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    Tommaso Rinaldi tra sogni e realtà: “Vorrei Modena per tutta la vita”

    Di Roberto Zucca
    Le voci sul suo conto farebbero perdere la testa ai più. Ma quando ti trovi davanti Tommaso Rinaldi, giovane schiacciatore della Leo Shoes Modena, capisci subito che, oltre ad essere il classico ragazzo della porta accanto senza grilli per la testa, è anche un atleta con molta razionalità e i piedi ampiamente ancorati a terra:
    “È una cosa che mi ha insegnato papà. In questo lavoro avere i piedi per terra senza perdere la testa è una cosa fondamentale per poter affrontare tutti i momenti, dentro e fuori dal campo. Io poi sono proprio agli inizi. Vivo un momento che mi piace definire magico e che spero duri il maggior tempo possibile”.
    Astro nascente. La grande promessa di Modena. Rischia di essere tutto troppo amplificato?
    “Rischia di esserlo se tutto ciò che viviamo non viene, appunto, vissuto senza un minimo di razionalità. Sono arrivato qui con la voglia di fare e ho mosso passo dopo passo per fare sì di poter entrare in questo tempio della pallavolo e far parte di tutto questo. Non mi curo molto di ciò che scrivono, non l’ho mai fatto e non rappresenta un peso. So cosa voglio e questo è l’importante”.
    Foto Modena Volley
    Cosa vuole Tommaso Rinaldi?
    “Modena. La vorrei per tutta la vita. È un’emozione grandissima far parte di questa società. E poi il PalaPanini quando si riempie emana un’energia che non si riesce ad immaginare se non ti trovi in campo e non stai disputando la partita. È indescrivibile”.
    Prima di lei Bruninho, Ngapeth, Christenson mi hanno parlato di quella magia.
    “Capisco che si rimane stregati. Ed è vero. Io Modena l’ho vissuta seduto sugli spalti quando ero più piccolo, seduto in panchina, e ora ho provato cosa significhi stare in campo. Spero che quella magia con tutti i tifosi dentro il PalaPanini sia solo un sogno rimandato di poco tempo”.
    Figlio d’arte. Si è mai sentito tale?
    “Mio padre non mi ha mai fatto sentire ‘il figlio di’. Nel senso che ha saputo starmi al fianco senza chiedermi nulla in più rispetto al fare qualcosa che mi divertisse, mi piacesse. In casa non parliamo solo di pallavolo, anzi, è un confronto molto proficuo su tutto e non mi fanno pesare ciò che mi sta accadendo, o ciò che posso fare in più o in meno nella mia carriera rispetto a ciò che ha fatto mio padre. Per la mia famiglia io sono semplicemente Tommaso, non il giocatore di Modena Volley”.
    Foto CEV
    È vero che si imbarazza ancora quando le chiedono il selfie dopo la partita?
    “(ride, n.d.r.) Come lo sa? Comunque sì, più che l’imbarazzo è l’emozione. Ci sono molte ragazze che giocano a pallavolo, per cui vederci con quella maglia è subito sinonimo di idolatria. E lì mi mostro sempre nel lato più timido. Ci sono anche tanti ragazzi che come me sognano quella maglia e quindi mi fa piacere quando vengono a fare i complimenti dopo la partita”.
    In fondo fanno i complimenti ad un argento europeo Under 20.
    “Che ricordi. Non mi chieda di quella finale però, perché la sconfitta non sono ancora riuscito a digerirla. Ho giocato al massimo delle mie forze ma è stata dura perché molti di noi accusavano già le conseguenze del Covid. Quindi stanchezza, affaticamento. Peccato, vorrei rigiocarla oggi e cambiare la sorte di quel secondo posto”.
    È stata dura riprendersi?
    “Non è un qualcosa che puoi sottovalutare. Oggi sto bene e sono di nuovo in campo, ma non è una semplice influenza che passa con un po’ di paracetamolo. Mi sento fortunato, perché lavoro in un contesto ipercontrollato, ma tanti coetanei che non vengono costantemente monitorati devono abbracciare il valore della prevenzione”.
    Mi dica qualcosa di lei al di fuori del campo.
    “Mi sono diplomato qualche mese fa e quest’anno ho deciso di prendermi un momento per capire se alla pallavolo posso affiancare qualche studio universitario. Vorrei capire esattamente cosa mi piacerebbe fare perché tra allenamenti col club, nazionale, Europei da preparare e il resto avrei fatto una scelta azzardata. Vorrei concedermi la libertà di una scelta ponderata”.
    Quest’anno basta già Modena insomma.
    “Assolutamente. Con qualche traguardo nella testa da raggiungere penso sia più che sufficiente”. LEGGI TUTTO

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    “Bisogna saper perdere”: Giorgio Barbareschi, da pallavolista a scrittore

    Di Roberto Zucca
    Vittoria e sconfitta sono concetti che durante la carriera da pallavolista, e per un breve periodo anche di direttore sportivo, hanno costituito gran parte della sua quotidianità. Con questi due fenomeni Giorgio Barbareschi, ex giocatore di Montichiari, Cagliari, Latina, Perugia ed ex DS della Conad Reggio Emilia, ha convissuto, lottato, fatto pace. E sui quali ha scritto un libro, che in poche settimane è diventato un piccolo caso editoriale.
    “Il libro si chiama Bisogna saper perdere (uscito ad agosto 2020 per l’editore Ultra, n.d.r.) ed è una raccolta delle dieci sconfitte più incredibili e devastanti nella storia dello sport. Ho spaziato dal basket, al tennis e alla stessa pallavolo, solo per citarne alcuni. Ho sempre praticato e seguito lo sport a 360°, avevo il sogno di scrivere un libro sin da giovane e una volta conclusa la carriera ho deciso di mettermi all’opera”.
    Flavio Tranquillo, da anni la voce del basket per Sky Sport, ne ha curato la prefazione. Lei lo portò anche a Reggio Emilia, per un incontro con gli atleti durante la sua stagione da direttore sportivo.
    “Penso che Flavio sia uno dei più grandi giornalisti sportivi che esistano in Italia. È stato un onore poterlo conoscere e costruire un rapporto di amicizia. Le contaminazioni tra sport funzionano sempre e quel giorno lo invitai per parlare con i ragazzi del valore del successo. Fu un bell’incontro, che credo sia rimasto nella mente di tutti i partecipanti dell’epoca”.
    Il capitolo sulla pallavolo è dedicato alla Generazione dei Fenomeni e alla sconfitta di Atlanta ’96.
    “Ho raccontato la cronistoria di un gruppo che ha vinto tutto e molto di più. Quest’anno, in occasione del trentennio dai mondiali 1990, ho letto molte celebrazioni, ma in ogni racconto c’è sempre quella seccante postilla della finale con l’Olanda. Ciò che ho voluto ribadire e ho cercato di far capire al lettore è che una sconfitta, per quanto dolorosa come in quell’Olimpiade, non può cancellare i trionfi e il fantastico percorso che quella squadra ha fatto sotto la guida di Velasco e Bebeto. Era un team ineguagliabile, composto da atleti contro cui ho avuto l’onore di giocare e che furono in grado di creare un’incredibile interesse attorno al nostro sport”.
    Ne parlò mai con qualcuno di loro?
    “Conosco molto bene Luca Cantagalli, con il quale ho lavorato a Reggio Emilia, ma per rispetto non ho mai cercato di approcciare l’argomento Atlanta. Quei momenti, se non sono vissuti in prima persona, non si possono comprendere per davvero. Ma mi è capitato di assistere a interviste di Julio Velasco o di Bernardi, in cui hanno fatto capire il fastidio che provano ogni volta che sono costretti ad affrontare quell’argomento”.
    Giani ha dichiarato che non ha vissuto a lungo con lo spauracchio dell’ultimo punto perso.
    “E ha fatto bene, perché quel punto non potrà mai intaccare una carriera straordinaria come la sua”.
    Travica invece mi ha confessato che da una semifinale scudetto persa si è ripreso dopo molti mesi.
    “Capisco il suo pensiero. Anche io ho vissuto molto male alcune sconfitte, ma bisogna riuscire a metabolizzarle e andare avanti. Però apprezzavo di più quelli che si chiudevano in un cupo silenzio piuttosto che quelli, e mi creda ne ho visti parecchi anche in serie A, che entrati nello spogliatoio dopo una partita persa chiedevano dove si andasse a cena o in discoteca. Una sconfitta non può e non deve condurre alla depressione, ma nemmeno essere dimenticata dopo un paio di minuti, altrimenti significa che a quella gara non ci tenevi poi molto”.
    La sua reazione più plateale?
    “Ai tempi della A1 dovetti rinunciare a partecipare al matrimonio di mia sorella a causa di una partita, che finimmo per perdere malamente. Rientrando nello spogliatoio un compagno di squadra fece una battuta scherzosa: mi avventai su di lui e lo presi per il colletto della maglia, con i compagni che dovettero separarci a forza. Era un amico, uno di quelli a cui ero più legato in squadra. L’episodio finì lì e cinque minuti dopo mi scusai con lui. Il mio gesto era ingiustificato, ma in quel momento non riuscivo ad accettare quel tipo di atteggiamento”.
    Ci sono giocatori ma anche allenatori che proprio non digeriscono la sconfitta. Ne ha avuti?
    “(ride, n.d.r) Nei primi anni l’allenatore di una squadra di serie A si buttò a terra in spogliatoio perché era furibondo con noi per un 3 a 0 subito in casa. Era molto teatrale negli atteggiamenti e aveva un carattere molto forte. Tanto che un giorno un compagno gli fece un verso modello Cassano, quando imitava gli allenatori dietro le spalle. Appena il coach lo vide scoppiò un putiferio e dovemmo interrompere l’allenamento per dividerli”.
    Le vittorie, invece, quanto sono difficili da vivere?
    “Molto, a volte anche più delle sconfitte. Perché alla gioia per il traguardo raggiunto segue l’ansia da prestazione di poter fare meglio. Di dover fare meglio. Penso alla generazione di Velasco, per cui dopo ogni trionfo tutti si aspettavano che sarebbero stati in grado di fare ancora di più. Non è solo il pubblico, la società o la federazione che ti chiedono di alzare l’asticella, ma è la tua professione che ti spinge a guardare sempre più in alto”.
    La tennista Schiavone ha scritto recentemente che, dopo il successo al Roland Garros, non è più riuscita a pensare alla vittoria in maniera concreta.
    “Perché non è facile restare con i piedi per terra dopo un successo del genere. È importante non perdere la bussola, non farsi svuotare dall’appagamento. Se una mattina ti svegli e ti accorgi che il punto più alto della tua carriera è ormai alle spalle e non riesci più a spingere al 100%, significa che è l’inizio della fine. Perdere fa male, deve fare male, altrimenti non è sport. Se la sconfitta non ti pesa più come una volta, forse è arrivata l’ora di pensare ad altro”. LEGGI TUTTO

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    Matteo Sperandio rilancia Porto Viro: “Vogliamo finire ciò che avevamo iniziato”

    Di Roberto Zucca
    Tra i cavalieri che fecero l’impresa con la Biscottificio Marini Delta Porto Viro, quella cioè di dominare gran parte della scorsa stagione della neonata Serie A3, lui rappresenta un po’ il Lancillotto della situazione. Matteo Sperandio, da centrale poliedrico e non solo, è alla sua seconda stagione nel club veneto, dove confessa di trovarsi come in famiglia:
    “È una bellissima realtà, fatta di molte persone che amano questo sport e che per una realtà piccola come la nostra danno l’anima. In un mondo come quello di questa pandemia ho visto molte squadre correre ai ripari per la riduzione degli ingaggi o per salvare il salvabile della stagione precedente. A Porto Viro hanno cercato in primis di tutelare e salvare noi. Questo è stato un bel messaggio, per cui ho scelto di proseguire in questa squadra”.
    Fino al rinvio della partita contro Bolzano eravate gli unici a riuscire a giocare con continuità…
    “Eh, purtroppo so di tante squadre ferme a causa dei contagi e mi spiace dover affrontare un campionato in queste condizioni. Noi siamo stati gli unici fin qua ad aver disputato tutti gli incontri previsti, e questo ci ha permesso di iniziare con una bella scia di cinque vittorie che ha galvanizzato la squadra. Penso ad alcune squadre che, ahimè, hanno esordito soltanto la scorsa settimana”.
    L’obiettivo di Porto Viro è ripetersi?
    “Sì. Abbiamo concluso la scorsa annata non per nostro volere, ma per la triste vicenda Covid. Sino a quel momento avevamo disputato un’ottima stagione e quest’anno vogliamo, diciamo, finire ciò che è stato intrapreso”.
    Insomma, obiettivo A2?
    “(ride, n.d.r.) L’obiettivo è portare questa società, questi tifosi che ci seguono anche a distanza con tanto affetto, dove meritano. Mettiamola così. Se dovesse esserci una promozione, è ovvio, saremmo tutti quanti felici di far parte di qualcosa di più della serie A3”.
    È vero che segui anche il marketing della società?
    “Mi occupo di comunicazione e marketing per lavoro, perché fortunatamente il campionato mi permette di avere degli incarichi professionali. Mi piace dire che sono un consulente che supporto la squadra. Sono una persona con le sue idee precise nell’ambito della comunicazione e del marketing. Mi fa piacere se in questo riesco a dare una mano”.
    La mano gliel’hanno chiesta anche quelli dell’AIP?
    “Compatibilmente con i miei impegni. Vorrei fare di più ma il lavoro e la pallavolo non me lo consentono. Di mio c’è stato un grande impegno nella costituzione di questa associazione e nel credere che un organismo così potesse avere una grande importanza nel nostro mondo, una sua valenza e un valore aggiunto”.
    I risultati si iniziano a vedere? Penso ai casi Lanza e Baranowicz.
    “C’è sicuramente più unione di intenti. Si capisce che stiamo andando tutti dalla stessa parte, e non tanto per porci come antagonisti, ma come dei partner che si affiancano al mondo della pallavolo per fare sì che siano introdotte normali tutele per i lavoratori. Perché anche noi, mi piace ricordare sempre, lo siamo”.
    Dicono che a Porto Viro sono in tanti ad essersi tesserati.
    “Siamo in tanti. Quasi il 100%. Per me è un risultato straordinario. In fondo siamo una squadra, siamo professionisti appartenenti allo stesso settore. La partecipazione e la condivisione sono importanti nel mondo del lavoro”. LEGGI TUTTO

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    Arthur Szwarc, il taglialegna di Cisterna: “Sono timido, ma in campo mi esalto”

    Di Redazione
    Così come un bravo “taglialegna” – soprannome affibbiatogli simpaticamente dallo speaker e addetto stampa della Top Volley Cisterna Giuseppe Baratta, e diventato il suo nickname durante le gare casalinghe – fa a pezzi e raccoglie i tronchi a disposizione, così Arthur Swarcz nelle ultime settimane ha fatto a pezzi qualsiasi cifra dei suoi record di punti personali adattandosi ad un ruolo, quello dell’opposto, che non gli appartiene:
    “È stata un’esigenza di cui ho parlato con il coach, che ho accettato pensando solo alla responsabilità richiesta. Sono contento che sia andata bene e sono felice del fatto che il mio apporto sia servito alla squadra. Spero che Giulio (Sabbi, n.d.r.) possa tornare presto in campo per darci il suo contributo. Io tornerò al mio ruolo di centrale e sarò ben felice di farlo”.
    Una giornalista canadese ha scritto recentemente che lei è esplosivo da opposto.
    “(ride, n.d.r.) Lo ringrazio molto e mi fa piacere se dall’esterno si sono percepiti la grinta e l’entusiasmo che ho messo in questo ruolo. In effetti in campo tendo a diventare tale, non tanto per il ruolo che ricopro, ma perché magari tendo ad esaltarmi dopo un punto fatto”.
    Nella vita invece è molto schivo.
    “Sono timido, lo ammetto. Un po’ perché ho ancora difficoltà con l’italiano e non riesco a parlarlo correttamente e un po’ perché di mio appaio così. Questo non significa che non noto l’affetto del pubblico, soprattutto qui a Cisterna, che mi lusinga molto”.
    Cisterna. Secondo anno. Mi dice le differenze rispetto alla scorsa stagione?
    “Siamo più ambiziosi. La società ha allestito un’ottima squadra e speriamo di iniziare a crescere partita dopo partita. Mi piacerebbe raggiungere un bel risultato qui alla Top Volley, perché non solo la società lo merita, ma anche tutta la città e i tifosi che ci seguono sempre”.
    Foto di Paola Libralato
    Per ora il campo non vi ha dato ragione. Cosa manca?
    “Sono convinto che nelle prossime settimane inizieremo a carburare maggiormente. Le prime gare, oltre ad avvertire qualche mancanza in campo, non siamo riusciti a trovare una continuità di risultato. Dobbiamo riuscire a fare partite come quella con Monza sempre, ogni domenica, per portare i punti a casa”.
    La parola “casa” mi fa venire in mente il suo Canada. Quanto le manca Toronto?
    “Il giusto. Qui in Italia mi trovo molto bene, ma la mia famiglia è lontana. Ho avuto modo di stare qualche settimana con loro in estate e siamo stati molto bene. Mio papà ha organizzato delle grandi giornate di pesca e siamo stati molto in famiglia e con gli amici. Insomma, sono riuscito a ricaricarmi per la nuova stagione che mi attendeva qui in Italia”.
    Mi spiega il significato del suo nickname “Woodcutter” (taglialegna)?
    “Dovete chiedere al nostro speaker. Un giorno mi sono presentato in palestra con una camicia a scacchi e lui mi ha detto che assomigliavo ad un boscaiolo canadese. Da qui è partito tutto. Ma ormai i tifosi mi chiamano così e anche io lo trovo simpatico!”. LEGGI TUTTO

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    Trevor Clevenot, anima da capitano: “Ho scelto Piacenza per il suo progetto ambizioso”

    Di Redazione
    Cresce, stagione dopo stagione. E forse la sua carriera è arrivata a una vetta che non aveva mai toccato prima d’ora. Le responsabilità a cui è stato chiamato in questa stagione Trevor Clevenot sono molteplici. La prima è sicuramente quella di essere il capitano della Gas Sales Bluenergy Piacenza:
    “Un ruolo di cui vado orgoglioso. È il mio primo anno da capitano. La vivo in maniera assolutamente serena, perché penso che il lavoro sia sempre lo stesso e se fatto con dovere e con responsabilità una fascia in più non ne cambia il profondo significato. La mia è una squadra di atleti con una storia, un vissuto professionale molto importante. È bello stare in campo con loro”.
    Piacenza dalle due anime. Alle volte disputa partite stellari, altre volte fatica e non poco.
    “Fa parte del gioco e dobbiamo lavorare per non subire dei cali. Stiamo cercando di porre rimedio ad un inizio di stagione non proprio in linea con le aspettative e abbiamo dimostrato di poter giocare delle gare di buon livello”.
    Perché ha scelto ancora Piacenza?
    “Per il progetto ambizioso che mi è stato proposto alla fine della scorsa stagione. La campagna acquisti è stata importante e il lavoro fatto dalla società ineccepibile. E poi a Piacenza sono legati dei begli anni della mia carriera. Qui mi ero trovato molto bene e ho deciso di ritornarci”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Un percorso sempre in crescita. Due stagioni a Piacenza e due a Milano. Che ricordi ha?
    “Al di là dello stop per il coronavirus che è stato durissimo per tutti, il ricordo che ho è di annate in cui ho cercato di dare il massimo. Ho passato gli ultimi mesi a Milano senza potermi allenare, e poi Piacenza mi ha dato la possibilità di trasferirmi qui un po’ prima dell’inizio della stagione. Vorrei andare avanti e pensare che questo momento saremo in grado di buttarcelo alle spalle il prima possibile”.
    Gli anni di Tolosa invece cosa le hanno insegnato?
    “A capire che questa era la vita che volevo. Mi mancano i miei amici, la famiglia, perché non ho avuto modo di stare con loro in estate. In quei momenti pensi che la vita che vuoi fare porta con sé questi sacrifici”.
    Questo virus ha tolto la possibilità di viaggiare. So che lei ama farlo.
    “Sì, mi piace molto. Farlo da giocatore è ben diverso che farlo da semplice turista. L’aria che ho respirato in California, ad esempio la ricordo con molta nostalgia. Quei parchi, il Grand Canyon, tutto meraviglioso”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Il viaggio a Tokyo per le Olimpiadi vorrebbe farlo?
    “Sì, eccome. Ci spero e vorrei prendere parte a tutto questo. So che avrò anche un’altra possibilità a Parigi nel 2024, e giocare nel mio Paese una competizione così importante mi riempirebbe di orgoglio. Lavoreremo nei prossimi mesi con il nuovo assetto per fare sì che tutto possa diventare realtà”.
    Mi racconta un po’ chi è Trevor fuori dal campo?
    “Un ragazzo normalissimo, a cui piace stare con gli amici o con la propria compagna”.
    So che non ama parlare della sua privata. Posso chiederle qualcosa di più della sua compagna?
    “(ride, n.d.r.) Si chiama Sara. Ci siamo conosciuti qui a Piacenza. E siamo felici”. LEGGI TUTTO

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    Sfida in famiglia per Roberto Pinali: “Sono sempre stato più forte di Giulio…”

    Di Roberto Zucca
    Bianco e nero. Due poli opposti, se vogliamo non proprio agli antipodi, ma certamente diversi. Ciò che accomuna questi due fratelli è la pallavolo, di ogni forma e in ogni modo, e un cognome che dice molto sulla vita di entrambi. Giulio è il fratello più famoso, ma Roberto Pinali, che quest’anno veste per il secondo anno la maglia del Motta di Livenza, dichiara di essere il più forte:
    “(ride, n.d.r.) Sì, sono sempre stato più forte di lui! Mi piace misurarmi con Giulio, ma anche giocarci assieme. Capita magari ai tornei in estate, e tra di noi si instaura sempre una competizione goliardica come quando eravamo ragazzini”.
    È orgoglioso del percorso di suo fratello?
    “Molto. È un giocatore molto forte ed è bello vederlo riuscire così bene in quello che fa. So quanta strada e quanto sacrificio ha dovuto fare per essere lì dov’è, quindi ogni suo successo è condiviso e mi riempie di orgoglio”.
    Mi dica cosa ruberebbe a suo fratello a livello di gioco e quale invece pensa sia il suo valore aggiunto.
    “Gli ruberei l’altezza. E la lunghezza e la forza delle braccia. Sono caratteristiche che lo rendono un giocatore molto forte nel suo ruolo. Se parliamo di qualcosa che mi distingue da Giulio direi la grinta. Lui è più razionale, talvolta più elegante. Io sono uno che in campo si mette in evidenza, perché sono più sanguigno, e mi si nota perché faccio più casino!”.
    Secondo anno a Motta di Livenza. Perché ancora la A3?
    “È un campionato stimolante nel quale niente è dato per scontato e dove si gioca giornata dopo giornata. È costituito da squadre molto diverse tra loro e nelle quali ci sono degli ottimi elementi. Per distinguersi ci vuole metodo e buon allenamento, cosa che Motta ha e per questo mi ha convinto a cercare la conferma in questa seconda stagione”.
    Esordio vincente, e Pinali è partito subito con 10 punti. Da chi dovrete guardarvi le spalle?
    “Ci sono delle ottime squadre, e tante come Porto Viro hanno allestito degli organici di livello. È un campionato dove ci vuole resistenza. Poi il fatto che non ci siano retrocessioni non è un motivo per sedersi. Anche perché l’obiettivo di Motta è di puntare alle zone alte della classifica”.
    Diverse squadre del vostro girone sono ferme causa Covid.
    “È un fattore che tutti abbiamo considerato alla ripresa. Ci sono squadre ferme e potenzialmente ogni settimana potrebbero essercene altre. Questo non deve distrarci o influenzarci. Si deve continuare con il lavoro in palestra e incrociare le dita affinché tutto vada per il meglio”.
    Cosa si aspetta dalla sua carriera negli anni a venire?
    “Mi piacerebbe salire in A2, magari con Motta, e fare un buon campionato. Credo che la differenza con la A2 non sia tanta e penso di poter dire la mia anche in una categoria superiore alla A3. In generale sono soddisfatto della strada che ho fatto. Forse avrei potuto pretendere qualcosa di più se avessi scelto di rimanere ancora a Modena, ma volevo giocare e sono contento così. Alla fine anche la B, con l’anno a Portomaggiore, mi hanno dato quella consapevolezza che serviva per capire cosa potevo e non potevo giocarmi in carriera”.
    Volley a parte, cosa c’è nella vita di Roberto Pinali?
    “Studio Architettura e Design Industriale alla San Raffaele di Roma. Avevo iniziato Design del Prodotto Industriale a Bologna, ma era troppo impegnativo farlo a distanza. Ho trovato la quadra e vorrei proseguire nello studio. Non so quanto riuscirei a vedermi in una vita legata solo alla pallavolo”.
    La sua compagna, Giorgia, è una pallavolista. Meglio poter parlare di pallavolo a fine partita?
    “A mio parere sì. Il confronto con lei trovo sia sempre positivo. Avere un’affinità lavorativa con la propria compagna è un qualcosa che avvicina. Io poi non sono uno di quelli che cerca di non condividere le proprie emozioni, le gioie o le proprie amarezze. E Giorgia su questo è sempre un grande supporto”. LEGGI TUTTO

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    Robertlandy Simon: “A Civitanova ho trovato una famiglia”

    Di Roberto Zucca
    Nei suoi occhi ci sono molti sentimenti contrastanti: l’ambizione, la forza fisica e morale, lo spirito di sacrificio, la sofferenza. Veder giocare Robertlandy Simon è un concentrato di emozioni. Non a caso, di quel Paese così nostalgico e fuori dal tempo quale è Cuba, Simon rappresenta un po’ tutto il meglio:
    “La mia storia è una storia lunga, complessa. La mia infanzia non è stata semplice, così come quella di tanti connazionali. La mia vita è stata sacrificante, ma non più di quella di tanti. Arrivo da un paese in cui la povertà ti restituisce la voglia di riscattarti, ma anche il coraggio di non arrenderti e la forza di essere sempre sorridente, perché questa è la vita”.
    Posso chiederle cosa conta davvero per lei nella vita?
    “La famiglia. La loro serenità, il fatto che posso contribuire a farli stare sereni. È la cosa che mi manca di più rispetto alle mie origini e alla mia infanzia trascorsa a Cuba”.
    Di quelli anni ha citato la povertà. Che rapporto ha adesso col denaro?
    “Il denaro è una sicurezza. Ti permette di poter essere utile agli altri, dando magari stabilità e serenità. La più grande soddisfazione della mia carriera è stato poter aiutare la mia famiglia. Non avere il pensiero di non poterti permettere delle cose ti va vivere certamente con maggiore tranquillità”.
    Foto FIVB
    La pallavolo è uno stile di vita. La frase che lei ha postato sul suo profilo Instagram.
    “È una manera. Un modo di vivere, di affrontare la vita. Ho iniziato molto giovane a praticare questo sport e la pallavolo mi ha accompagnato per tutto il mio percorso di crescita. Non so come sarebbe stata la mia vita senza questo sport, perché la pallavolo ne ha sempre fatto parte”.
    Quello stile di vita lo ha portato prima a Piacenza, poi a Civitanova.
    “L’Italia mi ha accolto e in Italia ho vinto tanto, ed è stata una grandissima soddisfazione. Mi sento benvoluto, amato. A Civitanova non ho trovato un team, ma una famiglia. Siamo una squadra che si rispetta ma siamo anche molto uniti. Trascorriamo molto tempo assieme anche al di fuori dal campo”.
    Il segreto di Civitanova: il trio cubano o l’essere una squadra?
    “Essere una squadra. Io, Osmany e Leal siamo parte di un gruppo nel quale ognuno ha il suo peso, le sue responsabilità. Non si vince grazie a noi tre ma si vince con il gruppo unito. Noi portiamo all’interno dello spogliatoio una mentalità latina che è molto simile a quella italiana. Ci piace sentirci parte di un gruppo e poter contare l’uno sull’altro”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Bilancio di questa prima parte di campionato?
    “Abbiamo lasciato un punto per strada e lavoriamo affinché l’affiatamento e il gruppo cresca partita dopo partita. È un bel campionato, che finché potrà andare avanti è davvero molto bello da giocare. La gara contro Ravenna di qualche settimana fa ci ha dato nuovi stimoli e nuove sfide che dobbiamo affrontare, trovando una solida continuità”.
    Cinque stagioni in Italia. Mi dica il compagno di squadra e l’avversario più forte che ha incontrato sulla sua strada?
    “Ce ne sono tantissimi. Un compagno di squadra che mi ha lasciato il segno è stato sicuramente Bruno. Fortissimo, molto tenace, era uno che anche in spogliatoio si sentiva. Sugli avversari le direi tanti, da Anderson a Juantorena. Giocatori così è meglio sempre averli dalla stessa parte del campo”.
    Al di fuori del campo è nota ai più la sua avventura nella ristorazione.
    “Quando ero in Brasile mi sono innamorato delle churrascharie, e così quando sono arrivato a Civitanova sono subito andato a cercare di mangiare brasiliano, ma senza successo. E così ho detto, perché no? Sono socio di un locale che si chiama Madeira ed è proprio a Civitanova. Ora mi piacerebbe lanciarmi nella cucina stellata”
    Tempi duri per la ristorazione?
    “Sono tempi duri per tutti. È dura per la ristorazione perché hai comunque i lavoratori da pagare, nonostante che la sera, ad esempio, ci siano delle restrizioni, e il business ne esce fortemente danneggiato. Speriamo di venirne fuori presto”.
    Il futuro di Simon. Se lo immagina?
    “Per ora sicuramente in Italia. Poi si vedrà. A Civitanova sto molto bene e ho anche delle attività da portare avanti oltre al volley. Quando smetterò di giocare non so, magari allenerò una squadra di ragazzi o sarò un imprenditore, o tutte e due le cose. Chissà!”.
    Per ora la cosa importante è vincere con Civitanova.
    “Quello sempre”. LEGGI TUTTO

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    Felice Sette crede nella Sieco Service Ortona: “Possiamo arrivare in alto”

    Di Roberto Zucca
    Il suo esordio stagionale contro Reggio Emilia è di quelli che lasciano il segno. Nella prima giornata di Serie A2 maschile, Felice Sette ha sostituito infatti con molto onore l’ucraino Shavrak e ha contribuito, con una prova ottima, a portare a casa i primi tre punti per la Sieco Service Ortona:
    “Shavrak non era al 100% e coach Lanci mi ha dato piena fiducia. Sono molto contento dell’inizio di stagione con Ortona. A Reggio abbiamo dimostrato carattere e sicurezza nelle fasi importanti della gara. Speriamo di proseguire sulla falsariga delle prime due giornate”.
    Che spazio avrà Sette nella nuova Ortona?
    “Vorrei trovare spazio nella misura in cui il tecnico vorrà darmelo. Ortona è una squadra nella quale da subito si è creato una bella intesa con i compagni di squadra ed è una società veramente professionale. È un ambiente che mi piace e nel quale vorrei continuare a fare bene”.
    È anche una squadra che in alcune annate ha rappresentato un banco di prova importante per tutte le compagini più forti della A2.
    “È una squadra che può far bene e può arrivare in alto. Quest’anno ci sono delle signore squadre, penso a Taranto ad esempio che ha fatto uno squadrone. Ma anche la stessa Castellana che ha un bell’organico. In generale tutte le compagini si sono rinforzate in questa stagione. Sarà un campionato bello da vedersi e da giocarsi”.
    Dicono che lei sia uno che tiene alto il morale dello spogliatoio…
    “Forse perché sono una persona estroversa. Ortona in questo è un bel banco di prova, perché lo spogliatoio è fatto da ragazzi con cui mi trovo molto bene”.
    Foto Lega Pallavolo Serie A
    Negli scorsi anni lei ha molto ben figurato anche nel Beach Volley. La pallavolo è un approdo sicuro?
    “La pallavolo è il mio sport. È una disciplina che ho sempre cercato di praticare col massimo impegno. Tanto che l’obiettivo nei prossimi anni è quello di continuare ad investire le energie nel volley e cercare di diventare un buon giocatore di A2. Il beach per ora resta un bel divertimento estivo che mi lega a molte persone, e uno sport che mi ha regalato moltissime emozioni”.
    Di Tommaso, suo coach, cosa le ha insegnato più di tutto?
    “Disciplina, spirito di sacrificio, senso del dovere. È un allenatore, oltre che un carissimo amico, con il quale mi confronto spesso. È in grado di trasmetterti fiducia ed entusiasmo. Nel beach porto anche questo, sono uno che in campo non si arrende mai”.
    Scudetto Under 21 nel 2015, poi Europei e Mondiali. Nei prossimi anni cosa si aspetta?
    “Di giocare delle belle partite sulla sabbia e di continuare a vincere qualche titolo. Proseguirò con il lavoro fatto magari con Paolo Di Silvestre dopo la fine delle nostre stagioni pallavolistiche e speriamo di toglierci qualche altra soddisfazione”. LEGGI TUTTO