More stories

  • in

    Schwartzman, crisi senza fine

    Diego Schwartzman (foto Getty Images)

    Per chi ha ancora negli occhi l’eccezionale prestazione di Schwartzman agli Internazionali d’Italia 2020, quando sconfisse niente di meno che El Rey Rafa Nadal sull’amato rosso, o tante altre splendide vittorie dell’argentino, è incredibile constatare la crisi nerissima nella quale Diego è sprofondato da molti mesi. Il 31enne albiceleste ha perso all’esordio anche a Pechino, battuto da Zverev. Un pessimo avversario per iniziare un torneo, ma Schwartzman si è fermato al primo turno quest’anno per ben 15 volte. Sommando anche i suoi ultimi 4 tornei del 2022 (tutte sconfitte all’esordio), sono ben 19 le “grandi L” subite nel primo match dei suoi ultimi 28 eventi disputati. Davvero una miseria per un giocatore che grazie a due gambe formidabili e tanta intensità è stato in grado battere i migliori giocatori, issarsi al n.8 del ranking ATP e vincere 4 tornei.
    Attualmente è al n.133 della classifica mondiale. Il nativo di Baires è sprofondato in una crisi così profonda, sia tecnica che di fiducia, che non sarà per lui affatto facile uscirne e ritrovare una condizione accettabile, degna del suo ottimo talento. Ha certamente fatto molta fatica ad arrivare nel grande tennis, c’è una parte di usura fisica e mentale importante, ma è davvero singolare assistere ad un crollo così fragoroso in soli 18 mesi.
    È uscito all’esordio nei tornei di Tel Aviv, Anversa, Vienna, Parigi Bercy, Auckland, Cordoba, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago del Cile, Phoenix, Estoril, Madrid, Cagliari, Roma, Lione, Washington, New York, Zhuhai e Pechino. Il miglior risultato del “Peque” nel 2023 è stato il terzo round del Roland Garros, dove ha perso contro il greco Stefanos Tsitsipas. Il suo bilancio è un misero 9-22.
    Nel ranking dello scorso 3 ottobre era n.17, e dal marzo 2018 a fine 2022 era sempre stato tra i migliori 25 al mondo. In più interviste, già dallo scorso autunno, ha parlato dei suoi problemi e soprattutto della terribile frustrazione per l’incapacità di invertire la rotta, nonostante a suo dire non abbia affatto diminuito intensità e qualità del lavoro. Afferma di giocare ancora un buonissimo tennis in allenamento, ma in partita niente funziona.
    È di pochi giorni fa la notizia della rottura del rapporto di collaborazione con il suo allenatore, il connazionale Juan Ignacio Chela. In precedenza, a New York, aveva tracciato un bilancio durissimo della sua situazione, dopo l’ennesima battuta d’arresto al primo turno contro il francese Arthur Rinderknech. “Provo sentimenti molto brutti, in tutti i sensi: nel tennis, nella concentrazione, nell’atteggiamento. Negli Slam dove di solito trovo buon gioco sono stato scandaloso, qua la mia peggior partita. È un brutto anno e questa partita è stata coerente con la stagione”, ha affermato con brutale franchezza al magazine argentino El Grafico. “Mi è davvero difficile ritrovare buone sensazioni. L’anno è brutto, ho perso molte posizioni in classifica e non mancano più molti tornei per invertire la rotta. Speri sempre di scendere in campo e fare clic, riaccendere la luce e sentirti di nuovo bene in partita, ma oggi come negli altri eventi ha vinto la frustrazione. Se scendo in campo con un atteggiamento negativo, si complica tutto”. Un’analisi davvero franca e dura della propria situazione, che gli fa onore ma che non lascia affatto tranquilli per il suo futuro sportivo.
    Diego ha raccontato in passato la sua storia travagliata, i tanti problemi economici che l’hanno fatto esplodere tardi. La sua famiglia fu colpita duramente dalla crisi economica, che coincide con l’infanzia del tennista. Gli Schwartzman, membri della buona borghesia della capitale, attivi in vari settori commerciali, persero tutto e tirare avanti divenne difficile, ancor più sostenere il sogno sportivo del piccolo Diego. La madre Silvana ha sempre creduto nella carriera del figlio, ha fatto grandi sacrifici ed economie su tutto, arrivando a produrre e vendere braccialetti di gomma durante le partite del figlio. “Erano due competizioni in una” ha raccontato El Peque al sito ATP, “Quando impari a vincerle entrambe, salvare una palla break o un match point è più facile”. Pochi soldi, e tanti che gli consigliavano di smettere vista la bassa statura. Niente, Dieguito è stato più forte di ogni difficoltà, e possiamo dire ce l’ha fatta. Anche per questo spiace oggi ritrovare un ragazzo così corretto e con una storia così complessa in una crisi così profonda. Animo Diego!
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    ATP 500 Pechino: Arnaldi domina Wolf, eccellente prestazione dell’azzurro

    Matteo Arnaldi (foto Getty Images)

    Personalità, qualità tecnica e fisica, lucidità nel trovare la giocata corretta per la situazione in campo senza esagerare, con misura e sostanza. Quanto piace e convince il tennis di Matteo Arnaldi, autore di un’altra prestazione maiuscola all’ATP 500 di Pechino, dove all’esordio ha demolito JJ Wolf con un secco 6-2 6-2 che ben spiega la nettissima differenza tra i due giocatori nel corso del match. L’azzurro ha condotto la partita con un tennis pratico, razionale e molto efficace, giocando alla perfezione i suoi turni di servizio – non ha concesso alcuna palla break e solo 9 punti complessivi al rivale – e strappando ben 4 break in risposta. È stato perfetto nel contenere le sfuriate del 24enne di Cincinnati, non regalando niente e portandolo spesso a colpire da posizioni scomode, provocandone i troppi errori. Wolf ha provato all’avvio ad aprire gli angoli e muovere Matteo, ma l’azzurro è andato “a nozze” con quel tipo di gioco, bravo ad anticipare i colpi e quindi spostare a sua volta l’americano, mettendolo in grave difficoltà viste le sue modeste doti difensive. Troppa fretta e pochissima misura nell’accelerare la palla hanno condannato JJ a una pesante sconfitta.
    Di partita ce n’è stata davvero poca, perché fin dalle prime battute si è intuito la nette differenza di solidità ed efficacia tra i due. Wolf è il classico “colpitore” da cemento: se trova la giornata in cui sente bene la palla e può colpire da fermo, dal centro del campo, e soprattutto prende ritmo con la prima di servizio, può essere un tennista scomodo da affrontare. Forte di buoni turni di servizio, si mette a sparare a tutta in risposta e, se gli stanno in campo, può diventare pericoloso. Purtroppo per lui, il suo castello tecnico-tattico si è sgretolato come sabbia al vento, il vento del tennis terribilmente efficace e risoluto di Arnaldi. Wolf ha servizio male (solo il 50% di prime in campo) e soprattutto sulla seconda di servizio è stato assai negativo. Oltre al servizio, ha fatto pochissimo in risposta, vinto la miseria di 4 punti contro la prima di Matteo e solo 5 sulla seconda, praticamente niente.

    Early candidate for shot of the week in Beijing pic.twitter.com/kT6Bff5j61
    — José Morgado (@josemorgado) September 28, 2023

    Ma c’è stato molto di più del rendimento sui colpi d’inizio gioco a condannare l’americano. Arnaldi è stato nettamente superiore nello scambio, rapido nell’arrivare bene sulla palla, anche sulle accelerazioni angolate di Wolf, e rigiocare colpi che hanno mandato all’aria l’avversario, incapace di scattare rapido col primo passo e trovare una corretta distanza per colpire in sicurezza. Ha sparacchiato tanto e male lo statunitense, troppi errori (10) a fronte di soli 8 vincenti. Matteo invece ha chiuso con 22 winner e 9 errori, altro dato eccellente, che si aggiunge al 61% di punti vinti sulla seconda dello statunitense e il 75% di punti vinti sulla propria seconda di servizio. Arnaldi ha dominato il match, è stato lucido, pratico, sbagliato pochissimo con massimo rendimento in ogni suo colpo. Troppo falloso e fragile il rivale, ma il merito in gran parte della prestazione così sicura ed efficace dell’azzurro.
    Al prossimo turno Arnaldi aspetta il vincente di Jarry vs. Tsitsipas, sarà tutt’altra partita, una bella sfida in ogni caso. La sensazione è che dovremo abituarci a commentare prestazioni di questo livello, intelligenza e sostanza da parte di “Arna”. Più lo vedo giocare, più sono convinto che Matteo si stia rendendo conto, match dopo match, di quanto sia forte… Una consapevolezza che lo porterà molto, molto in alto.
    Marco Mazzoni

    La cronaca
    Il match inizia con Wolf al servizio. L’americano è super aggressivo, serve forte e spinge a tutta fin dai primissimi punti. A 15 muove lo score. Ottimo anche il primo game di battuta di Arnaldi, tiene in mano l’iniziativa accelerando bene col diritto, 1 pari. Lo schema di Wolf è chiaro: dal centro del campo fa correre l’azzurro, una palla destra e la seguente a sinistra, apre molto gli angoli. Sul 40-30 nel terzo game arriva una magia di “Arna”: prova la smorzata, JJ ci arriva e spara un diritto che supera Matteo, bravo a mettere la racchetta dietro la schiena e rimandare la palla di là a campo aperto. Un successivo errore dello statunitense regala all’italiano la prima palla break del match. Non passa la palla corta di Wolf, BREAK Arnaldi, 2-1 e servizio. Molto bene Matteo in quest’avvio, i suoi colpi sono precisi, profondi, è rapidissimo nell’arrivare coi piedi sulla palla e comandare lo scambio, 3-1. Appena Wolf perde il comando nello scambio i suoi limiti di mobilità sono evidenti, gli manca la rapidità per fare il primo passo sulla palla, soprattutto sul lato sinistro. Arnaldi è perfetto al servizio, con una stop volley perfetta chiude un altro game a zero per il 4-2. In tre turni di servizio non ha ancora perso un punto, 12-0 (5 con la prima, 7 con la seconda dato questo eccezionale). Nel settimo game sul 30 pari Wolf commette un doppio fallo, troppa rotazione nell’effetto “kick” la palla scappa lunga ed è di nuovo palla break per l’azzurro. Se la gioca in modo chirurgico Matteo: risposta cross di rovescio, quindi altro rovescio ancor più stretto e carico di spin, Wolf arriva scomposto e cerca un improbabile accelerazione lungo linea che nemmeno trova il corridoio. Doppio BREAK Arnaldi, 5-2 e servizio. Fantastico Matteo, chiude 6-2 un set dominato, nel quale ha perso il primo punto al servizio sul 40-0. Tutto ha funzionato bene nel suo tennis, in spinta e nella copertura del campo, ha comandato il gioco con colpi rapidi, profondi, incisivi, mettendo a nudo i punti deboli dell’americano, gran colpitore ma con poca qualità in difesa. 40% di prime palle in campo per JJ, troppo poche.
    Secondo set, Wolf inizia alla battuta. Non un game comodo, sul 30 pari è costretto spingere al massimo, anche sul net, per sbaragliare l’ottima difesa di Arnaldi. Troppi errori in spinta del 24enne di Cincinnati, consapevole di non reggere una gara di corsa con il ligure, prende troppi rischi. Un altro diritto sparacchiato via con troppa fretta gli costa un’immediata palla break. La salva Wolf buttandosi a rete al termine di uno scambio prolungato. Uno smash malamente tirato lungo (col sole in faccia) costa a JJ un’altra palla break. Niente, è davvero impreciso col diritto d’attacco, tanta fretta nel trovare il vincente. L’americano concede il BREAK che manda avanti l’azzurro 1-0 e servizio. Dopo 50 minuti di tennis perfetto, arrivano le prime sbavature di “Arna”, un regalo col diritto e un doppio fallo. Rimonta bene da un pericoloso 15-30, ritrovando precisione, per il 2-0. Wolf continua ad alternare grandi accelerazioni e brutti errori. L’ennesimo disastro di tocco sul net ai vantaggi gli costa un’altra palla break. Stavolta JJ se la gioca con più cautela, attacco con margine e volée sicura a chiudere. Gli è fatale la seconda PB, stavolta è il diritto a tradirlo, una scudisciata sparata a mezza rete con zero equilibrio. Arnaldi ringrazia e vola avanti 3-0 con DUE BREAK, il match sembra già in ghiaccio, anche perché l’azzurro nei suoi game è una macchina, colpisce con anticipo e accuratezza, comanda ma senza rischiare troppo. Un Ace e un doppio fallo, ma soprattutto un’altra splendida accelerazione di rovescio cross che Wolf guarda sfilare vincente, senza nemmeno provarci. 4-0 Arnaldi. Il match scorre senza altri sussulti fino al termine. Matteo serve per chiudere sul 5-2, con un altro ottimo turno di servizio, senza alcun patema, chiude l’incontro e vola al secondo turno, dove attende il cileno Jarry o Tsitsipas. Bravo Matteo!

    [Q] Matteo Arnaldi vs [Q] J.J. Wolf ATP Beijing Matteo Arnaldi66 J.J. Wolf22 Vincitore: Arnaldi ServizioSvolgimentoSet 2M. Arnaldi 15-0 15-15 30-15 40-15 40-305-2 → 6-2J. Wolf 0-15 15-15 30-15 40-15 40-305-1 → 5-2M. Arnaldi 15-0 30-0 30-15 40-154-1 → 5-1J. Wolf 0-15 15-15 30-15 40-154-0 → 4-1M. Arnaldi 15-0 15-15 30-15 ace 40-15 40-30 df3-0 → 4-0J. Wolf 0-15 15-15 ace 30-15 ace 30-30 40-30 40-40 40-A 40-40 40-A2-0 → 3-0M. Arnaldi 0-15 15-15 15-30 df 30-30 40-301-0 → 2-0J. Wolf 0-15 15-15 15-30 30-30 40-30 40-40 40-A 40-40 40-A0-0 → 1-0ServizioSvolgimentoSet 1M. Arnaldi 15-0 ace 30-0 40-0 40-15 40-305-2 → 6-2J. Wolf 15-0 30-0 30-15 30-30 30-40 df4-2 → 5-2M. Arnaldi 15-0 30-0 ace 40-03-2 → 4-2J. Wolf 0-15 15-15 30-15 40-15 40-303-1 → 3-2M. Arnaldi 15-0 30-0 40-02-1 → 3-1J. Wolf 0-15 15-15 30-15 30-30 40-30 ace 40-40 40-A1-1 → 2-1M. Arnaldi 15-0 30-0 40-00-1 → 1-1J. Wolf 15-0 30-0 40-0 40-150-0 → 0-1
    !DOCTYPE html >Statistiche Partita Tennis: Arnaldi vs Wolf

    Statistiche
    Arnaldi
    Wolf

    Aces
    4
    3

    Double Faults
    3
    1

    First Serve
    21/41 (51%)
    28/56 (50%)

    1st Serve Points Won
    17/21 (81%)
    18/28 (64%)

    2nd Serve Points Won
    15/20 (75%)
    11/28 (39%)

    Break Points Saved
    0/0 (0%)
    2/6 (33%)

    Service Games Played
    8
    8

    Return Rating
    213
    44

    1st Serve Return Points Won
    10/28 (36%)
    4/21 (19%)

    2nd Serve Return Points Won
    17/28 (61%)
    5/20 (25%)

    Break Points Converted
    4/6 (67%)
    0/0 (0%)

    Return Games Played
    8
    8

    Net Points Won
    6/8 (75%)
    6/13 (46%)

    Winners
    22
    8

    Unforced Errors
    9
    10

    Service Points Won
    32/41 (78%)
    29/56 (52%)

    Return Points Won
    27/56 (48%)
    9/41 (22%)

    Total Points Won
    59/97 (61%)
    38/97 (39%)

    Max Speed
    207 km/h128 mph
    218 km/h135 mph

    1st Serve Average Speed
    186 km/h115 mph
    181 km/h112 mph

    2nd Serve Average Speed
    151 km/h93 mph
    139 km/h86 mph LEGGI TUTTO

  • in

    Laver Cup, “anno zero”

    Rod Laver insieme ad alcuni dei protagonisti a Vancouver

    Discussa, seguita, amata, osteggiata. Da alcuni esaltata. Si è detto e scritto di tutto e di più sulla Laver Cup, esibizione creata dal team manageriale di Roger Federer nel 2017 e giunta quest’anno alla sua sesta edizione, in scena da questa sera a Vancouver, ma di sicuro l’evento che segna l’inizio dell’autunno non lascia indifferente il mondo della racchetta. Nonostante lo scetticismo di molti – giustificatissimo – la Laver Cup ha riscosso anno dopo anno un successo enorme, crescente. Lo dicono gli ascolti in tv, tra i più alti registrati dai broadcaster di tutto il mondo; lo conferma il botteghino, con biglietti pagati a peso d’oro praticamente sold out settimane (a volte mesi) prima dell’evento, nonostante prezzi esagerati per una “esibizione”. La portata della manifestazione ha finito per dargli pure un posto ufficiale nel calendario ATP, pur non assegnando punti. Fu a suo tempo una corta di certificazione, tutt’altro che scontata.
    Laver Cup è sinonimo di Roger, colui che ha pensato che sarebbe stato bello ricreare anche nel tennis una sorta du Ryder Cup, uno dei massimi eventi della stagione del golf, con un team europeo che sfida in una tre giorni di gare quello del resto del mondo. Affare questo ancor più centrato in un’epoca moderna dominata dai giocatori europei (l’ultimo vincitore Slam non nato nel vecchio continente è Del Potro, anno 2009…). La potenza del “marchio” Federer è stata sicuramente decisiva ad imporre un’esibizione che ha un senso logico, copiando un altro evento di enorme tradizione e successo, ma non è stato solo questo ad essere la sua fortuna. Vari sono infatti i suoi punti di forza: 1) un formato eccellente, innovativo, che punta sull’aspetto squadra per creare show. La Davis è (anzi, era…) la massima manifestazione a squadre, ma… “che figata” vedere Roger e Rafa che esultano insieme, giocano il doppio insieme, danno consigli a Tsitsipas, Berrettini o Zverev. Non c’è un altro momento dell’anno in cui puoi vedere questo. 2) bellissimo il campo, le luci, le grafiche, l’atmosfera. Ha fatto scuola, copiato da lì a poco da molti. Con quel già iconico campo di colore quasi nero, da late-show. Chi ha studiato visivamente l’evento, è da Oscar. 3) le vagante di dollari investiti, anche da sponsor che hanno fiutato il business sicuro, è aiutato non poco a tenere in piedi la baracca e coinvolgere i migliori. 4) la presenza dei migliori ha finora tenuto in vita la Laver Cup, non c’è un altro weekend in cui potevi vedere moltissimi dei giocatori più amati tutti insieme, giocando insieme, con uno spirito leggero, di squadra, a fare spettacolo in campo.
    Già, i migliori. Quest’anno, dopo il commovente addio di Federer arrivato proprio nella Laver Cup 2022 di Londra, i migliori non ci sono. C’è Roger sì, ma a far da anfitrione, uomo immagine, non ci sarà in campo (almeno questo sappiamo… che colpaccio di scena sarebbe invece ritrovarlo all’improvviso almeno in doppio… ma non credo accadrà). Che ne sarà della Laver Cup senza Roger, Rafa, Novak, Andy e via dicendo? Reggerà l’urto di un anno con ottimi giocatori, ma non esattamente le icone della disciplina? Manca pure Kyrgios, che è amato e parimenti odiato, ma lui da solo è capace di muovere lo show in un evento che sembra cucino su misura per la sua taglia.
    Ci sono tutte le idee e programmi affinché la LC vada avanti negli anni, contratti firmati, ecc. Ma… se quest’edizione che vede come star Rublev, Shelton, Auger-Aliassime, Tiafoe, Hurkacz, Ruud e Fritz fosse un flop clamoroso di presenze e soprattutto ascolti tv, sicuramente ci saranno dei ripensamenti.(Federer in campo a Vancouver alla Laver Cup in un evento per ragazzi)

    🎾 A Roger Federer comeback on the cards? Who says no? (Ok, maybe his knee says no) 😝😭
    📸 scottrintoulpro IG pic.twitter.com/USwP4FyKbd
    — Olly 🎾🇬🇧 (@Olly_Tennis_) September 21, 2023

    Ritengo che l’aspetto che più ha distinto l’evento dal resto dell’annata tennistica è il tennis stesso prodotto dai giocatori. È un’esibizione, quindi non ci sono in palio punti in classifica, quindi zero stress. Ma quando si affrontano i migliori, beh, nessuno ci sta a perdere in nome dello show… Quindi i campioni delle passate edizioni giocavano match discretamente tirati ma senza il coltello tra i denti, concedendo colpi allo spettacolo. Potevi vedere Rafa tirare dei vincenti clamorosi e fare serve and volley quasi perfetti, un Campeon meno “duro” rispetto al resto dell’anno produrre un tennis più leggero e divertente, lasciando l’ascia di guerra nel borsone ed esaltando la sua mano fatata. Idem per Nole e tutti gli altri. Si vedeva in ogni match competizione vera ma senza lacrime e sangue, e questo tennis un po’ meno estremo e muscolare è piaciuto tantissimo al pubblico, che poi tra un punto e l’altro aveva pure l’happening delle reazioni degli altri nelle panchine. Uno spettacolo, ovviamente, puro entertainment, ma la gente si è divertita e va benissimo così.
    A poche ore dall’avvio della Laver Cup c’è curiosità per scoprire se i protagonisti di quest’anno, forti ma non icone del gioco, riusciranno a ricreare le stesse emozioni e pathos delle annate scorse. Sarà un aspetto decisivo per il futuro dell’evento, perché senza divertimento e seguito, nessuna manifestazione può avere un futuro. Di sicuro gli organizzatori cercheranno per il 2025 di recuperare qualche big, e presentare i giovani che più sono seguiti e interessano, Alcaraz, Sinner, Rune, oltre Shelton che sarà a Vancouver. La loro presenza avrebbe dato alla Laver Cup 2023 tutt’altra vetrina.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Demonizzare i nostri campioni fa male solo a noi stessi

    “L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo”. Così Treccani definisce la parola Cultura. Ancora: “l’idealizzazione, e nello stesso tempo la scelta consapevole, l’adozione pratica di un sistema di vita, di un costume, di un comportamento, o, anche, l’attribuzione di un particolare valore a determinate concezioni o realtà, l’acquisizione di una sensibilità e coscienza collettiva di fronte a problemi umani e sociali che non possono essere ignorati o trascurati”.
    Cultura equivale a pensiero, a riflessione. A quello che ci eleva sulle cose e ci pone come esseri sociali, consapevoli, con conseguenti comportamenti e azioni. Cultura nella vita, e Cultura Sportiva.
    Già, la Cultura Sportiva. Quanto ne avremo bisogno… a tutti i livelli, dal mondo Pro a quello di base. Lo sport può essere scuola di vita, palestra per fisico e mente. Deve esserlo, ha un valore ancor più importante in questa società così mutevole, volubile e disgregata, dove la gente si isola nelle false certezze dell’hi-tech e perde umanità. Lo sport invece aggrega, ti insegna a stare al mondo e nel mondo. Insegna comportamenti e modelli, insegna ad esser un individuo sano nel corpo e nella mente, pronto a relazionarsi e vivere le proprie azioni sociali in modo consapevole. Insegna il valore del rispetto e dei ruoli, a spingerci a dare del nostro meglio per vincere e, soprattutto, il rispetto. Insegna a vincere e deve insegnare a perdere, cosa quest’ultima ancor più importante in un contesto sociale che premia solo il migliore, dimenticando o peggio deridendo tutti gli altri.
    Perché questa introduzione sociologica su di un sito di tennis? Perché ultimamente nel nostro mondo sportivo è in corso una campagna di demonizzazione dei nostri migliori atleti, tennisti inclusi. Uno sport al contrario quello del criticare a tutti i costi, del creare casi che non esistono pur di far parlare, cliccare, discutere all’infinito sugli s-t-r-a-m-a-l-e-d-e-t-t-i social.
    Il diritto di critica è parte inviolabile della libertà personale e di stampa, sempre deve essere tutelato. È fondamentale che ci sia, altrimenti saremo in un regime. Ma… c’è un abisso tra la critica costruttiva, quella che si basa su fatti oggettivi e che porta i lettori a pensare, a farsi un’opinione, e quella che invece ha come unico scopo il demonizzare una persona senza che questa abbia realmente compiuto azioni riprovevoli, buttando in un calderone infuocato di tutto e di più pur di trovare il modo per screditare il soggetto (o i soggetti) in questione. Atleti che tra l’altro hanno “fatto il proprio dovere” (per dirla nei termini degli inquisitori) più e più volte negli anni scorsi, che hanno regalato grandi emozioni nelle rassegne più importanti delle proprie discipline, fatto sognare tifosi, raggiunto grandi risultati con lavoro, rispetto e impegno. Esempi totalmente positivi di sport e di vita. Critiche quindi pretestuose, totalmente fuori fuoco, che nuocciono non tanto al soggetto quanto all’ambiente e/o alla squadra stessa. Allo sport in toto.
    Chi opera questo tipo di campagne sbaglia doppiamente. In primis perché demonizzare qualcuno ha quasi sempre l’effetto opposto: finisci per creare nella maggior parte di chi ti legge una reazione contraria, visto che una larga fetta di chi riceve tali informazioni ha – per fortuna – una discreta capacità di pensiero e capisce immediatamente che tutto quest’ambaradan è un architettura che si regge sul nulla. Per secondo, sbaglia perché può innescare il dubbio in chi è meno attrezzato per valutare, portandolo a seguire la corrente dei colpevolisti, incancrenendo una visione già distorta di partenza e magari stimolando alcuni di loro ad armare guerre social inutili e dannose, che finiscono per amplificare una faccenda sbagliata in partenza e inquinare ancor più acque agitate. Ma c’è un errore e un problema di fondo. Quello della Cultura Sportiva.
    Perché creare delle campagne così dure contro un campione dello sport che non ha fatto praticamente niente di nuovo e soprattutto niente di male? Basta conoscere le basi dello sport per capirlo. Siamo in un mondo libero, per fortuna. Si può scegliere di cambiare rotta, allenatore, fidanzarsi con chi si ama, non sentirsi più parte di un progetto per visione diversa di principi, o disertare una competizione per mille motivi. Oltretutto in una competizione a squadre mai si perde per colpa dell’assenza di un singolo, chi ha fatto sport può confermarlo assolutamente. E perché allora montare casi, campagne di stampa e social così dure e ripetute? Non c’è cultura sportiva che possa spingere a questo, ma esattamente l’opposto. Eppure succede da tempo, sempre più spesso.
    Tornando per un secondo al nostro amato tennis e restando alla stretta attualità, i nostri amici spagnoli non hanno potuto disporre in Davis di Carlos Alcaraz la scorsa settimana, e hanno perso malamente, in casa, di fronte al proprio pubblico. Una brutta batosta. Non c’è stato un solo media nazionale che si è azzardato a criticare con durezza la scelta del n.2 del mondo. Oltre i Pirenei la faccenda è stata trattata come meritava, analizzando i perché di una sconfitta patita in campo e non per le assenze, e quelle assenze sono state ben spiegate. Questo modo di trattare le cose dimostra conoscenza dello sport e delle sue dinamiche storiche ed attuali. È rispetto della persona, è esempio di divulgazione sportiva basata su Cultura Sportiva. Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo tanto da imparare…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Ampliamento di Wimbledon, si inasprisce il confronto con la comunità locale

    La racchetta vuota al posto dei dirigenti dell’AELTC nell’incontro di ieri

    Una racchetta su di una sedia vuota, e un duro ammonimento della comunità locale riunita contro i piani di ampliamento del sito di Wimbledon: “Non lasceremo che il quartiere diventi una Disneyland tennistica”. Questi i fatti salienti di un movimentato incontro svolto ieri nel quartiere dove ha sede l’AELTC, alla presenza di autorità locali e due politici nazionali provenienti dall’area interessata, in merito al discusso progetto del club di ampliare notevolmente l’area predisposta al torneo, con ben 38 nuovi campi – in modo da poter svolgere anche allenamenti e le qualificazioni – e un nuovo stadio da 8000 posti. La zona scelta per le nuove strutture è quella del campo da golf vicino al club, già preso acquisito dall’All England Club da alcuni anni. Una volta svelato il faraonico progetto, che prevede una complessa riqualificazione del quartiere circostante con vari spazi lasciati alla comunità (a detta del club “migliorati”), i residenti di Wimbledon si sono immediatamente attivati per opporsi all’ampliamento. L’incontro di ieri, con 250 persone presenti, è un’altra manifestazione chiara del dissenso a questi lavori, considerati troppo invasivi e che rischiano di snaturare totalmente il quartiere ben oltre le tre settimane del torneo più antico del mondo.

    Il dialogo tra le parti interessate è a dir poco freddo, come dimostra l’invito rivolto alla dirigenza del club per l’incontro, totalmente disertato. Così la sedia vuota con la racchetta posta dai residenti dove speravano di trovare un direttore del club è diventata l’immagine del dissenso stesso.

    I due parlamentari di Putney e Wimbledon, il laburista Fleur Anderson e il conservatore Stephen Hammond, si sono nuovamente uniti contro un progetto che deve ancora essere formalmente considerato dai comitati di pianificazione comunale, quasi cinque anni dopo la ratifica del contratto di acquisto del campo da golf da parte dell’AELTC. Anderson ha descritto il piano come “uno sviluppo su scala industriale nel nostro parco” e ha criticato le consultazioni, dicendo che “il modo in cui sono state gestite è pessimo”. Ha chiesto al torneo di concentrare i propri sforzi sullo sviluppo del sito per le qualificazioni a Roehampton piuttosto che sul campo da golf attualmente presente. Proprio il “nodo Quali” sembra essere stato decisivo alla scelta del club di ingrandirsi, nessun altro Slam prevedere i match del tabellone cadetto altrove. Hammond ha suggerito che si torni al tavolo della progettazione e si trovi qualcosa di più accettabile: “È il progetto sbagliato, è troppo grande, non hanno bisogno di così tanti campi e di uno stadio da 8.000 posti sul Metropolitan Open Land. Semplicemente non è giusto”, ha affermato, per la soddisfazione dei residenti.
    Le numerose complessità legali legate alla richiesta di ampliamento sono state delineate nell’incontro dall’avvocato Christopher Coombe, il quale ha suggerito che gli statuti storici relativi al terreno potrebbero impedire la realizzazione di qualsiasi nuovo edificio. Nel corso degli interventi dei presenti all’incontro è stata sollevata la prospettiva di un’azione legale di crowdfunding contro qualsiasi approvazione del progetto.
    La posizione di Wimbledon è chiara: abbiamo il torneo più storico della disciplina, l’espansione è necessaria per mantenere la parità con gli altri Slam.
    L’incontro alla fine si è svolto con un nulla di fatto, vista l’assenza dei dirigenti del club, fermi sulla propria posizione di appoggiare a qualsiasi costo l’ampliamento su terreni già acquisiti. Tuttavia è improbabile che l’intero processo urbanistico di approvazione dei lavori venga risolto in tempi brevi. Importanti passaggi burocratici per l’esame della richiesta sono già scaduti senza una risposta precisa, anche se è possibile che una nuova udienza si svolga quest’anno. Dopodiché c’è la possibilità che il club venga convocato dall’ufficio del sindaco di Londra e potenzialmente dal Segretario di Stato, considerando la faccenda di interesse nazionale. C’è pure un fattore politico a peggiorare il quadro per il club: nel 2024 ci saranno le elezioni, insieme alle quelle per la Greater London Authority, l’eventuale ingresso di nuovi politici potrebbero complicare ulteriormente l’intera vicenda. Per questo il circolo di Wimbledon sta spingendo affinché l’iter burocratico possa terminare prima di questo passaggio elettorale, per non avere brutte sorprese o un cambio di rotta.
    L’amministratore delegato dell’All England Club, Sally Bolton, aveva precedentemente commentato: “Queste proposte sono state giustamente e opportunamente soggette ad un altissimo livello di valutazione e consultazione sia prima che dopo la loro presentazione. Ad oggi abbiamo ospitato 56 visite guidate nell’area dell’ex campo da golf e altri nove eventi in cui i residenti locali hanno avuto l’opportunità di parlare con i membri del team di progetto e per saperne di più. Siamo lieti che più di 4.600 partecipanti siano venuti a uno dei nostri eventi di consultazione, e la stragrande maggioranza è davvero entusiasta dei nostri piani“.
    Quindi solo 250 residenti “rumorosi” spalleggiati da due politici nazionali, oppure il club è fin troppo ottimista? Vista da lontano, sembra che anche nell’efficiente Inghilterra realizzare nuovi progetti non sia sempre così facile…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Il tour ATP torna in Cina, e per la prima volta i giocatori cinesi… “ci sono”

    I tre assi del tennis cinese, Wu, Shang e Zhang

    嗨,欢迎回来! No, non siamo impazziti… I sinogrammi appena scritti sono probabilmente le prime parole che avranno ascoltato i tennisti appena sbarcati in Cina, “Ciao, Bentornati!”. Con gli ATP 250 di Zhuhai e Chengdou il tour maschile questa settimana torna nel gigante asiatico dopo 4 anni. La tempesta Covid e le durissime restrizioni imposte dal governo nazionale hanno impedito lo svolgimento dei tornei cinesi dal 2020. Quest’anno invece si disputano 4 tornei, a salire di importanza: dopo i due 250 appena scattati, ci sarà il 500 di Pechino e quindi il 1000 di Shanghai, un torneo che potrebbe risultare decisivo anche in ottica qualificazione per le ATP Finals di Torino.
    Sembra passato un secolo da allora, soprattutto perché in questi 4 anni il tennis cinese è finalmente decollato. Per anni c’è stato un abisso tra l’esplosione potente del movimento rosa, che con Li Na ha avuto anche un campionessa Slam e grandissimo personaggio insieme a molte altre tenniste di valore (inclusa la “povera” Peng Shuai, della quale si sono perse le tracce…), e le miserie del settore maschile, con giocatori relegati nelle retrovie, impantanati nei tornei minori e troppo indietro per capacità tecnica, fisica e mentale per esplodere ed imporsi agli occhi del miliardo abbondante di connazionali. Il Paese infatti viveva il tennis in modo marginale, distratto dalla forza delle discipline Olimpiche e altri sport, dal nascente movimento calcistico al basket, sport occidentale più amato grazie alla superstar Yo Ming. Le ottime prestazioni delle ragazze hanno iniziato a muovere l’interesse, ma si era ancora ai minimi termini nel 2019, quando gli ultimi tornei vennero disputati in Cina. Da allora, tutto è cambiato.
    Riproponiamo l’articolo dello scorso febbraio, quando per la prima volta la Cina ha brindato a due tennisti nella top 100 ATP, Yibing Wu e Zhizhen Zhang. Insieme alla novità del momento, nell’articolo trovate un reportage del 2019 in cui si tracciava la storia e un bilancio dei fortissimi investimenti nel tennis maschile, ancora senza risultati apprezzabili, con un’analisi dettagliata grazie a chi quel paese lo conosce e c’ha lavorato. A rileggerla oggi, si intuisce come alla fine soldi e lavoro abbiano portato risultati apprezzabili. Basta un secco confronto delle classifiche per rendersene conto.
    Al 30 settembre 2019, la Cina non aveva alcun tennista tra i primi 200 ATP. Il migliore Zhizhen Zhang (allora 22enne) al n.213, seguito dal 30enne Yan Bai (224) e altri connazionali già maturi a scendere, tutti senza risultati apprezzabili. Il 19enne Yibing Wu era impegnato nei Futures al n.490, ancor più dietro il promettente (a livello Junior) Jie Cui, n.625. In pratica, 4 anni fa il movimento maschile cinese era ancora in fase embrionale e con tutti i pasticci della pandemia nessuno credeva in un salto di qualità che invece c’è stato.
    Questa settimana la situazione del tennis maschile cinese è la seguente: Zhizhen Zhang n.60,  Yibing Wu n.98, il giovanissimo e promettente Juncheng Shang (18 anni) n.158, in rampa di lancio. Cresciuto assai anche Yuchaokete Bu, 21 anni, a n. 182. Zhang ha toccato un best ranking al n.52 quest’anno, ha raggiunto i quarti al 1000 di Madrid e semifinali ad Amburgo, battendo nell’anno gente come Norrie, Fritz e Sonego. Wu è stato n.54, ha vinto il suo primo torneo ATP a Dallas, una cavalcata memorabile che ha riscritto letteralmente i libri del tennis nel suo paese. Nel complesso una crescita notevolissima, che pone finalmente la Cina a pieno titolo nella “mappa” del tennis maschile, messa non peggio di tanti altri paesi con una storia ricca di successi (Austria, Brasile o India, solo per dirne qualcuno).
    Per questi motivi, c’è grande interesse nel vedere che cosa accadrà nei tornei maschili di quest’anno. Da più punti di vista. Intanto sarà assai curioso valutare se i risultati dei giocatori nazionali e la loro presenza muoverà il pubblico. Negli anni passati era stridente il contrasto tra l’efficenza di strutture moderne, davvero all’avanguardia, e i vuoti sugli spalti, con un discreto numero di spettatori solo a Shanghai nel weekend, qualcosa anche a Pechino se in campo c’era Federer o Djokovic, ma davvero poca roba rispetto a quel che si assiste mediamente nell’annata in giro per il mondo. La Cina non ha ancora il campione che “muove le masse”, ma di sicuro oggi di tennis nel paese se ne parla anche al maschile, e dopo qualche anno di assenza sarà possibile tirare una bilancio dell’interesse generato dai tornei, sia come presenze/pubblico, sia per l’impatto sui media nazionali che in passato snobbavano quasi bellamente i propri eventi… Se arrivavi a Shanghai e chiedevi a un taxista del torneo di tennis in corso, ti avrebbe guardato stralunato, del tutto ignaro dell’evento. Oggi le cose sembrano cambiate.
    Inoltre, cosa faranno in campo le tre stelle del tennis cinese? Avvertiranno di sicuro la pressione del giocare in casa, stavolta non con la simpatia di chi scende in campo con una bella wild card e niente da perdere, ma con il “peso” del dover confermare davanti al proprio pubblico quanto di bene fatto in giro per il mondo. Questa settimana Juncheng Shang è in tabellone a Zhuhai, insieme ad altre tre WC locali, mentre a Chengdu figurano nel draw solo le wild card Tau Mu e Jie Cui. Proprio il 18enne Shang ha parlato di questo al sito ATP. “Penso che sia una cosa davvero interessante il clamore suscitato dalla crescita dei tennisti cinesi. È una bella pressione ma allo stesso tempo una grande motivazione per andare avanti e fare meglio ogni giorno”.
    “Sono il tipo di giocatore che gestisce abbastanza bene la pressione nei momenti importanti”, continua Shang, “L’hype sul tennis cinese non mi ha mai infastidito, mi ha spinto verso allenamenti duri e partite difficili. I miei connazionali hanno un’energia incredibile. A New York l’altra settimana mi sembrava di giocare in casa, questo è stato molto utile, non vedo l’ora di scendere in campo in Cina”.
    Shang si è poi soffermato sul rapporto con i due connazionali più esperti, che hanno segnato i passi più importanti nella storia del tennis nazionale: “Io e Zhizhen in realtà abbiamo lo stesso nome, siamo entrambi ‘Jerry’. Lo chiamo Big Jerry, lui mi chiama Little Jerry. L’ho incontrato forse quando avevo nove o dieci anni, ricordo che era molto amichevole. Era una stella emergente in Cina. Era molto giovane, ma restava sempre molto positivo sul proprio futuro, è davvero interessante ora poter condividere dei momenti insieme in torneo. Con Wu, non ricordo la prima volta che l’ho incontrato. Penso di averlo visto giocare ad un torneo junior in Cina. Tutti lo conoscono come ‘diritto laser’. Probabilmente ha uno dei più grandi diritti del tour, è così che me lo ricordo guardandolo. Inoltre quella volta abbiamo fatto una foto insieme, subito prima che giocasse al China Open, fu una bella esperienza per me, ero un ragazzino. Sono molto più giovane di loro e sicuramente loro hanno più esperienza, penso di poter imparare da loro, dai loro errori, affinché io non li commetta. Parliamo e mi danno consigli su tante cose”.
    Ecco cosa pensa Shang sul giocare per la prima volta in carriera davanti al pubblico di casa: “Sarà bellissimo e tutto nuovo, mai ho giocato un torneo ATP in Cina. Ho sempre sognato che questo potesse accadere, ed eccomi qua. La gente ricorda soprattutto i successi di Li Na, quando lei vinceva gli Slam io ero piccolissimo… ma speriamo di poter fare altrettanto bene. Ci saranno grandi aspettative, speriamo di divertire il pubblico ma ci vorrà tanto lavoro e del tempo per provare ad avvicinare i risultati raggiunti da Li Na e le altre ragazze. Se oggi siamo qua, molto è anche merito loro, hanno aperto una strada, dobbiamo essere sempre riconoscenti per quello che hanno fatto”.
    Non una parola invece sullo scottante caso di Shuai Peng, di fatto scomparsa dopo aver rassicurato la WTA (per bocca di Steve Simon) sulle proprie condizioni. Questa è, purtroppo, un’altra storia… Difficilmente in questa Leg cinese se ne potrà parlare liberamente. Il tennis purtroppo pare stia facendo passi in avanti più rapidamente dei diritti civili.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Svajda il suo percorso diverso verso il mondo del tennis Pro

    Zachary Svajda

    Il 20enne statunitense Zachary Svajda la prossima settimana entrerà ufficialmente per la prima volta tra i top 200 del ranking mondiale, grazie ai quarti di finale raggiunti al Challenger di Cary. Non un fatto “clamoroso” per un giovane di discreto talento che quest’anno ha passato le qualificazioni a US Open, ma il sito ufficiale dell’ATP ha sfruttato l’occasione per interpellarlo e raccontare il suo diverso percorso da junior verso il mondo Pro. Infatti Svajda ha scelto insieme alla sua famiglia di non giocare praticamente alcun torneo junior dai 10 ai 15 anni per focalizzarsi totalmente sulla crescita tecnica e fisica, senza competere. Una decisione che potrebbe apparire bizzarra per molti esperti e coach, visto che formazione ottenuta nella competizione è considerata imprescindibile momento di crescita. Tuttavia a casa Svajda non sono esattamente dei profani o sprovveduti: la madre Anita e papà Tom sono infatti entrambi coach presso il Pacific Beach Tennis Club a San Diego, una struttura di tutto riguardo in California.
    “Ci pensavamo quando avevo nove, dieci anni. Semplicemente non vedevamo il motivo di giocare questi tornei junior ogni settimana”, racconta Svajda. “Abbiamo cercato di concentrarci sul miglioramento. So che è diverso perché il gioco nei tornei è sempre differente dall’allenamento. Oltretutto non potevamo permetterci di viaggiare in giro per il mondo giocando gli ITF o altro. Ci siamo detti: tentiamo una strada diversa e proviamo a migliorare ogni giorno, speriamo che entro i 15, 16 anni io possa diventare un buon giocatore e da lì partirò per i tornei”.
    Molti allenatori avrebbero storto il naso, sottolineando l’importanza della partita e dello stress della competizione in giovane età per acquisire esperienza. La famiglia Svajda ha trovato una sua soluzione, facendo allenare il piccolo Zachary ogni settimana con l’ex stella dell’Università di San Diego Uros Petronijevic, che ha vissuto con gli Svajda per due anni ed è stato fondamentale dalla crescita del piccolo. “Ovviamente è un po’ diverso dai tornei, ma è così che ho formato la mia esperienza di partita” ricorda Svajda.
    Un percorso originale, davvero diverso, ma che in fondo con lui ha funzionato. Svajda infatti ha vinto due volte i Campionati nazionali USTA Boys’ 18 a Kalamazoo (2019, 2021).
    La famiglia Svajda ha anche un secondo asso nella manica, il fratello minore Trevor, tre anni più giovane, che ha seguito lo stesso approccio di Zachary. Ad agosto, il diciassettenne Trevor è stato finalista a Kalamazoo e ha gareggiato nelle qualificazioni agli US Open. “Io gli dico sempre di non pensare a me, di seguire la sua strada” afferma Zack, “Qualunque cosa sia, non stressarti inutilmente. A Kalamazoo era nervoso dicendo di sentire la pressione di dover vincere perché io c’ero riuscito. Ho cercato di tranquillizzarlo e ha funzionato, visto che è arrivato in finale, è stato grandioso”.
    Zachary non ha un fisico imponente, il suo punto di forza sono impatti molto puliti da ogni posizione di campo e con ogni colpo, la conferma di quanto abbiamo lavorato sulla tecnica di gioco in giovane età. Colpisce anche per la sua calma e comportamento irreprensibile nel corso delle partite, non mostrando alcuna emozione sia nei momenti buoni che in quelli difficili. “Ogni partita, sia che vinca o che perda, tengo sempre lo stesso comportamento, non mi sento affatto frustrato. Fin da bambino sono sempre stato un tipo tranquillo dentro e fuori dal campo, magari anche per timidezza. Immagino che in un certo senso questo si sia tradotto nel lato tennistico. Non urlo mai niente o non esterno molto. Sto cercando di lavorare per mostrare un po’ più di energia positiva, ma ci vorrà del tempo perché è un comportamento che non mi appartiene. Mi piace semplicemente rimanere calmo e presente, passare al punto successivo. Forse è perché vengo da San Diego, un posto dove si vive in grande relax. Niente mi stressa davvero. Non riesco a ricordare l’ultima volta che ho alzato la voce“.
    Serenità e autocontrollo sono certamente due punti a favore per la sua crescita nel mondo del tennis. Seguiremo con curiosità i risultati di Svajda, a partire dai quarti di finale che lo vedono oggi impegnato a Cary contro il britannico Toby Samuel. Nel live ranking è già n.194 con 314 punti, in caso di vittoria odierna potrebbe avvicinarsi alla posizione n.185.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    US Open: Shelton, serve una “Mission Impossible”

    Ben Shelton (foto Getty Images)

    Il mondo del tennis aspetta con grande curiosità la prima semifinale di US Open che oppone il super campione Novak Djokovic alla novità di dirompente della stagione, Ben Shelton. Qualche numero spiega il divario abissale di esperienza tra i due: Novak è alla 47esima semifinale Slam, ha vinto 30 match consecutivi contro tennisti statunitensi (Querrey a Wimbledon 2016 l’ultimo a batterlo), è in una striscia di 10 vittorie di fila dopo la sconfitta nella finale di Wimbledon, punta a raggiungere la finale in tutti gli Slam della stagione per la terza volta in carriera (c’è riuscito nel 2015 e 2021, quando arrivò proprio a NY ad un passo dal completare il Grande Slam, superato da Medvedev in finale). Se guardiamo alla casella di Shelton, c’è praticamente un vuoto, per il 20enne di Atlanta è tutto nuovo, è alla prima semifinale Slam – è passato Pro solo 13 mesi fa -, è al primo confronto diretto contro il 23 volte campione Major serbo. Domani sarà il compleanno n.21 per l’americano, potrebbe farsi un regalo inimmaginabile se mai riuscisse a battere Djokovic e volare in finale. Sarebbe il primo tennista di casa a farcela da 20 anni, quando Roddick sorprese tutti a furia di servizi micidiali e vinse contro JC Ferrero in finale il suo primo e unico Slam in carriera. Corsi e ricorsi storici? Beh, c’è qualche affinità tra A-Rod e Ben in effetti.
    Tennisti potenti, dotati di un servizio killer come arma trainante del proprio gioco, un tennis muscolare e non così “fine”, una netta propensione offensiva, un carattere forte e un po’ sfacciato nel senso positivo del termine, gente che non si tira indietro e crede fortemente nei propri mezzi riuscendo a superare lacune tecniche a furia di mazzate ed energia. La differenza più grande tra la situazione di Roddick nel 2003 e quella di Ben quest’anno è… chi si trova al di là della rete in semifinale. Andy venti anni fa rimontò due set di svantaggio (con più di una polemica per qualche chiamata dubbia nel terzo set) a David Nalbandian, grandissimo talento argentino ma non esattamente la solidità fatta persona e tennista ancora giovane, infatti pagò non poco il contesto “caldo” del centrale, tutto ovviamente schierato alla parte di Roddick. Ben stasera a NY dovrà affrontare Mr. Record Novak Djokovic, l’uomo che a furia di un tennis percentuale limato in modo certosino sta riscrivendo i record moderni della disciplina. Quindi, pronostico chiuso a favore del serbo? La testa dice sì, Novak è nettamente favorito, ma per fortuna il tennis è uno sport che regala spesso sorprese, che non finisce mai di stupire. Cosa dovrà fare Shelton per provarci, per tentare l’impresa suprema?
    Il suo mantra è quasi scontato: servizio, servizio e ancora servizio. Tonnellate di peso su prima e seconda palla, alternando potenza e angoli, per cercare di non mettere in ritmo la miglior risposta sul tour dai tempi di Andre Agassi, anzi, forse meno esplosiva ma ancor più continua ed efficiente. Se Ben non riuscirà a servire almeno un 70% di prime palle in campo ricavando almeno il 75% di punti, o meglio l’80%, non ci sarà partita. O ci sarà solo se Djokovic sarà una versione sbiadita di se stesso, e a questo a meno di eventuali infortuni, non crediamo affatto. Roger Federer ha vinto moltissime sfide contro Djokovic, chiudendo la carriera quasi in parità negli head to head. Lo svizzero ha un tennis diverso da Shelton, assolutamente più completo, ma in pratica i numeri dicono che ogni volta nella quale è riuscito a battere il serbo ha avuto un rendimento al servizio di quel tipo, almeno il 70% di prime in campo vincendo 3 punti su 4. Se ha un tennis brillante ed offensivo e non riesci in questo, e non hai una solidità e resilienza da fondo “nadaliane”, no match.
    Servire bene non sarà nemmeno sufficiente a Shelton. Nello scambio sembra davvero difficile che il quasi 21enne figlio d’arte possa reggere il pressing continuo, asfissiante del rivale, che come nessun altro è bravo a spostare l’avversario con i suoi tempi di gioco, portarlo a giocare in posizioni scomode fino a sfinirlo, oppure infilarlo dopo averlo lavorato ai fianchi. Per farcela in risposta e mettere problemi al rivale Ben sarà costretto a tenere un’atteggiamento super offensivo, a limite del masochismo. Anche se Djokovic dovesse trovare con facilità il passante, Shelton dovrebbe continuare a pressare, attaccare, alternando bordate a tutta col suo diritto sul rovescio di Novak (e già reggere questa diagonale sarà complesso…) e quindi attaccarlo facendolo correre a destra, dove non sempre il passante del serbo è perfetto. Inoltre Novak negli anni, dal lavoro iniziato con Becker e affinato con Ivanisevic, ha costruito l’ultima parte mancante nel suo gioco, un gran servizio, poco appariscente ma terribilmente preciso. Non sarà facile per Ben rispondere bene e riuscire a mettere pressione all’avversario.
    La sensazione è che Shelton abbia davanti un’impresa quasi impossibile. Oltre al servizio, un asso nella manica potrebbe essere la sua terribile fisicità, il riuscire a spingere come un forsennato da ogni posizione del campo, magari sospinto da un pubblico che mai come oggi sarà davvero ostile a Novak, e magari innervosirlo.
    Sono davvero tanti i tasselli da incastrare alla perfezione per risolvere un puzzle davvero difficile, probabilmente troppo anche per un giovane senza niente da perdere e con il fisico, mentalità e talento di Shelton. A meno che i corsi e ricorsi storici non siano così forti da sospingerlo verso un’impresa e una finale che all’inizio del torneo sembrava un’ipotesi quasi assurda. New York è lo Slam delle sorprese. È quello dove negli anni recenti più novità sono esplose. Nelle ultime tre edizioni è stato consacrato un nuovo campione Major. Ben dovrà aggrapparsi alla battuta e un po’ anche alla cabala…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO