg sull’erba di Kooyong), nell’88 ecco il nuovo impianto a Flinders Park, con un cemento molto diverso da quello americano. Fu deciso – a malincuore – di archiviare la mitica scuola tecnica “aussie” su erba per rilanciare un movimento in crisi ed un torneo “vaso di coccio” rispetto agli altri Slam. Negli anni l’operazione ha funzionato, oggi l’Australian Open è un torneo pari – se non superiore – agli altri Majors. Quattro Slam, quattro condizioni diverse. Il Grande Slam divenne ancor più difficile.
    Dagli anni 2000 il Grande Slam è tornato ad essere “possibile” anche grazie alle condizioni di gioco, straordinariamente uniformate rispetto all’epoca precedente. Dal 2002 a Wimbledon è stata imposta un’erba “lenta”, grazie ad una diversa composizione del prato, un taglio più alto ed un cambio nel suolo. Oggi ai Championships si scambia eccome, quindi chi è forte sui campi in sintetico non fa affatto fatica ad essere competitivo sui prati. La terra rossa è stata velocizzata, per cancellare maratone impossibili e rendere gli scambi più avvincenti. Alla fine per quasi tutta la stagione si gioca con condizioni abbastanza omogenee, e questo ha fatto sì che da metà anni 2000 si imponesse una nuova scuola tecnica e generazione di giocatori in grado di giocare al massimo praticamente tutto l’anno. Un fattore questo decisivo al far tornare “possibile” anche il Grande Slam. Non è un caso quindi che Novak Djokovic, tennista eccezionale e giocatore più completo e più forte dal punto di vista atletico e mentale, abbia già realizzato un “quasi” Grande Slam e oggi sia ad una sola vittoria da ripetere l’impresa di Rod Laver del ’69.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Archeo-Tennis: 11 settembre 1999, Serena Williams vince il suo primo Slam

    Serena Williams, vince US Open 1999

    11 settembre, una data diventata tristemente “infausta” 20 anni fa. Impossibile togliersi dagli occhi le drammatiche immagini dell’attacco terroristico a New York. Due anni prima, nel 1999, proprio l’11 settembre inizia la corsa Slam di Serena Williams. La più giovane delle “sisters” infatti alza la coppa di US Open, sconfiggendo la n.1 del ranking WTA Martina Hingis, 6-3 7-6 lo score della finale. È il secondo boccone amarissimo da mandar giù per la svizzera in stagione, sconfitta a sorpresa in giugno nella finale di Roland Garros da Steffi Graf.
    17 anni, Serena impressiona per la potenza del suo diritto ed un servizio già notevolissimo, nonostante la giovane età. Ha soverchiato il tennis geometrico di Martina a furia di pallate violente e precise. È una svolta epocale, che letteralmente cambia il tennis femminile per sempre, tanto che si può idealmente tracciare una riga tra il “prima” delle Williams e quel che dopo è diventato il gioco rosa.
    L’edizione 1999 di US Open inizia tra le polemiche. Papà Richard Williams, il giorno del sorteggio, dichiara sprezzante “Serena e Venus si trovano ai lati opposti del tabellone, si affronteranno in finale per il titolo, e sarà solo la prima di tante volte”. Venus aggiunge pepe affermando alla stampa USA che la sua rivale per il titolo e il n.1 del ranking non è Martina Hingis, ma la sorella Serena. Stizzita, Hingis dichiara che “la famiglia Williams parla troppo, lo fanno perché sentono molta pressione. Dicono quelle cose, ora a sta loro arrivarci…”. Sul New York Times non si fa attendere la risposta di Richard: “Più pressione su Serena e Venus? Non credo, ritengo che la pressione sia quel che sto facendo su di loro da anni, lavorare duramente dalle 9 alle 17. Sono sicuro che ci saranno due Williams in finale. Quello che ha detto Martina non è uno shock. Penso che abbia il diritto di dire quello che vuole. Si, andrò a chiederle l’autografo, la amo. Se la vedete, ditele che la amo”.
    Con queste premesse, il torneo femminile avanza spedito, e come previsto da papà Richard, Venus e Serena approdano in semifinale. Nella prima semifinale, Serena sconfigge Lindsay Davenport conquistando la prima finale Slam. Qua la pressione sulla Hingis sale, per alzare la coppa di Flushing dovrà battere prima Venus, poi Serena. Martina aveva già affrontato Venus nella finale di US Open 1997, vincendo il titolo. Hingis soffre, lotta, rimonta un break nel terzo set e sconfigge la più grande delle sorelle. Dopo la finale afferma: “Sono in tre contro di me, a parole è chiaro che vinceranno sempre loro, io devo batterle in campo. I risultati e le classifiche mostrano chi è la migliore”. Altra benzina sul fuoco di una finale che si annuncia storica.
    Nonostante la vigilia “agitata”, Serena scende in campo per la prima volta in una finale Slam tutt’altro che nervosa. Serve come un treno, costringe Martina a difendersi e colpisce forte, fortissimo. Con ben 19 vincenti Serena vince il primo set 6-3. Sembra non esserci partita. Hingis però è una lottatrice, è molto lucida tatticamente e capisce che continuando a colpire la palla pulita in anticipo, oggi non avrebbe scampo contro la potenza della rivale. Inizia a giocare più “sporco”, carica il diritto con un discreto topspin e cerca traiettorie angolate, costringendo Serena a correre. Spostata dal centro del campo, dove finora aveva dominato, Williams sbaglia di più. Inizia un’altra partita, bellissima nella lotta. Serena invece di cercare la botta vincente, cerca la via della rete, sfidando il passante preciso di Martina.
    La più giovane delle sorelle Williams si porta in vantaggio anche nel secondo set e sul 5-3 ha due Championship Point in risposta. Per la prima volta nel torneo, Serena avverte il peso del momento, la pressione, il suo tennis si inceppa. Sbaglia il primo spedendo largo di metri un rovescio lungo linea, risponde a mezza rete sul secondo, contro una prima della svizzera tutt’altro che ingestibile. Martina approfitta del momento, costringe Serena a rincorrere non dandole ritmo e le strappa il game di servizio a zero. 5 pari. Iniziano lunghi scambi, ora è la svizzera a comandare, la partita sembra clamorosamente girata a favore della n.1. Serena resta aggrappata alla partita con grandissima grinta, il secondo set si decide al tiebreak, il pubblico è impazzito, l’atmosfera incredibile. In questa vera bolgia, Serena mostra quel che sarà per gran parte della sua carriera: un killer spietato nei momenti decisivi, nei tiebreak. Ritrova la prima di servizio, con coraggio da leonessa spara diritti e rovesci clamorosi, che di nuovo devastano la rivale, impotente di fronte a prime imprendibili e risposte micidiali. Chiude il match, 7-4. Vince il suo primo titolo dello Slam, a 17 anni, l’11 settembre 1999.
    Quando si pensava che Venus sarebbe stata presto la n.1 del mondo e vincitrice Slam (lo diventerà a Wimbledon 2000), è invece Serena la prima in casa Williams ad alzare la coppa di un Major, iniziando un’epopea che la porterà a diventare la tennista più forte dell’epoca attuale, con 6 titoli a US Open, 7 a Wimbledon, 3 a Roland Garros e 7 agli Australian Open. 23 Slam, ne manca 1 per eguagliare il record assoluto a 24 di Margaret Court. La chimera che la spinge a continuare, nonostante i 40 anni che compirà il prossimo 26 settembre e mille acciacchi.
    La finale di US Open 1999 terminò con un abbraccio gelido tra Martina e Serena. Durante la premiazione la svizzera aveva un sorriso di ghiaccio. Dentro di sé aveva ben chiaro che il proprio dominio era agli sgoccioli, che quel giorno il tennis femminile era cambiato per sempre. Serena e Venus portano sul tour WTA una potenza ed aggressività mai viste. Alzarono letteralmente l’asticella della competizione, costringendo tutte le rivali ad un rilancio, finendo per chiedere fin troppo ai propri fisici e dando il là ad una serie infinita di colpitrici di potenza che cercano di imitare il tennis delle “sisters”. Una evoluzione che diventa, alla lunga, una involuzione e terribile impoverimento.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Archeo-Tennis: 3 settembre 2006, Agassi gioca il suo ultimo match a US Open

    3 Settembre 2006. Esattamente 15 anni, sull’Arthur Ashe di Flushing Meadows, calò il sipario sulla carriera di Andre Agassi. Grandissimo e discusso campione, passato da giovane scapestrato e conflittuale a tennista sempre più moderno e vincente, sino a trasformarsi quasi in mentore e “saggio”, assai impegnato nel sociale con la sua fondazione. Si sono scritti […] LEGGI TUTTO

  • in

    Archeo-Tennis: 22 agosto 2004, Massu vince l’oro Olimpico in singolare dopo averlo vinto in doppio

    Nicolas Massu alle Olimpiadi di Atene 2004

    22 agosto 2004, Atene. Sono in corso i Giochi della XXVIII Olimpiade, proprio in Grecia dove tutto è nato. Partecipano 201 nazioni per un totale di 10.625 atleti in gara in 28 sport diversi, 301 le competizioni. L’Italia chiuderà all’ottavo posto, con 10 ori, 11 argenti e 11 bronzi (32 medaglie). Stefano Baldini (Maratona), Andrea Benelli (Skeet), Paolo Bettini (Ciclismo su strada), Ivano Brugnetti (Marcia), Igor Cassina (Ginnastica), Marco Galiazzo (Tiro con l’arco), Aldo Montano (Scherma), Valentina Vezzali (Scherma), il Fioretto a squadre maschile ed il setterosa di pallanuoto gli Ori azzurri.
    Moltissimi i personaggi indimenticabili. Yelena Isinbayeva vince la gara del salto con l’asta, stabilendo anche il record del mondo (4,91), sarà l’unico segnato nell’atletica in tutta la kermesse. Il diciannovenne Michael Phelps esalta il mondo con ben 6 medaglie d’oro nel nuoto, ad un passo dal record assoluto di Mark Spitz. Indimenticabile il torneo di basket, con l’Argentina che supera gli USA e vince l’Oro in finale contro uno spettacolare team italiano, un argento pazzesco per i nostri.
    Anche se il nostro amato tennis non è tra gli sport più seguiti ai Giochi, l’edizione di Atene passa alla storia grazie all’impresa di Nicolas Massu e del suo Cile. Il 21 agosto Massu insieme al connazionale Fernando Gonzalez compie la prima storica impresa: i due giocano cinque set nella finale di doppio, salvando quattro match point consecutivi prima di trionfare contro i tedeschi Nicolas Kiefer e Rainer Schuettler (6-2, 4-6, 3-6, 7-6, 6-4). È il primo Oro olimpico in assoluto per il Cile ai Giochi Olimpici. Ma non finisce qua. Massu è in forma straordinaria, gioca il miglior tennis della propria carriera e si qualifica anche per la finale in singolare, in programma il 22 agosto.
    È una grande sorpresa, anche se Nicolas sta giocando dal 2003 il miglior tennis della propria carriera. In estate si è issato al n.11 del ranking mondiale, e poche settimane prima aveva vinto il torneo di Kitzbuhel (più importante del suo palmares) sconfiggendo in finale il campione di Roland Garros Gaston Gaudio. Ad aspettarlo in finale per l’Oro olimpico di singolare, lo statunitense Mardy Fish, anch’esso alla finale più importante in carriera. Due finalisti a sorpresa, per un torneo ricco di sorprese.
    I due favoriti del seeding, Federer e Roddick, vengono sconfitti nei primi turni, il torneo diventa apertissimo. Fish, in tabellone senza essere testa di serie, supera la testa di serie n. 5 Juan Carlos Ferrero nel secondo turno e gli si apre il tabellone. In semifinale supera Fernando Gonzalez (n.16), che aveva estromesso Roddick al terzo turno.
    Massu era entrato nel torneo come decima testa di serie, ma in stagione il suo rendimento sul cemento era stato orribile: otto match giocati e otto sconfitte. Nessuno si curava di lui ad Ateea, considerato un forte specialista del “rosso” e niente più. Invece Nicolas trova una forma clamorosa. All’esordio supera Gustavo Kuerten dopo una maratona durissima, quindi sorprende nei quarti di finale la serie n. 3, Carlos Moya. Facile il successo in semifinale, due set sul “bombardiere” Taylor Dent.
    Ricorda Massu su olympic.org: “Ho giocato la finale del doppio il giorno prima della finale di singolare. Poi ho dovuto fare il test antidoping a tarda notte. Quindi, ho fatto le analisi del sangue al mattino, ho dormito solo cinque ore prima della finale di singolare. Mardy Fish, il mio avversario, aspettava questa finale da due giorni. Avrei avuto un’ottima scusa in caso di sconfitta in finale, ero indubbiamente stanco e con al collo la prima medaglia d’oro nella storia per il mio paese, vinta in doppio con Fernando. Ma non mi bastava, avevo lottato tanto per arrivare fin lì, non volevo accontentarmi del secondo posto, volevo vincere”.
    La finale contro Fish è un’altra dura battaglia, lunga 5 set. Fish scende in campo molto teso, sente l’importanza dell’evento. Massu è più sciolto, vince il primo set 6-3. L’americano finalmente entra in partita col servizio, e tutto il suo tennis inizia a diventare pericoloso e preciso. Massu sembra via via sempre più stanco, Mardy si aggiudica secondo e terzo set (6-3 6-2). “Quando ho perso quel terzo set pensavo che avrei perso la partita perché non riuscivo quasi a muovermi” racconta Massu, “Ma incredibilmente ho ritrovato energia, come una seconda vita”. Massu ha ripreso nel quarto set a lottare su ogni punto, Fish è crollato nella lotta da fondo campo ed ha iniziato a sbagliare. Il match si decide al quinto set. La tensione divora entrambi i giocatori, break e contro break all’inizio del quinto, ma Massu riesce a tenere la palla in campo mentre Fish commette troppi errori gratuiti, soprattutto col diritto.
    A meno di 24 ore dall’Oro in doppio, Nicolas Massu chiude il quinto set per 6-4. In meno di 24 ore, aveva regalato al Cile le sue due prime medaglie d’oro olimpiche di sempre, diventando anche l’unico tennista nella storia capace di vincere l’Oro sia in singolare che in doppio nella stessa Olimpiade. “Davvero non so come ho fatto, sono i due giorni più belli della mia vita”, ricorda un commosso Massu. “È semplicemente troppo, due medaglie d’oro in due giorni. È incredibile per il mio paese e per me. Indimenticabile”.
    La storia delle Olimpiadi è fatta soprattutto dalle impresa e medaglie di altre discipline, che trovano nei Giochi la loro massima espressione. Ma per una volta ,il 22 agosto 2004, anche il tennis ha scritto una pagina davvero Storica.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Archeo-Tennis: 30 luglio 1928, i “Quattro Moschettieri” inaugurano Roland Garros vincendo la Davis

    1928: Finale di Davis Francia vs. USA

    Il 30 luglio 1928 è una data storica per il nostro sport, soprattutto quello francese. I mitici “Quattro Moschettieri” del tennis transalpino vinsero la loro seconda Coppa Davis inaugurando il nuovissimo impianto di Roland Garros, per quello che fu considerato il vero inizio della loro epopea. Il ricordo di quest’impresa e della nascita del tempio parigino del nostro sport è rivissuta da un bell’articolo di Alexandre Sokolowski, del quale riportiamo alcune parti con piacere con alcune integrazioni.

    Il 30 luglio 1928 il francese Henri Cochet sconfisse la leggenda americana Bill Tilden per suggellare il secondo titolo consecutivo della Coppa Davis, stavolta in Francia, in uno stadio nuovissimo costruito per l’occasione: Roland-Garros. Questo trionfo  fu il secondo di sei titoli consecutivi per la squadra francese, che passerà alla storia del tennis come “Quattro Moschettieri”.
    Henri Cochet (“Il mago”), Rene Lacoste (“Il coccodrillo”), Jean Borotra (“Il basco in fuga”) e Jacques Brugnon: insieme, questi quattro giocatori erano conosciuti come “Quattro Moschettieri”. Quel soprannome era stato dato loro dall’ex campione americano Henri Slocum prima della finale di Coppa Davis del 1926 ed era stato rapidamente reso popolare dai giornalisti sportivi francesi. Nel 1928, avevano già vinto 12 titoli del Grande Slam in singolare (Lacoste ne deteneva 6, Cochet 3 e Borotra 3) e numerosi titoli di doppio.
    I “Quattro Moschettieri” giocarono insieme la Coppa Davis per la prima volta nel 1923. Iniziarono raggiungendo la finale per quattro anni di fila, perdendo due volte contro l’Australia (1923, 1924) e due volte contro gli Stati Uniti (1925, 1926). Nel settembre 1927 vinsero finalmente il trofeo, sconfiggendo la squadra statunitense a Philadelphia. All’epoca, Cochet aveva vinto tre titoli del Grande Slam, l’Open di Francia nel 1926 e nel 1928 e il Wimbledon nel 1927, dove aveva compiuto l’impresa di rimontare da due set sotto tre volte, salvando otto match point nella finale contro il connazionale Jean Borotra.
    La forza della squadra americana si basava principalmente sul suo leader, il grande Bill Tilden. “Big Bill” era stato di gran lunga il miglior giocatore del mondo dal 1920 al 1925. In quegli anni, Tilden rimase imbattuto nei tornei del Grande Slam, trionfando due volte a Wimbledon (1920, 1921) e sei volte di fila a US Open (1920-1925). Dal 1926, il suo dominio fu sfidato principalmente dai francesi Rene Lacoste e Henri Cochet. Nel 1927, Tilden perse contro Lacoste in due finali del Grande Slam, agli Open di Francia e negli States. A Wimbledon aveva perso contro Cochet dopo aver condotto due set a zero. Inoltre, Lacoste lo aveva battuto nella finale di Coppa Davis. Tuttavia, Tilden era ancora uno degli atleti più famosi al mondo.
    La Coppa Davis del 1928 si tenne nel nuovissimo stadio Roland-Garros, che era stato costruito per l’occasione, poiché non esisteva una struttura abbastanza grande per un evento del genere a Parigi. All’epoca era ancora in vigore la regola del Challenge Round, il che significava che il campione del 1927, la Francia, si qualificava automaticamente per la finale e la ospitava. Questo fu il motivo per cui, nell’inverno del 1927, dovettero essere costruite nuove strutture per un evento così importante.
    Era la prima volta che una finale di Coppa Davis non si giocava sull’erba, ma sulla terra rossa europea. Questo avrebbe dovuto dare un vantaggio ai giocatori francesi, che erano abituati alla superficie. Tuttavia, nella prima partita Tilden, nonostante un inizio catastrofico, si prese la sua rivincita su Lacoste, battendolo in cinque set, 1-6, 6-4, 6-4, 2-6, 6-3. Nella seconda partita, Henri Cochet pareggiò la sfida, battendo John Hennessey 5-7, 9-7, 6-3, 6-0. Il punto nel doppio fu conquistato dalla squadra francese, con Jean Borotra e Jacques Brugnon che prevalsero su Bill Tilden e Francis Hunter dopo una maratona da brivido, 6-4, 6-8, 7-5, 4-6, 6-2. Ai francesi mancava solo una partita per conquistare il secondo titolo consecutivo.
    Le speranze americane ora si basavano esclusivamente su Bill Tilden, in campo contro Henri Cochet nella quarta partita. Tilden, che aveva già giocato 10 set nei giorni precedenti, era troppo stanco per esibirsi al meglio in questo atteso incontro. Sebbene “Big Bill” fece del suo meglio, Cochet lo sconfisse 9-7, 8-6, 6-4. La Francia in quel 30 luglio 1928 aveva appena vinto per la seconda volta consecutiva la Coppa Davis, la prima in casa, al Roland-Garros, confermando il dominio dei “Quattro Moschettieri” nella prestigiosa competizione a squadre nazionali.
    Il dominio era appena iniziato, come conferma il clamoroso Grande Slam tutto francese in singolare (Australian Open: Borotra; Roland Garros: Cochet; Wimbledon: Lacoste; US Open Cochet). La Francia avrebbe vinto altre quattro Davis consecutive (per un totale di 6 di fila), scrivendo il più grande capitolo nella storia del tennis francese. In totale, i “Quattro Moschettieri” non solo regalarono alla Francia sei titoli consecutivi di Coppa Davis, ma vinsero anche 18 titoli del Grande Slam in singolare e 23 in doppio. Rene Lacoste, che avrebbe lasciato il tennis a causa di problemi di salute nel 1929, creò il famoso marchio Lacoste con il logo del coccodrillo, che sarebbe diventato famoso almeno quanto i suoi successi come giocatore.
    Bill Tilden avrebbe vinto un settimo titolo a US Open nel 1929 e un titolo finale del Grande Slam a Wimbledon l’anno successivo. Sarebbe diventato professionista nel 1931, con il conseguente impedimento a partecipare sia ai tornei dello Slam che alla Davis.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO