More stories

  • in

    Masters 1000 Indian Wells: Tsitsipas domina un Berrettini troppo falloso

    Matteo Berrettini (foto Getty Images)

    “È difficile spiegare, certe giornate amare, lascia stare…” I versi di una bellissima canzone di Fiorella Mannoia risuonano nella testa di chi vi scrive mentre, attonito, assiste all’ultimo game dell’incontro perso nettamente da Matteo Berrettini contro Stefanos Tsitsipas nel terzo turno del Masters 1000 di Indian Wells (6-3 6-3 lo score dopo solo 67 minuti di gioco). Un break subito a zero dall’azzurro, con pochissima sensibilità e zero incisività, a chiudere una prestazione davvero negativa, e… immagine forse impietosa ma fedele a descrivere una partita brutta, persa nettamente e persa male. Berrettini ha iniziato l’incontro come bloccato: evidentemente non sentiva la palla, non usciva affatto bene dalle sua corde e pure la distanza all’impatto non era quasi mai perfetta. Nemmeno la battuta l’ha sostenuto, un avvio shock, poco da dire. È andato sotto 3-0 e non è mai riuscito a strappare una chance per riprendere l’avversario, che al contrario ha disputato una partita eccellente sotto ogni punto di vista, tecnico, fisico e mentale. Probabilmente il vento, o una giornata con riflessi poco reattivi, non gli ha permesso di sbloccarsi e tutto è diventato terribilmente difficile per Matteo, anche il solo colpire il suo potentissimo diritto con la pulizia necessaria a generare traiettorie con un rimbalzo della palla oltre il rettangolo del servizio. Inefficace col diritto e in risposta, non è mai riuscito ad impensierire un ottimo Tsitsipas, veloce, potente, aggressivo.
    Quando un match è discretamente squilibrato come quello da poco concluso a Indian Wells, i meriti di uno lussureggiano nei demeriti dell’altro. Stefanos ha confermato quanto di buono visto a Dubai, la sua rinnovata aggressività e focus, con ben poche incertezze e la solidità del suo schema preferito: servizio e diritto. Il greco ha governato lo scambio forte di una prima palla di battuta in ritmo e un diritto assai solido, grazie al quale ha condotto ogni suo turno di battuta senza patemi; e a differenza del recente incontro vs. Berrettini a Dubai non ha sofferto per niente nemmeno sulla diagonale di rovescio visto che quasi mai l’azzurro è riuscito a girarsi col diritto da sinistra e scatenare il suo colpo più incisivo, oggi davvero con le polveri bagnate. Il cambio di racchetta sembra aver davvero rinvigorito Stefanos, la sua palla è tornata incisiva, potente, “cattiva”. Per mesi e mesi non faceva più male, mentre adesso tenerlo fermo non è affatto facile. Comanda lui, spinge bene dal centro e non è facile metterlo in difesa.
    Bravo Stef, ma… in troppe situazioni di gioco Matteo l’ha davvero mandato a nozze con tantissimi errori (24 alla fine contro solo 12 vincenti – servizi inclusi) e soprattutto non trovando che a piccole dosi quella potenza in scambio e profondità di colpi necessari a non finire in difesa. È stato doloroso vedere in quante occasioni Berrettini abbia perso il controllo del diritto… e non solo cercando una botta a chiudere, ma proprio nella costruzione. Spesso la palla gli finiva troppo vicina al corpo per esser impattata con la necessaria ampiezza, oppure lontana; anche col rovescio, notevolmente migliorato nelle ultime settimane, è stato conservativo, mai davvero ficcante. Usare di più il back poteva essere una via per provare a spezzare il ritmo dell’avversario, provare a spostarlo da quella “mattonella” al centro dalla quale ha fatto più o meno quel che voleva. Pure col servizio Matteo non ha convinto: da metà del primo set ha iniziato a trovare qualche Ace, dei “kick” più vigorosi, e infatti è entrato in partita; ma mai si è avuta la sensazione che fosse ingiocabile. Il suo sguardo tradiva tensione, forse il brutto avvio l’ha innervosito a tal punto da fargli perdere la sua classica lucidità e forza di reazione. Impalpabile in risposta, corto nello scambio, incapace di scuotersi veramente e mettere in difficoltà il rivale, un Matteo davvero sotto tono.
    Non c’è davvero niente da salvare nella partita di Berrettini, di gran lunga la peggiore del 2025 sotto ogni punto di vista, anzi speriamo che non sia figlia di un qualche problema fisico (non sembra ne abbia accusati). Un vero peccato perché le ultime prestazioni di Matteo erano state di altro spessore, anche nel loro recentissimo scontro a Dubai, perso ma con un vigore, potenza e intensità che oggi sono del tutte mancate. Speriamo sia stata solo una giornata amara, da dimenticare in fretta.
    Marco Mazzoni

    La cronaca
    Tsitsipas alza la prima palla del match, sotto un bel sole. Buon turno per il greco, 1-0. Berrettini vince il primo lungo (e spettacolare) scambio del match, avanzando e chiudendo di volo con un ottimo riflesso. La palla salta alta nello scambio, nemmeno la bordata a tutta di Matteo è così definitiva e proprio il diritto lo tradisce, per il 15-30. Tsitsipas è bravo a girarsi sul diritto da sinistra e trovare un vincente che gli vale due palle break. Il BREAK arriva alla seconda chance, con il greco più vicino alla riga di fondo e bravo a governare il ritmo, portando all’errore l’italiano. 2-0. Molto bene Stefanos, dopo un buon servizio aggredisce la palla col diritto anche con discreto anticipo e trova profondità e precisione, mentre la risposta di Matteo è al momento non pervenuta. 3-0 Tsitsipas e un eloquente 12 punti a 3. Finalmente Berrettini trova un Ace in apertura del quarto gioco e il servizio lo aiuta a muovere lo score, ma nello scambio i drive del romano non sembrano fare male al rivale, con il greco più veloce nell’arrivare sulla palla e scaricare potenza con precisione. Invece in più occasioni Matteo non trova la migliore distanza dalla palla e i suoi impatti col diritto sono “poveri”, poco incisivi. 4-1 Tsitsipas in netto controllo del match. Corto il diritto di Berrettini, impressionante come un drive nel sesto game, tirato con buona forza, rimbalzi addirittura all’interno del rettangolo del servizio, evidenziando difficoltà importanti nella scioltezza del colpo e sicurezza dell’impatto. Almeno il servizio prende ritmo, due Ace e 4-2. Niente, nei game di Stefanos praticamente non si gioca, solo colpi incisivi e sicuri per lui, mentre quelli di Matteo svariano corti o finiscono un metro fuori, senza vera lotta. 5-2. Lo sguardo di Berrettini si fa più intenso, un doppio fallo ma la battuta gli porta un altro game, 5-3. Finalmente Matteo trova il primo gran diritto del match, una bordata cross delle sue che manda in crisi il rivale. Purtroppo è solo una fiammata, con un gran servizio esterno Tsitsipas trova due set point sul 40-15. Manca addirittura la palla col diritto sul primo, forse un rimbalzo fasullo… 40-30; un errore di rovescio costa all’azzurro il SET. 6-3 Tsitsipas, 30 minuti dominati dal greco, con Matteo davvero bloccato all’avvio e discretamente incerto nella gestione dei colpi da fondo. E solo un punto vinto da Berrettini con la seconda di battuta, dato pessimo.
    Secondo set, Berrettini ha il vantaggio di servire per primo. Trova una smorzata meravigliosa tanto è corta e imprendibile, Staf manco ci prova, e poi la battuta viaggia, 1-0. Il problema dell’azzurro resta la risposta, dove è totalmente inefficace: non riesce a spostare lateralmente il rivale, o nemmeno tirare una bordata centrale e profonda per allontanarlo dalla riga di fondo. È tutto fin troppo facile per Tsitsipas, davvero efficace col diritto (rarissimi i suoi errori, sempre in controllo). Berrettini inizia il terzo game sparando lungo un diritto aggressivo, poi finalmente costruisce bene uno scambio usando rotazione, aprendo l’angolo e infilando il rivale nell’angolo aperto. Sul 30 pari attacca l’azzurro ma non trova un buon tocco sotto rete e Tsitsipas arriva e tira un passante addosso che non è controllabile. Palla break. Se la gioca bene Berrettini: sceglie una prima palla esterna a tre quarti di velocità ma terribilmente carica di spin che provoca l’errore in risposta del greco. Stefanos non demorde, trova un’altra gran risposta di diritto e provoca l’errore di Matteo, altra palla break. Il romano sceglie lo stesso schema da sinistra e si salva di nuovo. A fatica, Berrettini porta a casa un game difficile, soffrendo. Sull’ennesimo diritto sbagliato da Matteo la grafica segnala che il greco ha vinto finora 23 scambi da fondo, l’italiano 8… è una foto fedele del match, e Stef con un altro diritto dal centro ottimo vince un altro game a zero, 2 pari. Il set ora avanza sui game di servizio, e Berrettini continua a far terribilmente fatica in risposta: un gran rovescio vincente è solo quinto punto vinto in risposta nel match. 3 pari. Arriva il fatidico settimo game: Berrettini fa sorprendere da una risposta molto profonda di Tsitsipas, 15-30. Suona l’allarme, e il servizio aiuta l’azzurro. Purtroppo sul 30 pari Matteo gioca a metà campo una volée di rovescio, e il passante di Stef è maledettamente deviato dal nastro. Palla break. Berrettini rischia il serve and volley sulla seconda, gioca pure una demi volée tutt’altro che cattiva, ma Tsitsipas arriva come un fulmine sulla palla e con un tocco superbo con la punta della racchetta trova un diagonale imprendibile. Bravissimo, poco da dire, e BREAK Tsitsipas, avanti 4-3 e servizio. Proprio il servizio non ha sostenuto l’azzurro, e… il break è subito arrivato. Improvvisamente si imballa il servizio del greco, due doppi falli, 15-30. Purtroppo non sfrutta la piccola chance Matteo, è corto nel palleggio e Tsitsipas prende possesso dello scambio. Con tanta energia il greco avanza e chiude di volo. 5-3, a un passo dal meritato successo. Berrettini chiude male l’incontro cedendo un turno di servizio a zero che, purtroppo, rende ancor più brutta una prestazione modesta, troppo povera per il buon Matteo visto nelle ultime settimane a livello di prestazione. Molto bene Tsitsipas, ma la tensione, poca sensibilità nei colpi di scambio e troppi errori sono costati a Berrettini la peggior sconfitta nell’anno.

    Matteo Berrettini vs Stefanos Tsitsipas ATP Indian Wells Matteo Berrettini [28]33 Stefanos Tsitsipas [8]66 Vincitore: Tsitsipas ServizioSvolgimentoSet 2M. Berrettini 0-15 0-30 0-403-5 → 3-6S. Tsitsipas 15-0 15-15 df 15-30 df 30-30 40-303-4 → 3-5M. Berrettini 0-15 15-15 15-30 30-30 30-403-3 → 3-4S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-0 40-15 40-30 40-153-2 → 3-3M. Berrettini 15-0 30-0 40-02-2 → 3-2S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-02-1 → 2-2M. Berrettini 0-15 15-15 15-30 30-30 30-40 40-40 40-A 40-40 A-401-1 → 2-1S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-01-0 → 1-1M. Berrettini 15-0 30-0 ace 40-0 40-150-0 → 1-0ServizioSvolgimentoSet 1S. Tsitsipas 15-0 15-15 30-15 40-15 40-303-5 → 3-6M. Berrettini 15-0 15-15 30-15 40-15 ace 40-30 df2-5 → 3-5S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-02-4 → 2-5M. Berrettini 15-0 30-0 ace 30-15 40-15 ace1-4 → 2-4S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-0 40-151-3 → 1-4M. Berrettini 15-0 ace 15-15 15-30 30-30 ace 40-300-3 → 1-3S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-00-2 → 0-3M. Berrettini 0-15 15-15 15-30 15-40 30-400-1 → 0-2S. Tsitsipas 15-0 30-0 40-0 40-150-0 → 0-1

    Statistica
    Berrettini 🇮🇹
    Tsitsipas 🇬🇷

    STATISTICHE DI SERVIZIO

    Valutazione del servizio
    237
    317

    Ace
    6
    0

    Doppi falli
    1
    2

    Prima di servizio
    37/52 (71%)
    26/44 (59%)

    Punti vinti sulla prima
    26/37 (70%)
    24/26 (92%)

    Punti vinti sulla seconda
    4/15 (27%)
    12/18 (67%)

    Palle break salvate
    3/6 (50%)
    0/0 (0%)

    Giochi di servizio giocati
    9
    9

    STATISTICHE DI RISPOSTA

    Valutazione della risposta
    41
    186

    Punti vinti sulla prima di servizio
    2/26 (8%)
    11/37 (30%)

    Punti vinti sulla seconda di servizio
    6/18 (33%)
    11/15 (73%)

    Palle break convertite
    0/0 (0%)
    3/6 (50%)

    Giochi di risposta giocati
    9
    9

    STATISTICHE DEI PUNTI

    Punti vinti a rete
    2/4 (50%)
    7/7 (100%)

    Vincenti
    12
    12

    Errori non forzati
    24
    11

    Punti vinti al servizio
    30/52 (58%)
    36/44 (82%)

    Punti vinti in risposta
    8/44 (18%)
    22/52 (42%)

    Totale punti vinti
    38/96 (40%)
    58/96 (60%)

    VELOCITÀ DI SERVIZIO

    Velocità massima
    226 km/h (140 mph)
    218 km/h (135 mph)

    Velocità media prima
    204 km/h (126 mph)
    203 km/h (126 mph)

    Velocità media seconda
    197 km/h (122 mph)
    185 km/h (114 mph) LEGGI TUTTO

  • in

    Masters 1000 Indian Wells: Arnaldi più concreto, batte Rublev giocando meglio i punti importanti

    Matteo Arnaldi

    In un vortice di alti e bassi, scatti e riprese, grandi vincenti e troppi errori, è la testa e la capacità di giocare con maggior concretezza i punti decisivi a fare la differenza. Così Matteo Arnaldi nel secondo turno del Masters 1000 di Indian Wells viene a capo di una partita non facile (e nemmeno bella, ad essere onesti) contro Andrey Rublev, tutt’altro che “curato” nei suoi scatti d’ira autodistruttivi dalla recente vittoria a Dubai. L’azzurro si impone per 6-4 7-5 al termine di un’ora e trequarti di tennis irregolare, con continui up and down e qualità a volte ottima, altra assai inferiore. Tanti gli errori per entrambi i giocatori (19 vincenti e 30 errori per l’azzurro, 14-33 per il moscovita), ma Matteo nel complesso del match è stato più lucido nel gestire le emozioni e giocare con attenzione e meno impeto nelle fasi calde dei due set, i due rush finali, che l’hanno portato al successo. Bravo Matteo a non scomporsi nel primo set quando non ha sfruttato un game di servizio sul 5-3, ottenendo di nuovo il break (e il set) sul 5-4; ancor più a restare calmo e focalizzato all’avvio del secondo, rimontando uno svantaggio di 3-0 con due break. Lì Matteo ha costruito il suo successo: 4 game vinti di fila, invertendo l’inerzia tutta a favore del russo e mettendogli pressione, tanto da farlo crollare nel dodicesimo game grazie a risposte aggressive, difese accurate e una spinta più intensa e precisa sulla diagonale di rovescio. È la quarta vittoria in carriera per Matteo contro uno top10, e seconda contro Rublev. Al terzo turno Arnaldi attende il vincente di Nakashina – Hijikata.
    È stata una partita strana, come spesso accade quando in campo c’è Rublev… Alla fine il russo trova dei momenti di focus importanti nei quali scarica una potenza e profondità col diritto che lo rende incontenibile, ma in mezzo a questi “up” crolla in fragorosi “down” nei quali smarrisce focus, precisione, si lagna contro il mondo intero e diventa assai vulnerabile. Eppure Arnaldi nel match odierno non ha nemmeno servito bene, chiudendo con un modestissimo 43% di prime palle in campo, dato terribile a questo livello e contro un avversario che in risposta può spaccare la palla e portarti via. Per fortuna di “Arna” il russo c’è riuscito poco, solo a sprazzi, in particolare all’avvio del secondo set quando la sua reazione al primo parziale ceduto – male – è stata violenta. Bravo è stato il ligure a resistere a quel quarto d’ora di puro furore agonistico che poteva spaccare la partita a favore del russo. Ma già nel primo set la sensazione che Matteo ce la potesse fare è stata palpabile, perché i suoi schemi erano più efficaci e anche le sue accelerazioni spesso imprendibili e pure difficili da leggere. Alla fine Rublev si è come “incancrenito” in un gioco troppo monocorde e assai instabile, solo bordate col diritto e pure assai irregolari. Al contrario Arnaldi è stato più versatile, ha anche sparacchiato via con meno fretta rispetto a diverse prestazioni recenti, e giocare con più attenzione e focus è stato per lui decisivo.
    Arnaldi ha vinto la partita perché è riuscito a giocare con maggior lucidità e colpi pratici nelle fasi decisive, i due finali di set, ma ha costruito la sua prestazione con una discreta forza mentale, e anche fisica. Anche l’azzurro è stato vittima di troppi alti e bassi, tanto che il primo set l’avrebbe potuto – e dovuto – chiudere servendo avanti sul 5-3 dopo il break strappato nell’ottavo game. Ma lì il servizio l’ha completamente tradito e senza una buona prima palla è difficile vincere a questo livello. Per fortuna Matteo ha ritrovato efficacia con la battuta nella rimonta del secondo set, ma in quel frangente è piaciuto assai per come ha retto il momento negativo senza farsi prendere né dallo scoramento né dalla frenesia. Più volte gli abbiamo rimproverato una tendenza ad esagerare nella spinta e nella ricerca del vincente quasi immediato, una fretta che non porta quasi mai buone cose, ancor più se hai nelle tue corde la costruzione più dell’assalto frontale. Ha governato meglio del rivale gli scambi sulla diagonale di rovescio Matteo, e anche ha trovato risposte incisive, in particolare col rovescio. Infatti finché Rublev è rimasto discretamente calmo e lucido, ha ben scelto di servire quasi sempre sul diritto da destra, solleticando il diritto del nostro che in risposta è meno preciso e stabile. Ma poi alla lunga Arnaldi ha sovrastato Rublev proprio con la risposta e con la continuità della spinta. Matteo è stato pronto a salire di livello, sbagliare poco e portarsi avanti da 0-3, una rimonta operata sfruttando il momento “no” del rivale. È anche così che si vincono le partite.
    Si può fare ancora meglio, Arnaldi può esser meno falloso, più incisivo e continuo col servizio e anche più pronto a contrattaccare rispetto allo sparare subito una bordata a bassa percentuale. Intanto porta a casa una vittoria molto importante contro un avversario non stabile ma complessivamente forte su questi campi. Al prossimo turno dovrà ancora salire di livello e giocare con meno cali, con meno errori. Il percorso è molto positivo e questa vittoria porta punti e fiducia. Avanti tutta “Arna”.
    Marco Mazzoni

    La cronaca
    Arnaldi alza la prima palla del match, ma è Rublev molto aggressivo sulla seconda palla dell’azzurro. Matteo commette una grave ingenuità sul 30 pari: sotto rete sbaglia la direzione di un comodo diritto a chiudere e subisce il passante di Andrey. Il ligure spinge a tutta col diritto sulla palla break ma un’accelerazione inside out gli muore in corridoio, per il BREAK a favore di Rublev. Non è una buona notizia perché Andrey è il classico front runner, che si esalta martellando col diritto se è sereno e che invece soffre terribilmente quando gioca un match punto su punto. Sparacchia col diritto Matteo, troppa fretta in risposta, ma un buon attacco sul 30 pari gli vale la chance del contro break. Bravo Matteo! Grande accelerazione di rovescio lungo linea e fulmina il rivale, Contro BREAK e 1 pari, troppo prevedibile lo schema di Rublev. Buon momento per l’azzurro, ha alzato il livello, spinge con più sicurezza e con un ottimo schema smorzata e passante chiude il terzo game, 2-1. Dopo la schermaglia iniziale, il set si incanala sui binari dei turni di servizio. Andrey servendo da destra cerca con insistenza la risposta di diritto di Matteo, la meno sicura. È sconsigliato servire sul rovescio dell’azzurro perché trova impatti potenti e profondità, come la bordata impressionante che vale ad Arnaldi un gran punto sul sesto game. Poche prime di servizio per l’italiano nel settimo game, ma il russo sbaglia malamente un paio di risposte e …la racchetta rischia di esser spaventata a terra per la rabbia. 4-3 Arnaldi. Nell’ottavo game il ritmo di “Arna” è alto, “Rublo” sbaglia per primo due volte in scambio e si ritrova sotto 15-40, due palle break da salvare. Dal centro Andrey sbaglia malamente un diritto aggressivo che lo condanna al BREAK, 5-3 Matteo serve per il set. Ma il servizio non lo aiuta… Rublev entra in risposta e Matteo sbaglia due colpi in scambio, 0-30. Il russo lo grazia sparando una sassata che s’impenna sul nastro e va lunga (15-30). Purtroppo Arnaldi litiga con la prima palla e poi sbaglia un rovescio banale, nella diagonale a lui più favorevole. 15-40. Altro cadeaux di Rublev, out una risposta sull’ennesima seconda di servizio del nostro… 30-40; poi torna la prima di servizio e la musica cambia, campo aperto e via diritto vincente. Rublev trova due splendide accelerazioni col diritto, la palla è irresistibile e la terza palla break è fatale ad Arnaldi, Contro Break e 5-4. Rublev inizia a sua volta malissimo il decimo game, doppio fallo e poi un erroraccio, scivola 0-30. Arnaldi qua è lucido a spingere bene col rovescio, si prende Tre Set Point sullo 0-40. Bene Matteo! Risposta solida e poi due rovesci aggressivi, con il russo che spara in rete. SET Arnaldi, 41 minuti di tennis bruttino, con alti e bassi importanti per entrambi, più profondi quelli del russo.
    Secondo set, Arnaldi to serve. Non un buon avvio… Rublev trova uno splendido passante di rovescio (un filo corto l’attacco del nostro) e poi sfonda col suo diritto bomba. 0-40, tre chance per l’allungo per il russo. Basta il primo, solido diritto cross di Rublo e Matteo non contiene. BREAK Rublev, 1-0. Improvvisamente si è accesa la luce sul rovescio di Andrey, ne trova un altro bellissimo ancora lungo linea e questo destabilizza l’azzurro. Bell’intensità, spacca la palla Rublev e con tre spallate vola 2-0 e poi in risposta continua a martellare, solidissimo anche sul rovescio. Arnaldi non sa come fare il punto in questa fase, accelera troppo dritto per dritto e sbaglia, 15-40. Nemmeno la prima di servizio lo aiuta, ma cerca con coraggio la via della rete, annullando con ottima mano di volo la prima palla del doppio break; gran scambio sulla seconda chance! La smorzata di Matteo è buona ma che difesa sotto rete del russo, che chiude il “pittino” con un tocco vincente. BREAK Rublev, 3-0 pesante. Davvero un’impennata di qualità. Arnaldi cerca di invertire la rotta mettendosi in modalità difensiva, tanta corsa e resistenza, facendo colpire molte palle al rivale. Rublev ci casca, forza malamente e scivola sotto 0-40. Il Contro Break arriva sul 30-40, out un rovescio di scambio del russo, 3-1. Arnaldi annulla con un buon servizio esterno una palla break sul 30-40, alti e bassi nel game per l’azzurro e pure per il russo, ma alla fine Matteo lo porta a casa (3-2). La fiammata del russo sembra esaurita, mentre l’azzurro trova potenza e quindi angoli clamorosi in difesa sullo 0-30, un tocco da biliardo e poi passante. 0-40! Inferocito, Rublev annulla la prima palla break con un gran rovescio, ma niente può sul 30-40 quando una risposta di Matteo un po’ fortuita resta in gioco per un niente e quindi l’azzurro è un fulmine nel correre avanti e chiudere di volo. BREAK! 3 pari, inerzia totalmente invertita. Il set è a dir poco convulso… Rublev cerca la massima spinta, ma con poca lucidità; Arnaldi è bravo contenere e poi a sua volta esagera, ma vince un game importantissimo, il quarto di fila, che gli vale il sorpasso sul 4-3 (e con Andrey furente). Furia autodistruttiva perché il russo ha perso di vista ogni logica tecnica, spinge sul rovescio del rivale e sbaglia tutto perché Arnaldi si fa trovare pronto e rintuzza bene. 0-30. L’esplosività col diritto salva Rublev nel momento più critico del match, con 4 punti di fila impatta 4 pari. Qualche rimpianto per Matteo sul 30 pari, un po’ attendista invece di mettere pressione ad un avversario inferocito e poco lucido. Purtroppo l’inerzia continua a cambiare come il vento… Ora è Arnaldi a smarrire di nuovo il servizio e quindi sbagliare in spinta, crollando 0-40. Alza al massimo l’attenzione Matteo, gioca in sicurezza con i piedi quasi in campo e cancella le tre chance, l’ultima con un bel servizio (finalmente!). 5 punti di fila, giocati con lucidità e in modo pratico, senza sparacchiare. 5-4 Arnaldi. Rublo serve spalle al muro e inizia sparando malamente un diritto… Arnaldi sprinta come Speedy Gonzalez in difesa ma quattro rincorse assassine non bastano a vincere il punto. 5 pari. Arnaldi si porta 6-5 con Rublev sempre più nervoso, tanto che il russo commette un brutto fallo, 15-30, a due punti dalla vittoria il sanremese… Il servizio aiuta il moscovita, ma una risposta fulminante di Matteo lo porta ai vantaggi. Ottimo Matteo a bloccare sul rovescio il rivale e chiude con un diritto dopo aver guadagnato l’angolo. Match Point! SI! Sbaglia il diritto il russo, quasi rasoterra. Vince Matteo! Quarto successo contro un top10, bravo a resistere a tanti alti e bassi e avanzare nel torneo. Più solido e concreto.

    ATP Indian Wells Andrey Rublev [7]45 Matteo Arnaldi67 Vincitore: Arnaldi ServizioSvolgimentoSet 2A. Rublev 0-15 15-15 15-30 df 30-30 40-30 40-40 40-A5-6 → 5-7M. Arnaldi 15-0 15-15 30-15 30-30 40-305-5 → 5-6A. Rublev 0-15 15-15 30-15 40-15 40-304-5 → 5-5M. Arnaldi 0-15 0-30 0-40 15-40 30-404-4 → 4-5A. Rublev 0-15 0-30 15-30 30-30 40-303-4 → 4-4M. Arnaldi 15-0 30-0 30-15 40-153-3 → 3-4A. Rublev 0-15 0-30 0-40 15-40 30-403-2 → 3-3M. Arnaldi 15-0 30-0 30-15 30-30 40-30 40-40 40-A 40-40 A-40 40-40 A-403-1 → 3-2A. Rublev 0-15 df 0-30 0-40 15-40 30-403-0 → 3-1M. Arnaldi 15-0 15-15 15-30 15-40 30-402-0 → 3-0A. Rublev 15-0 30-0 40-0 40-15 df ace1-0 → 2-0M. Arnaldi 0-15 0-30 0-400-0 → 1-0ServizioSvolgimentoSet 1A. Rublev 0-15 df 0-30 0-404-5 → 4-6M. Arnaldi 0-15 0-30 15-30 15-40 30-40 40-40 40-A3-5 → 4-5A. Rublev 15-0 15-15 15-30 15-403-4 → 3-5M. Arnaldi 15-0 15-15 30-15 40-153-3 → 3-4A. Rublev 15-0 15-15 30-15 40-152-3 → 3-3M. Arnaldi 15-0 30-0 30-15 40-152-2 → 2-3A. Rublev 15-0 30-0 40-0 ace1-2 → 2-2M. Arnaldi 15-0 30-0 40-0 40-151-1 → 1-2A. Rublev 15-0 30-0 30-15 df 30-30 30-401-0 → 1-1M. Arnaldi 15-0 15-15 15-30 30-30 30-400-0 → 1-0

    Statistica
    Rublev 🇷🇺
    Arnaldi 🇮🇹

    STATISTICHE DI SERVIZIO

    Valutazione del servizio
    194
    218

    Ace
    2
    0

    Doppi falli
    5
    0

    Prima di servizio
    33/61 (54%)
    30/70 (43%)

    Punti vinti sulla prima
    20/33 (61%)
    17/30 (57%)

    Punti vinti sulla seconda
    10/28 (36%)
    22/40 (55%)

    Palle break salvate
    4/10 (40%)
    7/11 (64%)

    Giochi di servizio giocati
    11
    11

    STATISTICHE DI RISPOSTA

    Valutazione della risposta
    161
    218

    Punti vinti sulla prima di servizio
    13/30 (43%)
    13/33 (39%)

    Punti vinti sulla seconda di servizio
    18/40 (45%)
    18/28 (64%)

    Palle break convertite
    4/11 (36%)
    6/10 (60%)

    Giochi di risposta giocati
    11
    11

    STATISTICHE DEI PUNTI

    Punti vinti a rete
    8/10 (80%)
    6/8 (75%)

    Vincenti
    14
    19

    Errori non forzati
    30
    33

    Punti vinti al servizio
    30/61 (49%)
    39/70 (56%)

    Punti vinti in risposta
    31/70 (44%)
    31/61 (51%)

    Totale punti vinti
    61/131 (47%)
    70/131 (53%)

    VELOCITÀ DI SERVIZIO

    Velocità massima
    212 km/h (131 mph)
    211 km/h (131 mph)

    Velocità media prima
    181 km/h (112 mph)
    186 km/h (115 mph)

    Velocità media seconda
    189 km/h (117 mph)
    191 km/h (118 mph) LEGGI TUTTO

  • in

    Shelton: “Con il solo servizio non si vincono gli Slam. Voglio completare il mio tennis e ho studiato il rovescio dei migliori”

    Ben Shelton (foto Getty Images)

    Ben Shelton è a caccia della top 10 ma guarda ancor più lontano e sogna gli Slam, riflettendo sull’importanza di completare il più possibile il suo tennis con la consapevolezza che di solo servizio i grandi tornei resteranno una Chimera. Il 22enne di Atlanta è uno degli osservati speciali a Indian Wells insieme agli altri tennisti di casa, ancor più dopo l’uscita di scena prematura di Zverev e l’assenza di Sinner, che lo scorso anno eliminò proprio Ben nei sedicesimi in due set. Parlando al sito ATP, Shelton ha confermato quanto stia lavorando con papà Brian a molti aspetti del suo gioco, in particolare il rovescio che resta il fondamentale meno sicuro del suo repertorio.
    “Se guardiamo al top della disciplina, non c’è nessuno dei big che sappia ‘solo’ servire”, afferma Shelton. “Devi essere completo per vincere gli Slam, per competere per i grandi titoli. Devi essere un giocatore completo, ed è quello per cui sto lavorando”.
    Servizio stratosferico per potenza e angoli, inclusa la seconda di servizio, e colpi davvero potenti sono i marchi di fabbrica del tennis di Ben ma in diverse situazioni il suo gioco non è così sicuro e tende ad improvvisare, una condotta tutt’altro che efficiente per battere i migliori e fare strada nei tornei più importanti. Shelton è consapevole di esser ben lontano dall’aver completato la sua tecnica e gli schemi di gioco. “Sicuramente nella off season abbiamo esaminato i migliori rovesci del tour e della storia, per capire come manovrare lo swing, come i migliori lo colpivano, la velocità con cui lo colpivano, come riuscivano a cambiare angolo e andare in entrambe le direzioni con sicurezza, e completarlo con lo slice. Non ho mai pensato che il mio rovescio fosse perfetto, idem per ogni volta che colpisco lo slice. Ho trascorso molte ore in campo lavorando a questo colpo e ho iniziato a vedere qualche risultato positivo quando ho giocato la mia prima partita ad Auckland, e poi quando sono arrivato in Australia ha iniziato a funzionare meglio”.
    Ben racconta di aver visionato in particolare i rovesci di Sinner, Alcaraz e Djokovic, capendo il motivo principale della loro forza e di quel che non andava nel suo: la posizione di partenza dello swing verso la palla, nel suo caso troppo bassa. “Quei ragazzi hanno un punto di partenza molto più alto, lasciano che la gravità faccia il lavoro per far scendere i polsi e quindi arrivano ​​con un’angolazione un po’ più alta della mia“, racconta Shelton. “Se confronto il mio rovescio a quello dell’anno scorso, adesso in quella situazione ho apportato cambiamenti“.
    Interessante in questo il punto di vista di papà (e coach) Bryan: “Stiamo cercando di cambiare la situazione e la sua apertura del rovescio, metterlo con la testa della racchetta sopra il polso, così che quando va per la palla con la rotazione del busto crea un po’ di topspin, un po’ di arco in più, e questo gli dà un po’ più di margine sul colpo. È davvero importante che lui sappia di avere il controllo della palla, e con questo diverso movimento può controllare maggiormente la traiettoria”. Effettivamente il “classico” rovescio di Ben era un’entrata secca nella palla, con un movimento cortissimo che non gli consentiva mai un bel margine in scambio, diventando la classica pallata a chiudere, ma poco efficace in costruzione e ancor meno in difesa.
    Il servizio resterà sempre il punto forte del suo gioco, e l’idea di Shelton è migliorarlo ancora, sente di aver margine. “Penso che il mio servizio debba essere ancor più preciso. La mia percentuale di prime palle sembra buona rispetto a tutti i migliori giocatori del tour, ma credo che potrebbe essere anche più alta. Voglio avere padronanza e controllo completi del mio servizio, di tutti gli effetti e di tutti gli angoli. Sento che il mio servizio è andato un po’ su e giù, in certe soluzioni lo vedo meglio ora rispetto al passato, ma in altre sento che lo eseguivo meglio prima. Sto lavorando per mettere insieme tutto questo, quindi ho arrivare a possedere un colpo completo”.
    “La gente parla molto di potenziale, ma penso alla fine tutto stia solo nel lavoro che ci metti. E so sto lavorando molto, sto lavorando sodo per migliorare e diventare più completo. Certo, anche tutti gli altri lo stanno facendo, ma io sono consapevole di star spingendo al massimo, di fare tutto ciò che è in mio potere per crescere. Questo mi dà la sicurezza di continuare ad imparare. Non mi vedo come un tennista già fatto, tutt’altro. Sono curioso io stesso nel vedere quanto posso diventare bravo” conclude Shelton.
    Potenza, ambizione, focus totale al miglioramento. Ben è un tennista molto istintivo ma dopo mesi di vita sul tour al massimo livello ha capito che per vincere è necessario un lavoro continuo e certosino sul gioco e sulla mentalità. La top 10 è relativamente vicina, a lui arrivarci ed entrare nel gruppo ristretto dei potenziali campioni 1000 e Slam. Gli Stati Uniti aspettano un vincitore Major al maschile da US Open 2003, che possa essere Shelton a spezzare questo tabù?
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Cobolli, “calma e gesso”

    Flavio Cobolli (foto Patrick Boren)

    “Il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista”. L’arguto verso del cantautore Caparezza è perfetto per descrivere le difficoltà che si possono trovare in tanti ambiti dell’umana esperienza, sport e tennis inclusi, quando siamo chiamati a confermare un qualcosa di eccellente. La novità, l’impeto della creazione o della performance porta esaltazione, il vivere in uno stato flow positivo che ti spinge a superare ostacoli e te stesso. Inoltre nel tennis conta molto il fattore novità e pure il non difendere altri grandi risultati a livello di classifica, correndo bello spedito verso l’alto. Poi arriva la seconda annata al massimo livello, e tutto si fa dannatamente difficile. L’effetto sorpresa non c’è più e gli avversari sanno come affrontarti, mentre allo stesso tempo fa capolino la pressione di dover confermare risultati e difendere punti pesanti, cercare di riaffermare il grande livello dell’anno precedente, insieme alla necessità di cambiare qualcosa per alzare ulteriormente il proprio gioco e così continuare a vincere. La situazione si fa ancor più complessa quando uno dei tuoi principali punti di forza non funziona, non c’è, non è al livello dell’anno precedente. Questo preambolo è utile per inquadrare la situazione tutt’altro che positiva di Flavio Cobolli, nostro eccellente giocatore in crisi di risultati dall’inizio della nuova stagione. Un’annata iniziata male, figlia di problemi arrivati sul finire 2024 che non gli hanno consentito di presentarsi al meglio nei primi tornei stagionali. Nei commenti post partita o in troppi scomposti post social a Cobolli vengono associate parole senza senso come “sopravvalutato” o addirittura “finito”. Beata ignoranza… o forse terrificante ignoranza nel senso pieno del termine.
    È vero che Cobolli per risultati sta deludendo su tutta la linea. I numeri parlano chiaro: -10 in classifica dal proprio best di n.30 (staccato il 30 settembre 2024), con un bilancio di 2 vittorie e 7 sconfitte nel 2025; quei due successi inoltre sono arrivati giusto nei primi due match dell’anno, in United Cup (contro Sticker e Humbert), poi sette sconfitte di fila, sei al primo turno di altrettanti tornei disputati. Ad Auckland si è ritirato vs. Nardi, presentandosi tutt’altro che al meglio a Melbourne, battuto da Etcheverry. Quindi out all’esordio a Montpellier, Rotterdam (vs. Hurkacz), Acapulco (vs. Shelton) e Indian Wells, sconfitto da Colton Smith in una partita strana, non ben giocata per colpa di uno stato influenzale che si è trascinato dai giorni scorsi. Numeri orribili, ma… i numeri vanno saputi leggere, e soprattutto interpretare. Che senso ha “sparare” su Flavio senza conoscere il suo momento e la sua condizione, assai carente rispetto all’anno scorso? Il problema di Cobolli infatti è al momento solo e soltanto uno: la condizione generale, in primis atletica.
    Può essere un esercizio utilissimo – per chi è in grado di farlo, magari recuperando un po’ dagli archivi di TennisTv – andarsi a rivedere qualche match o almeno parte di match di Flavio dello scorso anno per capire che cosa sta succedendo e perché stia attraversando quest’emorragia di risultati. La parola che meglio si associa al tennis del romano è Energia. Il suo tennis rapido e offensivo si basa sulla condizione, su quella forza fisica e continuità di spinta che l’ha portato a produrre decine di prestazioni favolose, con colpi intensi, incisivi, vincenti. Caviglie, gambe, spalla… Flavio quando sta bene è un vero “toro” sportivo per come corre, salta, spinge, sprinta e scarica tonnellate di energia sulla palla, producendo forcing che stroncano la resistenza dei rivali. Energia per attaccare; forza fisica per rincorrere e passare da difesa ad attacco, improvvise pallate di rovescio e bordate a tutta di diritto che diventano dardi al veleno per i rivali. Sentirsi bene per Cobolli è decisivo, perché tutto funziona quando il suo corpo reagisce ed esplode la dinamicità e potenza necessaria a gestire i colpi. Senza una buona condizione, anche la fiducia scema e l’architettura del suo gioco traballa, fino a collassare. Questo vale per moltissimi giocatori, ma ancor più per Flavio che ha un tennis davvero fondato sulla energia e sull’intensità.
    Cobolli purtroppo non sta trovando risultati banalmente perché non sta bene. Da mesi. Ricordiamo che ha finito il 2024 infortunato, un problema alla spalla e al braccio arrivato proprio nelle ultime settimane di calendario. Un infortunio che non ci voleva, in assoluto ma in particolare in quel preciso momento perché quelle settimane sono oro per il riposo e la preparazione. Flavio è stato costretto a passare quel periodo non a rigenerare testa e fisico per prepararsi a puntino per la trasferta australiana e mettere fieno in cascina per la prima parte del 2025, ma a curarsi. E qualche cosa si è trascinato purtroppo all’avvio dei primi tornei “down under”. Il ritiro contro Nardi, un nuovo momento di stop per qualcosa che non era a posto e ha provocato altri grattacapi. Quindi la difficoltà di ritrovare condizione per una preparazione non andata secondo i piani. E ci si mette pure l’influenza a complicare un momento non facile. Piove sul bagnato… chiara dimostrazione delle “leggi di Murphy”, che la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo… È possibile che siano stati anche commessi degli errori, come è normale che accada nella gestione di un sport difficile come il tennis, dove si cerca di fare un programma al meglio possibile ma poi gli eventi cambiano le carte in tavola e rimettere tutto al posto non è per niente facile.
    Cosa fare adesso, come invertire la tendenza? Intanto “Calma e Gesso”, mediando dal gergo del biliardo. Quelle traiettorie geometriche in progressione e il senso degli angoli e per il ritmo di Cobolli possono tranquillamente essere ritrovati e tornare a pungere gli avversari insistendo banalmente sul lavoro. Aspettando che il corpo si rimetta a regime e sostenga come nel 2024 la prestazione del nostro tennista. Il pericolo più grave è sul lato mentale: accumulare sconfitte e memorie negative potrebbe essere un problema, rischia di minare quella scioltezza di braccio e lucidità nelle scelte che è condizione necessaria ad eccellere. In tante splendide partite della scorsa stagione Cobolli si è preso grandi rischi e ha trovato punti eccellenti forte di fisico e di una convinzione che l’ha portato a giocare sciolto, deciso. Trattenere il braccio e giocare incerto non sono nel suo DNA, quindi dovrà cercare di restare sereno e non farsi condizionare da questi mesi di cattive prestazioni. Non è operazione comoda, ancor più per un ragazzo giovane con alle spalle solo una ottima stagione. Del resto, “il secondo album è sempre il più difficile”, ma nella difficoltà spesso nascono opportunità. Forza “Cobbo”!
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Addio a Fred Stolle, leggenda del tennis australiano

    Fred Stolle con la coppa di Roland Garros, insieme a Tony Roche (foto ATP site)

    Il tennis australiano e internazionale piange la scomparsa di Fred Stolle, uno dei giocatori che resero il tennis “Green and Gold” leggendario a cavallo tra anni ’60 e ’70 insieme ai connazionali Laver, Rosewall, Newcombe, Roche, Emerson e via dicendo. Aveva 86 anni. In carriera vinse due titoli dello Slam in singolare (Roland Garros e US Open) e ben 17 titoli in doppio, che lo resero forse il più forte in assoluto nella specialità nella sua epoca, nella quale tutti i migliori (o quasi) partecipavano anche in doppio nei tornei dello Slam e maggiori eventi del tour. È entrato nella storia dei giocatori capaci di raggiungere la finale in tutti gli Slam, perdendone ben sei e tre consecutive a Wimbledon (1963 -1965). Grande Davisman, fu decisivo in tre successi per la sua squadra nazionale (1964-1966), per poi passare prima all’allenamento (tra gli altri ha seguito Vitas Gerulaitis) e quindi al microfono, dove per molti anni è stato apprezzata voce di Channel Nine, uno dei più importanti network australiani, e poi anche per CBS e Fox Sports in America. Ricordando sua lunghissima carriera, terminata nei primissimi anni ’80, Stolle teneva soprattutto alle vittorie in Davis, “Giocare e vincere per l’Australia ha significato tutto per me”.
    Crebbe a Hornsby, sulla costa settentrionale di Sydney, e il suo primo assaggio della Coppa Davis avvenne quando fu selezionato come raccattapalle durante la partita del 1951 tra Italia e Stati Uniti a White City. Fu una folgorazione: il tennis divenne il suo scopo di vita, tanto da abbandonare il cricket e il rugby, sport nei quali era parimenti promettente. In quell’epoca il tennis australiano vantava grandi tennisti, così che la sua famiglia riuscì a raccogliere i fondi necessari alla sua formazione e viaggi all’estero per completare la sua crescita tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60. Vista la sua altezza (191 cm), Stolle dominava al servizio, bravissimo ad imprimere ogni tipo di effetto, ed era rapidissimo nello scendere a rete dove sapeva toccare la palla con maestria. Passarlo era faccenda molto complicata, anche per i migliori avversari.
    Nel 1963 raggiunse la finale in singolare e a Wimbledon al termine di uno tornei giocato da campione, ma fu sconfitto dall’americano Chuck McKinley. Arrivò al match per il titolo a Londra anche nei due anni successivi, battuto in entrambe le occasioni da Roy Emerson. La sua serie di sconfitte in finali Slam continuò anche a US Open 1964 e poi Australian Open 1965, tanto che su Stolle aleggiava una scomoda aura da “perdente” nelle partite decisive. Lui stesso dubitò di farcela, ma finalmente l’incantesimo si spezzò a Roland Garros 1965, con il primo titolo Slam battendo il connazionale Tony Roche in finale. Fred vinse il suo secondo Major a US Open nel 1966, superando in finale John Newcombe in quattro set, un successo che lo portò sul trono nel tennis maschile per la prima volta (ancora non c’era una classifica calcolata al computer). A New York nell’anno del suo successo era non nemmeno testa di serie, tanto che il cronista di Sport Illustrated Frank Deford attribuì la sua vittoria alla sua maestria nel “lob e smash”. In effetti Stolle sulla rete era tra i migliori e il suo tennis non difettava di sensibilità.
    Alla fine del 1966 Stolle divenne professionista. Con l’avvento dell’Era Open (1968) Fred raggiunse altri quattro quarti di finali in tornei Slam e continuò a giocare per tutti gli anni ’70 con risultati solo discreti, splendendo invece in doppio. La sua ultima partita ufficiale in singolo fu nel novembre 1982 a Baltimora, quattro anni dopo la sua ultima apparizione in singolo in uno Slam (Wimbledon 1978).
    Grandissimo amico di Roy Emerson, dai connazionali in Davis gli fu affibbiato il soprannome di “Fiery” (ossia infuocato), ma era un nomignolo del tutto ironico per stigmatizzare la sua proverbiale lentezza nell’avviare l’attività al mattino e una certa tranquillità negli allenamenti, a dispetto del furore agonistico di molti suoi colleghi. Stolle non se la prese mai, forte di uno spiccato senso dell’umorismo e voglia di vivere la vita con serenità e allegria. In un commento scrisse che “per alcuni il campo da tennis era come un ring di pugilato, ma non per me, l’ho sempre visto come un palco”.
    Suo figlio Sandon divenne un professionista, con una buona carriera in doppio. I più giovani lo ricordano come commentatore, sempre pronto a chiare analisi del gioco e spesso anche critiche pungenti, ma garbate e mai sopra le righe. Era un uomo di classe, in campo e fuori. Dopo Neale Fraser, scomparso lo scorso dicembre, un altro grande del tennis australiano ci lascia. Rod Laver ha scritto un post in ricordo del connazionale e amico. “Come ho scritto nel mio libro sull’epoca d’oro del tennis australiano, Fred Stolle era un tipo troppo gentile per serbare rancore. Ci voleva il migliore per battere il migliore. Non ci siamo mai stancati di rivivere il passato mentre viaggiavamo per il mondo guardando al futuro con un amore duraturo per lo sport”.

    As I wrote in my book on the Golden Era of Aussie tennis, Fred Stolle was too nice a guy to hold a grudge. He won many Grand Slams and was in the finals of many more. It took the best to beat the best. We never tired of reliving the past as we travelled the world looking into the… pic.twitter.com/yTkdrRvEPZ
    — Rod Laver (@rodlaver) March 6, 2025

    Questo il ricordo di Craig Tiley, CEO di Tennis Australia: “”Quando parliamo dell’epoca d’oro dell’Australia e del passaggio dal dilettantismo al professionismo, il nome di Stolle è lì con i migliori. Membro di spicco della squadra australiana di Coppa Davis, Fred ha dato un contributo significativo allo sport dopo la sua carriera decorata, come allenatore e arguto commentatore. La sua eredità è fatta di eccellenza, dedizione e profondo amore per il tennis. Il suo impatto sullo sport sarà ricordato e amato da tutti coloro che hanno avuto il privilegio di assistere al suo contributo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Nardi da Indian Wells: “Questo è un posto speciale per me. Ho cambiato il bilanciamento della racchetta, così servo meglio”

    Luca Nardi, al best ranking in classifica (n.67 – Foto ATPsite)

    Quando si torna in un posto dove è successo qualcosa di magico, dove si è stati bene, è impossibile non rivivere nella memoria quei momenti. Così Luca Nardi, tornato a Indian Wells un anno dopo il clamoroso successo sull’allora n.1 del mondo Novak Djokovic, varcando la soglia del Centrale ha rivisto come in film quella partita che l’ha reso celebre in tutto il mondo. Il marchigiano infatti, a dispetto di un talento tecnico straordinario, non era fin lì riuscito a farsi notare al grandissimo pubblico internazionale, un po’ bloccato in una sorta di limbo tra il grande tennis e il Challenger tour, dove ha raccolto buoni risultati ma senza quella continuità necessaria a spiccare il volo. Da allora è passato un anno, non c’è più coach Galimberti nel suo angolo e gli alti e bassi sono continuati. Da qualche settimana però Luca sembra aver trovato nuova spinta, schemi più razionali e solidi a sostenere quella sua straordinaria facilità di impatto che gli consente di fare quel che vuole con la palla. L’azzurro esordirà nella notte italiana al Masters 1000 californiano contro l’ex top 10 Cameron Norrie, match ricco di insidie visto che il britannico, seppur sceso nel ranking, resta un tennista che può darti molto fastidio con il suo poco ritmo, schemi mancini e attacchi ripetuti. Interpellato dal sito ATP, Nardi così ha ricordato quella vittoria su Djokovic e si è soffermato anche su di un importante cambiamento nella sua attrezzatura.
    “Non appena sono arrivato, ho iniziato a provare delle emozioni molto belle” racconta Nardi. “È una sensazione speciale tornare qui. Di solito non sono Luca Nardi. Sono il ragazzo che ha battuto Novak Djokovic. Forse non sanno il nome, ma sono il ragazzo che ha battuto Djokovic”, sorride. Quel successo contro il suo idolo, di cui aveva il post in camera, non lo potrà mai dimenticare, come la sensazione al momento di servire per chiudere la partita… “Sul match point ho pensato che avrei potuto fare un doppio fallo, cosa che faccio di solito”, afferma Luca, accennando un sorriso. “E invece ho tirato un Ace! È stato qualcosa di pazzesco, andare a rete a stringergli la mano, consapevole che avevo vinto io, e lui, il migliore, aveva perso… è stato qualcosa che non avrei mai potuto immaginare. È stato un momento molto bello”.
    Dopo quella vittoria sorprendente e grandissima Nardi vinse al Challenger di Napoli, ma dopo Monte Carlo arrivò un momento nero, senza due vittorie di fila fino a settembre. “In realtà, dopo quella partita il mio gioco non è stato così buono“, racconta Nardi. “Ma alla fine dell’anno e negli ultimi mesi, di sicuro ho giocato meglio. Lo dimostra la mia scalata nella classifica”. Nardi ha vinto il Challenger di Rovereto lo scorso autunno e quindi ha raggiunto la finale qualche settimana fa, sempre a livello Challenger, a Coblenza (Germania), fino alla splendida cavalcata di Dubai dove da lucky loser è arrivato nei quarti di finale, attestandosi al proprio best ranking di n.67.
    Un ottimo momento per il pesarese, figlio anche di un aggiustamento del telaio: “Ho cambiato il set up della mia racchetta nelle ultime due settimane, quindi non molto tempo fa. È la stessa racchetta, ma ho fatto qualche modifica nel bilanciamento e mi sta aiutando molto. Sto servendo un po’ meglio“.
    “Qua è un posto in cui ho giocato un buon tennis, quindi penso di poter ottenere un buon risultato anche quest’anno. Non vedo l’ora di giocare” conclude Luca. In caso di vittoria contro Norrie (il britannico ha vinto l’unico precedente a Roma 2022), Nardi troverà Jiri Lehecka al secondo turno, un rivale molto ostico su questi campi. Ma è sempre meglio andare un passo per volta. Ancor più se ti chiami Luca Nardi, hai un grandissimo talento ma sei ancora a caccia di continuità di gioco e risultati.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Roddick sui campi più veloci di Indian Wells: “Sarà favorito chi riesce a far saltare tanto la palla, come il servizio di Shelton o il diritto di Ruud”

    And Roddick

    Andy Roddick non vede l’ora di assistere ai match dell’edizione 2025 di Indian Wells che, con campi rinnovati e più rapidi, potrebbe mescolare non poco le carte in tavola. L’ex n.1 americano non ha mai vinto in carriera il titolo in California (vinse il doppio nel 2009 con Mary Fish), ma pensa che se potesse giocare oggi con il suo servizio e diritto, avrebbe di che divertirsi…
    “La palla volerà ancor di più a Indian Wells, perché puoi cambiare tutto ma non puoi adattare l’aria”, afferma Roddick nel suo seguitissimo podcast Served with Andy Roddick. “Qua l’aria è quella deserto, soprattutto nei match di giorno, c’è lo 0% di umidità quindi se fai un servizio carico di effetto kick…la palla rimbalzerà sopra la testa di qualcuno. Rispondere sarà difficile e avrò il tempo per girarmi sul mio diritto e tirare una pallata dall’alto verso il basso. Ci sono diversi modi per usare questo campo più rapido e queste condizioni a tuo favore“.
    “Con i match vedremo se davvero il campo sarà molto più rapido di prima. Se si va verso una superficie come US Open o Cincinnati e hai quell’aria dove non c’è abbastanza umidità per rendere la palla un po’ più pesante, vedrai Reilly Opelka che spara servizi kick mandando la palla oltre la terza fila…! Ben Shelton potrebbe leccarsi i baffi. Ma non solo grandi servizi. Uno come Casper Ruud, con il suo diritto pesante e carico di spin, tirerà delle palle che manderanno i rivali a ribattere fuori dal campo“.
    Secondo Roddick quindi il cambio di manto da Plexipave a Laykold potrebbe cambiare nettamente rimbalzo, vista la combinazione unica nel deserto con l’aria estremamente secca. Quindi i giocatori che potrebbero trarre vantaggio da questo cambiamento sono coloro che tirano colpi potenti e carichi di spin. Andy poi si concentra sulle condizioni generali nel tennis, affermando che a suo dire le palle restano ancor più importanti delle superfici, e che i giocatori alla fine si adattano e tarano il proprio tennis in relazione alle condizioni generali che trovano. Quindi chi punta il dito contro un tennis un po’ “omologato” non dovrebbe accusare i tennisti quanto chi ha creato questa combinazione di palle e campi.
    “Non credo che dovremmo preoccuparci di rendere tutte le superfici uguali” continua Roddick, “non credo che molti di coloro che ascoltano questo podcast abbiano seguito il tennis maschile e il modo in cui si è evoluto negli ultimi 25 anni, e questa non è una critica a dove siamo, ma penso che le superfici lente siano arrivate dominare l’annata mentre quelle veloci sono in un certo senso scomparse, quindi siamo in questa situazione in cui molto del tennis che vediamo sembra tutto uguale. I giocatori giocano tutti allo stesso modo? Penso che i tennisti tirino fuori la versione più efficace di se stessi in base alle condizioni che gli stai dando. Vi garantisco che se rendiamo tutto assai più veloce come negli anni ’90, tornerebbero un sacco di grandi volée molto rapidamente, questo è l’aspetto più importante“.
    “Se vogliamo concentrarci su qualcosa di davvero importante, focalizziamoci sul peso di una palla, sulla qualità del feltro, queste due cose contano più di ogni altra. La palla conta molto di più rispetto al campo per l’impatto sul gioco e anche per quanto riguarda la salute. In realtà io vorrei vedere i campi diventare un po’ più estremi, vorrei vedere un torneo che è davvero veloce: vi assicuro che i tennisti giocheranno bene perché si adattano anche se è molto veloce. Ci sarebbe qualcosa di diverso”.
    Ultima nota di Roddick sul calendario: “Non so se ho capito del tutto il senso di giocare un torneo su cemento a marzo e aver bisogno di abbinarlo a un torneo su cemento a settembre, quando non hai altro che terra battuta ed erba in mezzo”.
    Considerazioni interessanti, come sempre nel podcast di Andy, probabilmente il migliore in giro per analisi e qualità dei contenuti – come ha dimostrato analizzando con dettagli e competenza la faccenda di Jannik Sinner nelle scorse settimane. Carlos Alcaraz si è lamentato del cambio di superficie a Indian Wells, dove troverà condizioni assai diverse rispetto alle ultime due edizioni, da lui vinte. Tuttavia, secondo quel che ha spiegato Roddick, se si gioca con potenza e spin si potrà sfruttare al meglio questo campo che farà saltare di più la palla senza rallentarla troppo. In base alla logica, Alcaraz ha forza nel corpo e può generare molto spin, quindi in teoria non dovrebbe essere così svantaggiato. È vero che lo spagnolo ama giocare in anticipo e picchiare la palla con grandi accelerazioni, ma soffre meno di tanti altri un rimbalzo assai accentuato. Alla fine forse il nocciolo della questione è quello sottolineato da Roddick: i giocatori danno la miglior versione di se stessi adattandosi alle condizioni che trovano. Vince chi è più bravo ad analizzare il contesto e trovare la soluzione.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Larry Ellison, il “guru” di Indian Wells

    Larry Ellison con Novak Djokovic

    Come è possibile passare in una manciata di anni dall’orlo della bancarotta e cancellazione dal calendario ATP (o almeno deciso declassamento) a torneo più ricco, meglio organizzato e pluripremiato della stagione tennistica? Beh, un colpo di genio, o di fortuna. O meglio ancora, la combinazione delle due cose. Ogni sogno è diventato realtà in quel di Indian Wells grazie alla visione e “billions” del proprietario del Masters 1000 californiano, Larry Ellison, uno degli uomini più ricchi del mondo e grandissimo appassionato di tennis. Il “guru” dell’informatica, da sempre amante del nostro sport, decise nel 2009 di rilevare il torneo californiano dopo averlo inizialmente sostenuto da lontano in una complessa operazione di salvataggio. Da lì in avanti qualche anno di consolidamento e quindi via a progetti faraonici di ampliamento e miglioramenti continui, fino all’attuale definizione di “Tennis Paradise” che è tanto marketing ma ha anche del vero, vista la straordinaria accoglienza e qualità dei servizi riservati a giocatori e pubblico, migliaia di appassionati che ogni fine inverno arrivano in quest’oasi nel deserto e si lasciano cullare da mille opportunità di svago e tennis di primissima qualità.

    Un po’ di storia
    Il torneo di Indian Wells nacque grazie agli sforzi di due ex Pro, Charlie Pasarell e Raymond Moore. Tra il 1974 e il 1976 non figurava nella stagione tennistica ufficiale, entrando nel Grand Prix Tennis Tour nel 1977. Il primo campione fu Brian Gottfried e il suo albo d’oro vanta quasi tutti i più grandi nella storia del gioco (eccetto Borg e McEnroe, fatto questo assai curioso). Ci furono anche degli spostamenti di sede, fino a stabilirsi nell’area attuale, la Coachella Valley nei pressi di Palm Springs (a 201 km da Los Angeles). Negli anni il torneo crebbe moltissimo come notorietà e valore, restando sempre appena dietro a Key Biscayne (all’epoca considerato il “quinto Slam”) e vivendo alti e bassi e livello economico. Nel 2000 si decise di costruire da zero l’Indian Wells Tennis Garden per rinnovare le strutture, con la visione di diventare un punto di riferimento del tennis nel nuovo millennio, forte anche dei finanziamenti di Mark McCormack. La creazione del primo stadio fu stupefacente, ma negli anni il peso degli investimenti e qualche problema con alcuni sponsor statunitensi dopo il boicottaggio delle sorelle Williams misero il torneo in grande difficoltà. Quella faccenda esplose su tutti i media nazionali e la immagine dell’evento non ne uscì all’epoca benissimo. Le due Williams avrebbero dovuto giocare una contro l’altra la semifinale nel 2001, ma Venus si ritirò a causa di un infortunio non meglio precisato. Uscirono pesanti speculazioni di una scelta di comodo, di papà Richard che avrebbe deciso per mandare avanti Serena; la folla nel corso della finale fischiò ripetutamente Serena, sia durate il gioco che nel corso della premiazione, dopo aver trionfato. Nove giorni dopo, mentre partecipava al torneo di Miami, Richard Williams dichiarò senza mezzi termini di esser stato assalito verbalmente mentre era sugli spalti con Venus ad assistere la finale, “qualcuno mi urlò che mi avrebbero scuoiato vivo”. Il direttore del torneo di Indian Wells Charlie Pasarell affermò molto amareggiato “Mi sono sentito in imbarazzo quando è successo tutto quello che è successo. È stato ingiusto che la folla facesse una cosa del genere”. Serena e Venus disertarono il torneo fino al 2015, quando il nuovo capo Ellison chiamò di persona le due, convincendole a tornare.
    Oltre a questo episodio il torneo visse un momento di gravissima crisi economica tra 2006 e 2007: alcuni importanti sponsor non rinnovarono il proprio contratto tanto che Indian Wells arrivò ad un passo dal perdere la data poiché non era assicurata la copertura finanziaria triennale necessaria al rinnovo con l’ATP. E c’era dell’altro a minacciare fortemente Indian Wells. Dall’altro lato del deserto c’era l’uomo più ricco del mondo all’epoca, il magnate della telefonia messicana Carlos Slim, che spingeva per portare l’allora Master Series nella incantevole baia di Acapulco, all’interno di un faraonico progetto di rilancio dello sport e dell’entertainment messicano insieme ad investimenti notevoli in un nuovo complesso sportivo – alberghiero di lusso. Numeri da capogiro, un progetto molto ben realizzato e la curiosità da parte dell’ATP di esplorare un mercato potenzialmente enorme, mentre il tennis a stelle e strisce iniziava la discesa con la chiusura dell’epopea di Sampras e Agassi. Nell’ambiente finanziario si parlava di accordo già fatto, la firma del passaggio di data come cosa fatta e Indian Wells declassato ad ATP 250 dal 2008. Quando le bottiglie di Champagne negli uffici della Telmex di Slim erano già pronte sul tavolo, Passarell con un colpo di coda ottenne una nuova copertura finanziaria che fece saltare in extremis l’accordo e il torneo restò ad Indian Wells, con grave smacco per i messicani che minacciarono anche le vie legali per vederci chiaro. Chi c’era dietro a questo rilancio?
    Non è mai stato chiarito, ma visto che nel 2009 Larry Ellison divenne ufficialmente il proprietario del torneo, è facile pensare che già all’epoca il suo intervento possa esser stato decisivo. Ma chi è questo signore sorridente che ogni anno non si perde un match di cartello sul centrale del suo torneo, dialogando spesso e volentieri nel suo box in primissima fila con gente come Federer, Agassi, Djokovic e via dicendo? Ellison non è noto al grande pubblico come i magnati della finanza o gli inventori delle nuove aziende hi-tech che oggi dominano il mercato, come Bill Gates e via dicendo, ma è da anni uno dei personaggi più influenti al mondo, grazie alla sua visione e prodotti rivoluzionari. La sua è la classica storia americana, di uno che si è fatto da solo partendo dai bassifondi.

    Ellison, la rivoluzione nella gestione di dati a database
    Nato nel 1944 nel Bronx, per Forbes nel 2024 è il quinto uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato di 141 miliardi di dollari. La sua creatura è Oracle, impresa con oltre 140mila dipendenti in tutto il mondo, meno visibile di Apple, Microsoft, Google, Amazon e tutte le varie big-tech che dominano il mercato, ma se pagate con una carta di credito, prenotate un volo o un hotel, o cercate qualche servizio di vario genere, al 99% anche se non lo sapete state usando un database o sistema creato, affinato e venduto proprio da Ellison. Ne ha fatta davvero tanta di strada questo genio della matematica, figlio di una ragazza madre e adottato da piccolo. E pensare che la sua famiglia lo considerava un sorta di perditempo, tanto da spingerlo a non insistere per lo studio; ma il giovane Larry non abbandonò mai la sua passione e clamorosa intuizione per la matematica ed i sistemi, diventando la sua fortuna.
    Lasciati gli studi universitari dopo un solo semestre, scommette su se stesso recandosi in California, ambiente più stimolante e non basato sull’industria ed economia tradizionale. Ellison non era interessato ad un lavoro tradizionale, una scrivania e una famiglia; lui vedeva avanti e voleva studiare il mondo, capire come poter applicare la sua intuizione e convinzione che con i numeri si potesse costruire un sistema per fare cose strabilianti. Per diversi anni passa da un’azienda all’altra lavorando come tecnico e facendo esperienza, i semi per la nascita di una impresa tutta sua. Rivoluzionaria. “I manager erano burocrati conformisti, riluttanti a prendere decisioni, paralizzati dalla paura di sbagliare. Con mia sorpresa mi resi conto che ero migliore di loro nello scegliere la strada giusta e risolvere problemi” racconta Ellison a Matthew Symonds, autore del libro Softwar. An Intimate Portrait of Larry Ellison and Oracle. La svolta arriva ne, 1977: Larry lavora per una azienda che raccoglie milioni di dati, ma non riesce a trovare un modo per organizzarli in modo efficace. Siamo all’alba dei computer, e qua Ellison prende la palla al balzo, convincendo due colleghi a seguirlo nella sua visione, quella di creare una nuova azienda per fare consulenza sull’archiviazione e gestione dei dati attraverso un software nuovo e mai visto prima.
    Ellison inizialmente aveva pensato ad una gestione dei dati, ma la mole di lavoro era impossibile da sopportare con mezzi tradizionali, quindi da una esigenza nasce la risposta, e la rivoluzione: creare una software che faccia lavorare di meno, e guadagnare di più. “Avevamo un sacco di richieste, ma per soddisfarle stavamo in ufficio 11 ore al giorno, 7 giorni su 7. Così ho deciso di lasciar perdere la consulenza per dedicarmi ai software, molto più vantaggioso perché un programma si crea e poi si continua a vendere” affermò Ellison. Spinse tutte le sue idee e risorse per creare un nuovo sistema per archiviare i dati dei database, più rapido e soprattutto con chiavi di ricerca e gestione più efficaci. A quell’epoca non esisteva un sistema soddisfacente e per questo l’avvento del suo nuovo software cambiò le regole del gioco, un sistema che memorizza i dati sia logicamente, sotto forma di tablespace, sia fisicamente, sotto forma di file (datafile). Era appena nato Oracle. “Il prodotto doveva avere velocità e affidabilità, questi i punti di forza. Puntammo a un mercato non appetibile per IBM (il gigante dell’epoca, ndr) e che fosse rischioso: così avremmo avuto meno competitor” continua Ellison. Rischio alto, ma altissimo il rendimento perché nessuno ha un prodotto così, tanto che tutti si interessano a questo sistema di archiviazione e gestione dati, addirittura la CIA. Quella collaborazione nacque per un colpo di genio e fortuna, visto che uno dei soci di Ellison era conosciuto dal responsabile acquisti dell’Agenzia dell’Intelligence degli USA.

    Dalla CIA al… mondo
    Aver suscitato l’interesse della CIA fu una mossa commerciale straordinaria, in brevissimo tempo il passaparola portò Oracle sulla bocca di tutti, grandi aziende comprese, ma c’era un enorme punto di domanda: lo sviluppo e vendita richiedevano cash, un flusso costante di denaro che… mancava, poiché per vendere il prodotto stesso i pagamenti all’inizio erano stati dilazionati nel tempo, in modo che i clienti potessero provare il sistema e assicurarsi della sua bontà. Casse vuote. La scommessa di Ellison fu lavorare senza guadagnare un dollaro, per diverso tempo, e con lui i migliori collaboratori, con l’impegno di premiarli in modo più che soddisfacente nel breve periodo. Altro scoglio per Oracle era garantire la massima compatibilità con i vari sistemi informatici: nel 1980 non eravamo come oggi adagiati su un paio di sistemi operativi, c’era un mercato in continua evoluzione. Ellison gira come un matto per tutte le case software in modo da studiare i vari prodotti e far sì che il suo gioiello possa funzionare senza intoppi. Alti e bassi, ma alla lunga possiamo affermare che ha vinto lui.
    Dopo l’enorme interesse iniziale, la crescita fu importante ma non così immediata come lo stesso Ellison si aspettava. Importanti aziende informatiche consideravano Lary e i suoi prodotti come “inutili”, forse temendolo… Infatti Oracle rispetto agli USA ebbe un impatto superiore in Europa, dove c’era un approccio al cliente meno basato sul guadagno a breve termine, e si cercava soprattutto un partner tecnologico affidabile nel lungo periodo, per non aver problemi. Quindi oltre alla forza di vendita, necessaria alla crescita, Larry investe molto nell’assistenza e formazione, andando a rastrellare sul mercato i migliori tecnici che, forti della loro competenza, erano in grado di spiegare ai clienti i vantaggi del sistema Oracle rispetto a tutti gli altri. Questo divenne altra sua mossa vincente. Dai 50 dipendenti del 1983, moltissimi puri venditori, nei primi anni ’90 la sua impresa diventa una realtà forte e consolidata in tutto il mondo. Con 131 milioni di dollari di fatturato, Oracle sbarca in borsa nel 1986. Il treno di Ellison, nonostante scontati alti e bassi quando si parla di hi-tech vista la volubilità del mercato, e qualche errore strategico prontamente rimediato con una fede incrollabile nella sua azienda, era partito e non si è più fermato.
    Con i guadagni mostruosi maturati, Ellison si è tolto molti sfizi. Dall’acquisto di una isola alle Hawaii ad alcuni giocattoli “discutibili” (addirittura degli aerei da combattimento ex sovietici, con più di qualche difficoltà per farseli consegnare negli States…), fino all’approdo nel mondo dello sport, prima la vela in American’s Cup dove arrivò secondo nel 2004 poi il tennis, una delle sue grandi passioni. 100 milioni per rilevare il torneo di Indian Wells nel 2009, altrettanti per un primo rilancio e poi moltissimi investimenti per costruire pezzo dopo pezzo il “Tennis Paradise”. Oggi il suo torneo è considerato il migliore al mondo dopo gli Slam. Sogna di arrivare al rango dei Major, ma intanto si gode la sua creatura con un motto che rilancia nelle poche interviste che concede: “Non mi interessa diventare l’uomo ricco del mondo, sarò felice quando con le mie azioni renderò il mondo un posto migliore. Ma non chiamatelo altruismo, il mio è egoismo. Anzi, chiamartelo egoismo illuminato”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO