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    2024, anno più azzurro che mai. Tutte le vittorie italiane, dagli Australian Open di Sinner alla Davis Cup di Malaga

    Jannik Sinner con la coppa degli Australian Open 2024

    “Sky is the limit” dicono a Londra e dintorni. Se ci credi e lavori duro, le vittorie arriveranno e non c’è limite alle possibilità di successo. Verissimo, è la miglior filosofia di vita, quella che anima Jannik Sinner e l’ha issato sul trono del tennis mondiale con un percorso partito da lontanissimo, forte della sua Straordinaria Normalità. E c’è non solo lui animato da questo mantra. C’è Jasmine, Matteo e tutti gli altri. Non sono piovuti dal cielo, nient’affatto. C’è lavoro, mentalità, metodo. C’è un sistema Italia che funziona e sembra aver consolidato le fondamenta per auto alimentarsi, questo è ancor più importante. L’insegnamento alla base è migliorato, i club sono dinamici, la Federazione ha tagliato inefficienze e sostenuto la bontà del lavoro locale, con sinergie e competenza, tecnica e manageriale. L’attualità è talmente bella che sembra di volare, successi che a riavvolgere il nastro della memoria a quando per anni a malapena riuscivamo a passare tre turni in uno Slam sembra impossibile… Invece è tutto vero, verissimo. L’Italia è nazione leader nel tennis. Abbiamo vinto praticamente TUTTO nel 2024. Campioni del mondo a squadre nel maschile e nel femminile. Medaglie olimpiche, il n.1 del mondo tra gli uomini al termine di una delle migliori stagioni di sempre, e la n.4 tra le ragazze, con due finali Slam per Jasmine e l’Oro in doppio a Parigi. Abbiamo 9 top 100 negli uomini, molti sono giovani e con ampi margini di crescita. Il 2024 è un’annata così bella che far meglio o solo confermarla sarà difficilissimo, ma adesso è il tempo di riposare e gioire, con una racchetta sotto l’albero di Natale mai così brillante.
    Ripercorriamo tutti i principali successi dei tennisti italiani nel 2024, dal clamoroso successo Slam di Jannik Sinner all’Australian Open, che ha riportato un major tra gli uomini in Italia da Parigi ’76 e le acrobazie di Adriano Panatta, alla seconda vittoria in Davis Cup consecutiva per i ragazzi di Filippo Volandri, forti di uno Jannik stellare e di un gruppo di grande talento. C’è davvero di tutto in questo 2024, vittorie in tutti gli angoli del mondo, ed è giusto sottolineare quanto Paolini sia andata vicino a vincere Wimbledon… Roba da brividi.

    28 gennaio 2024, Australian Open: Jannik Sinner rimonta due set a Daniil Medvedev e vince il suo primo Slam in carriera. Lo fa battendo dai quarti il n.5, il n.1 e il n.3 del mondo, ossia il percorso più tosto possibile. E quel n.1, era un certo Novak Djokovic, imbattuto nel torneo una volta sbarcato in semifinale…

    Sublime from Sinner
    The Italian clinches his maiden Grand Slam title
    He triumphs in five hardfought sets 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3 to win #AO2024. @janniksin • @wwos • @espn • @eurosport • @wowowtennis pic.twitter.com/DTCIqWoUoR
    — #AusOpen (@AustralianOpen) January 28, 2024

    4 febbraio 2024, Linz: lo “strano” doppio Errani – Paolini inizia a funzionare per davvero, le due vincono in Austria il secondo torneo WTA assieme. Geometrie, sincronismi, con Sara clamorosa sul net e Jasmine esuberante e sempre più a suo agio. Semi che diventeranno rose bellissime in estate.
    11 febbraio 2024, Cordoba: Luciano Darderi nella natia Argentina gioca una settimana da urlo e vince il primo ATP in carriera. Inizia la sua cavalcata sul tour, con altre vittorie che lo issano fino ad un passo dall’entrare nella top30. A soli 22 anni e praticamente zero esperienza sul veloce nei grandi eventi.
    18 febbraio 2024, Rotterdam: Sinner alza il trofeo dell’importante torneo indoor europeo, il miglior 500 al mondo per tradizione e campo di partecipanti. Il suo treno corre velocissimo, per lui 12 vittorie consecutive nel nuovo anno, forte del clamoroso finale di 2023. Il computer non lo certifica, ma gli avversari sono consapevoli che è già il migliore del mondo. Lo diventerà 4 mesi dopo.
    18 febbraio 2024, Buenos Aires: Non solo Sinner. Pure Bolelli e Vavassori vincono, il doppio nel torneo argentino. Un successo contro un team tra i più collaudati al mondo, Granollers Zeballos.
    24 febbraio 2024, Dubai: il secondo mese dell’anno si chiude con il “botto”, Paolini trionfa nel primo WTA 1000 in carriera, al termine di un torneo duro e ben giocato. Impressiona il tennis offensivo dell’azzurra, passata in pochi mesi da acerrima lottatrice a gran produttrice di gioco. Solo Pennetta e Giorgi erano riuscite prima di lei a vincere un torneo di questa categoria.

    Jasmine’s crowning moment in Dubai 💜#DDFTennis pic.twitter.com/ZTP3WJ2wzK
    — wta (@WTA) February 24, 2024

    31 marzo 2024, Miami: l’uovo di Pasqua più bello è la coppa di Sinner al Masters 1000 della Florida. Domina il torneo con una superiorità imbarazzante sui rivali, in particolare su Medvedev, scherzato come mai prima in carriera. Sul cemento Jannik è quasi imbattitile.
    7 aprile 2024, Marrakech: si torna sul rosso ed è subito un italiano a vincere il primo torneo. Berrettini! Matteo lotta come un leone e doma uno dopo l’altro tutti gli avversari, vincendo un torneo che lo fa tornare di prepotenza nel radar del grande tennis dopo un’autunno da dimenticare. È il torneo n.90 vinto da un italiano sul tour Pro.
    19 maggio 2024, Roma: tutti sognavano il trionfo di Sinner, inutile prenderci in giro. Invece Jannik è k.o. all’anca, si presenta al Foro Italico la domenica prima del torneo e c’è parecchia apprensione. Il torneo lo vince Zverev, ma le immagini dell’anno sono la folla oceanica che saluta Nadal all’ultima presenza in Italia, e il sorriso vincente di Sara e Jasmine. Errani aveva già vinto con Vinci 12 anni fa, la coppia cresce a dismisura, e si diverte.
    23 giugno 2024, Halle: Sinner alza il suo primo trofeo su erba nell’ormai classico appuntamento pre Wimbledon in Germania. Lo fa da n.1 del mondo (lo è diventato il 10 giugno), è il suo 14esimo titolo in carriera. Nemmeno i prati frenano Jannik, non fanno più paura.
    23 giugno 2024, Halle: anche Bolelli – Vavassori trionfano nel torneo di doppio, per un en plein azzurro da cineteca. Bravi! La qualificazione alle Finals è sempre più probabile…
    21 luglio 2024, Gstaad: estate non è solo mare e spiaggia, è anche tennis sulle Alpi, e in quota il servizio di Berrettini decolla e diventa imprendibile. Domina il torneo svizzero, alzando di nuovo il (pesante) trofeo già vinto nel 2018, in quel che fu il suo primo alloro da Pro. E la settimana dopo…
    27 luglio 2024, Kitzbuhel: …arriva il secondo titolo di fila e terzo in stagione per Berrettini, stavolta nella fascinosa località austriaca ai piedi della mitica Streif di sci. Sono i 10 i titoli in carriera per Matteo, tutti tra erba e terra battuta, ma il più bello deve ancora arrivare…
    3 agosto 2024, Olimpiadi di Parigi: Lorenzo Musetti gioca un torneo eccezionale e vince il Bronzo olimpico, esattamente 100 anni dopo l’ultima medaglia ufficiale, quella di Uberto de Morpurgo sempre nella Ville Lumiere. Musetti dopo Wimbledon certifica il suo nuovo status, nei grandi appuntamenti lui c’è.

    Lorenzo Musetti, Olympic bronze medalist
    WHAT A MOMENT. pic.twitter.com/LW5F5FMKah
    — Bastien Fachan (@BastienFachan) August 3, 2024

    4 agosto 2024, Olimpiadi di Parigi: dopo il bronzo, ecco l’Oro! Sono Errani e Paolini a far suonare l’inno di Mameli a Roland Garros in versione olimpica, con una bellissima vittoria di coppia che certifica il loro status di campionesse. Avevano iniziato quasi per gioco, ma quanto le piace giocare ora…
    19 agosto 2024, Cincinnati: Sinner non conferma il primo titolo 1000 in carriera in Canada, ma vince quello successivo in Ohio, mostrando un tennis non ancora al top come in Australia ma in crescendo. Infatti a New York…
    24 agosto 2024, Winston-Salem: tutti gli occhi sono puntati su US Open, ma nell’ultimo antipasto prima del quarto Slam stagionale ecco che sbuca Lorenzo Sonego. Il torinese si prende una bella soddisfazione dopo un periodo non eccellente, torna a vincere un torneo, quarto in carriera. Bellissima la finale dove schianta il talento locale Michelsen, che sotto gli attacchi garibaldini del nostro non ci capisce niente.
    5 settembre 2024, New York: Errani più invecchia, più migliora. Gioca il torneo di singolare con grinta leonina e trascina Vavassori al successo nel doppio misto. È un titolo storico, perché mai una coppia tutta azzurra aveva vinto un misto Slam. Bravi!
    8 settembre 2024, New York: Sinner è nel ciclone del caso “Clostebol”, è accolto con diffidenza da pubblico e colleghi, anche per colpa di una stampa (perlopiù estera) lacunosa del capire i motivi legali e disciplinari della faccenda. Lui è di granito, va avanti per la sua strada e dopo un primo set shock all’esordio domina il torneo e vince il secondo Slam in carriera, mai un italiano aveva trionfato nel maschile a US Open (c’era riuscita Pennetta nel 2015). Sinner sempre più n.1, sempre più recordman del tennis italiano.

    Il momento in cui #Sinner ha scritto un’altra pagina di storia del tennis! ❤️💪#USOpen pic.twitter.com/ZuEfgqIF8X
    — SuperTennis TV (@SuperTennisTv) September 8, 2024

    2 ottobre 2024, Pechino: Bolelli e Vavassori vincono il 500 cinese e di fatto staccano il biglietto per le ATP Finals. Bravissimi!
    6 ottobre 2024, Pechino: anche il doppio femminile è azzurro, ovviamente grazie a Sara e Jasmine. Punti che aprono le porte delle WTA Finals di doppio. Che dire… leggendarie.
    13 ottobre 2024, Shanghai: la trasferta asiatica di Jannik Sinner si chiude con il settimo titolo in stagione e terzo 1000 dell’anno, dominando in finale un Djokovic mai domo. Alla stretta di mano la faccia di Novak è tutto un programma… quella di uno che sente di esser stato sorpassato di brutto dal giovane rivale. Nel torneo Jannik si assicura anche il n.1 di fine anno, altro risultato eccezionale.
    17 novembre 2024, Torino: Jannik domina le ATP Finals. Non vince, stravince. Non perde un set, non capitava dal 1986 quando il diritto dello “zar” Lendl terrorizzava i rivali al Madison Square Garden, su quel leggendario campo senza corridoi… Sinner è nettamente il più forte di tutti, in semifinale contro Ruud produce un tennis allucinante per velocità e potenza, tanto che Casper dice stordito dopo il match “almeno contro Djokovic e Nadal riuscivi a palleggiare, contro Sinner non si può”.

    The winning moment captured inside the Inalpi arena! #NittoATPFinals https://t.co/VHeNSap3Vm pic.twitter.com/hRuX8A2Xpw
    — Tennis TV (@TennisTV) November 17, 2024

    2o novembre 2024, Malaga: l’Andalusia è teatro degli ultimi due bellissimi successi stagionali del tennis italiano. Le ragazze si Tathiana Garbin battono tutte le rivali, e si prendono le quinta Billie Jean King Cup, la “Davis-rosa”. Coronamento di un’annata eccezionale per Paolini ed Errani, sempre decisive nel doppio.
    24 novembre 2024, Malaga: E sono tre! Jannik, Matteo e tutto il team di Volandri conferma il titolo dell’anno scorso, alziamo la terza “insalatiera” della nostra storia. La riportiamo a casa, e farà forse di nuovo un tour in tutta Italia. Ormai è il tennis nelle case di tutti gli italiani. Siamo i più forti.

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    Arrivederci e grazie, sir. Andy Murray. Il tributo a un grande campione

    Andy Murray saluta a Parigi 2024

    “Never even liked tennis anyway.” Solo un personaggio animato da cotanta arguzia ed ironia come Sir. Andy Murray poteva scegliere un epitaffio così per salutare il mondo del tennis, il suo mondo, dopo aver disputato l’ultimo match ufficiale alle Olimpiadi di Parigi, il doppio perso insieme a Daniel Evans contro il team a stelle e strisce Fritz – Paul. Si chiude con una sconfitta e non un’altra medaglia olimpica la carriera di Murray, lunga e travagliata, animata da tanti episodi, cadute e risalite, vittorie storiche e tonnellate di polvere masticate nell’infinita rincorsa ai tre davanti, Roger, Rafa e Novak, complessivamente più forti e vincenti di lui. Fab4? Per molti, sì, per altri nient’affatto, visto che erano loro i tre tenori e Andy solo la gamba zoppa dei Beatles tennistici, uno che ha provato a restare aggrappato al loro treno velocissimo, salendo e scendendo a più riprese, con più frustrazioni che soddisfazioni. Uno britannico quando vinceva, “scozzese” quando perdeva…
    Ci vorrà del tempo per analizzare bene, a freddo, la carriera di Murray. Una cosa vorrei chiarirla immediatamente, forte e chiara: guai ad apostrofarlo come “perdente”. È vero che se andiamo a vedere il suo bilancio contro gli altri tre big ha solo dati in negativo (11-25 vs Djokovic, 7-17 vs Nadal, 11-14 vs. Federer), e che a livello di vittorie Slam siamo indietro anni luce (3 per Andy, contro i 20 di Roger, 22 di Rafa e 24 di Novak). 8 finali Major perse, 3 vinte. Una statistica non esaltante ma… si può considerare “perdente” un ragazzo che si è spinto oltre il limite delle sue capacità fisiche e tecniche, migliorando lentamente ma costantemente il suo gioco, arrivando a vincere 46 tornei ATP (tra cui 14 Masters 1000), due Ori olimpici consecutivi in singolare (record assoluto questo), US Open e due Wimbledon, riportando uno Slam nel Regno Unito dopo il mitico Fred Perry nel 1936? Io assolutamente no.
    Proprio in questi giorni Olimpici a Parigi, si è acceso un forte dibattito sul concetto di sconfitta, di grandezza o meno di un risultato. Nel mondo super competitivo di oggi, dove milioni di persone praticano sport a livello agonistico sostenute da metodi scientifici di allenamento e grandi mezzi, arrivare secondi o terzi è indice di assoluta grandezza, non di povertà o miseria. Chi narra lo sport esaltando solo e soltanto vittoria e primati ha perso misura, non rende un bel servizio. I secondi, terzi o pure i quarti, sono enormi atleti e campioni. Non è solo il primo posto il metro di tutto. È ora di cambiare paradigma alla nostra visione dello sport, e se vogliamo della vita. Murray in questo è l’esatto esempio di un atleta formidabile che è andato oltre ai propri difetti e mancanze, riuscendo ad ottenere risultati eccezionali nonostante rivali più attrezzati. Per questo è un tennista esemplare, che dobbiamo ringraziare per le tantissime ore di spettacolo e divertimento prodotte nei più importanti court del mondo.

    Never even liked tennis anyway.
    — Andy Murray (@andy_murray) August 1, 2024

    La sua storia è partita dal nord, Scozia, Dunblane per la precisione, uno di quei posti dove puoi passare solo per caso se la vita ti conduce attraverso altre rotte. Lontanissimo dai sacri prati verdi di Wimbledon. Ha iniziato a giocare a tennis a tre anni, spinto dalla passione dell’onnipresente madre Judy. Che la sua vita e carriera non fosse costellata solo da rose e fiori l’ha intuito a otto anni (1996), quando sopravvisse miracolosamente al massacro scolastico alla Dunblane Primary School: 16 compagni di classe e un insegnante furono assassinati in una sparatoria da un folle, entrato nella scuola per vendetta. Fu il più grave fatto di sangue accaduto in un istituto nella storia britannica moderna. La famiglia Murray conosceva l’aggressore. Non è mai stato un ragazzo come gli altri Murray, fin da quando ha iniziato a calcare il tour Pro con quella chioma di capelli ribelli, lo sguardo torvo e poi improvvisamente sereno, e quella lingua tagliente quanto il rovescio, forse ancor più letale… Andy in realtà è un tipo molto tranquillo nel quotidiano, animato da quell’irresistibile humor tutto British che esterna nei suoi leggendari tweet social, o con gli amici di sempre di fronte a un buona birra, talvolta anche nelle sala stampa. Per la sua ex allenatrice Amelie Mauresmo, “Andy ha come una doppia personalità. In campo e fuori sono due persone diverse, forse anche per questo non è riuscito a tirare tutto il meglio di se in ogni fase della sua carriera” ricorda l’ex campionessa francese, oggi direttrice di Roland Garros. Cosa rara tra i professionisti maschi, Murray è da sempre un appassionato sostenitore della parità di retribuzione per i tour maschili e femminili, di diritti e visibilità. “Sono stato coinvolto nello sport per tutta la vita e il livello di sessismo è irreale”, ha scritto una volta Murray su Instagram. Murray è diventato solo il secondo giocatore Top-10 nella storia dell’ATP Tour ad avere un’allenatrice nel suo box con Mauresmo. Tantissime chiacchiere allora, ma lui mai se c’è curato, è sempre andato avanti per la sua strada.
    Proprio il rapporto con i coach è stato travagliato. Ne ha cambiati tanti, forse troppi. C’è chi dice per la presenza ingombrante della madre – e tutti sappiamo quanto possa essere castrante per un giovane una mamma onnipresente e mai doma…- tanto che alla fine i suoi migliori anni sono arrivati sotto la severa guida di Ivan Lendl, un super campione per certi versi ha più di un affinità con Murray. Il carattere scontroso, la certosina costruzione, anche lenta se vogliamo, del proprio gioco, le molte sconfitte Slam e la sensazione che vi fossero più “talenti” di lui, ma alla fine le vittorie arrivavano. Murray ha dovuto lavorare tanto, forse più degli altri tre campioni della sua epoca, per tirar fuori ogni stilla del suo talento. Ha stentato più degli altri a costruire il fisico, strutturalmente meno forte e più fragile, e il suo tennis è cresciuto e quindi esploso più tardi. A completata maturazione, dopo estenuanti sessioni di lavoro (in estate nel caldo di Miami per prepararsi al meglio a quello altrettanto torrido di NYC), finalmente i vari tasselli tecnici hanno iniziato a lavorare all’unisono, e nel 2012 proprio nella Grande Mela è arrivato il primo, sospirato, Slam. Forse gli è mancato almeno un successo agli Australian Open, ma complessivamente Djokovic nelle tante finali gli è sempre stato superiore per mentalità e completezza di gioco.

    Forever in our hearts 💙 Today, we celebrate an amazing career and legacy. #SirAndy | @andy_murray pic.twitter.com/dailIta1Zo
    — ATP Tour (@atptour) August 1, 2024

    Cosa è mancato a Murray per vincere di più? Un po’ tutto se vogliamo, o solo dettagli fondamentali a fare la differenza. Di sicuro la sua seconda di servizio non è mai stata all’altezza degli altri tre, col diritto non ha mai davvero superato il limite di un’apertura meno fluida, e per anni ha tenuto un’attitudine fin troppo difensiva e da contrattaccante, spremendosi al limite invece di giocare più di petto, più diretto e offensivo. Non è un caso che nelle sue tre vittorie a Wimbledon (due ai Championships, una nell’evento Olimpico 2012) si è visto il suo tennis migliore, più rapido e incisivo, zero attendismo e tanta qualità. Forse avrebbe dovuto lavorare maggiormente sulla mentalità offensiva, provando a sgravarsi da un conflitto interiore e col rivale che l’ha penalizzato a più riprese, esplodendo spesso e volentieri in una rabbia agonistica nefasta e autodistruttiva. Iconiche le sue incazzature furibonde contro il suo angolo, gli sono costate più di una sconfitta. Ma anche a livello puramente fisico ha sofferto la minor potenza rispetto a Nadal, la minor elasticità e facilità rispetto a Federer, la minor resistenza rispetto a Djokovic. Solo nel 2016, il suo anno migliore, è riuscito a tenere il piede a manetta per molti mesi, con una seconda parte di stagione irreale che l’ha portato a dominare, vincere le Finals a Londra e chiudere meritatamente da n.1 del mondo. Uno sforzo clamoroso, oltre la sua capacità di tenuta, che ha pagato a caro prezzo con l’inizio dei problemi all’anca – poi operata – che di fatto hanno chiuso la sua carriera al vertice. Questo è stato l’ultimo grave infortunio di una lunga serie che l’ha caratterizzato per tutta la carriera. Nadal e Djokovic hanno spinto come forsennati, ma il loro fisico in qualche modo ha tenuto; quello di Andy assai di meno.
    Lasciando l’annoso confronto con gli altri, il tennis di Murray stato un capolavoro di gioco difensivo pronto al contrattacco. Mano assai più sensibile di quello che gli è sempre stato riconosciuto, ha migliorato progressivamente in visione e prontezza per cambiare ritmo e attaccare. Leggendarie le sue rincorse, solo apparentemente disperate, come i tanti passanti e rovesci vincenti. Ho sempre pensato che dovesse spostare più in avanti il baricentro della sua posizione, per soffrire e consumarsi di meno. Il suo coach Lendl c’ha provato a più riprese, anche portandolo insieme a giocare a golf e provando a fargli capire la posizione ideale sui Green. C’è riuscito a tratti, con pesanti ricadute un po’ per infortuni, un po’ per la sua testa assai conflittuale, che nelle fasi delicate lo forzava a retrocedere su ataviche certezze difensive piuttosto che l’arrembaggio. Ormai è andata, ma chissà che ne penserà Andy in futuro, riguardando nella sua testa la propria lunga carriera davanti ad un bel fuoco e con i figli attorno. Certamente è consapevole di aver speso ogni stilla di energia fisica, in allenamenti estenuanti e infinite sessioni a riprendersi dai tanti infortuni.

    1001 singles matches739 victories105 top 10 wins46 ATP titles41 weeks as World No. 129 wins over the Big 314 Masters 1000 titles11 Grand Slam finals3 Grand Slam titles2 Olympic Gold medals1 @andy_murray
    Thank you, Sir Andy 💙💙💙 pic.twitter.com/SQyNgA2hqV
    — Tennis TV (@TennisTV) August 1, 2024

    Operazioni, cambi di rotta e frustrazioni per finali perse e risultati che non arrivavano come sperato. Ma anche vittorie, momenti di gloria e immense soddisfazioni. Murray ha scritto pagine memorabili di tennis e di vita, mettendo in campo tutto quello che aveva e anche di più. Si è messo a nudo più e più volte, senza la paura di mostrare fragilità, lacrime e pensieri oscuri. Ha perso molto e vinto tanto. Ha lottato e ce l’ha fatta. Alla fine Murray, con tutti i suoi pregi e difetti, è un campione splendido che sentiamo più vicino a noi rispetto ad altri così forti da sembrare inarrivabili. Una volta sulle scale della press room al Monte Carlo Countri Club ci siamo scontrati fisicamente… lui scendeva di corsa, io salivo di corsa… boom! Siamo quasi caduti a terra e lui mi ha acchiappato e rialzato. È stato lui a sorridere e scusarsi per primo. Quello sguardo inquieto pur nel sorriso non lo dimenticherò mai.  
    Marco Mazzoni  LEGGI TUTTO

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    Jannik Sinner è il 29esimo n.1 al mondo. Ricordiamoli tutti, uno dopo l’altro

    Jannik Sinner (foto Patrick Boren)

    Il 10 giugno 2024 la nuova classifica ATP post Roland Garros vedrà Jannik Sinner sul trono del tennis maschile. Missione compiuta. Troppa la sostanza e costanza di rendimento di Jan da mesi e mesi. Nel 2024 ha perso solo due partite, e 4 da dopo US Open 2023. Nelle ultime 52 settimane ha battuto per 14 volte avversari top10 (perdendo solo tre volte). Ha vinto uno Slam (AO24), due Masters 1000 (Open del Canada23 e Miami24), tre ATP 500, oltre ottimi piazzamenti come la finale al Masters di Torino e la semifinale a Wimbledon 2023. Per come è strutturata la classifica basta e avanza, ma non c’è sistema di ranking che tenga: Sinner è da mesi il più forte. Lo certifica anche il raffinato “Elo Ranking” di tennis abstract – sistema molto interessante – e  se vi fossero ancora i mitici e tanto rimpianti “bonus point” Sinner sarebbe n.1 già da tempo, visto l’enorme bottino extra che avrebbe guadagnato battendo ripetutamente i migliori. Meritatissimo premio alla sua classe e ora anche continuità.
    L’italiano sarà il 29esimo giocatore ad issarsi alla prima posizione nel ranking da quando, agosto 1973, è stilato in modo computerizzato. Ripassiamo la lista di tutti i numeri del tennis maschile, con una breve nota su ciascuno di loro.
    1 – Ilie Nastase: il primo di tutti. Divenne numero uno della nuovissima classifica il 23 agosto 1973, oltre 50 anni fa. Talento pazzesco e discretamente “pazzo”, incarna come pochi l’ideale di genio e sregolatezza. Colpi fatati ma anche spigoli acutissimi e una lingua più tagliente del back di rovescio con il quale scendeva a rete. Amato e odiato, è stato un figlio prediletto degli spericolati anni ’70, dove la personalità dei giocatori andava di pari passo al talento tecnico.
    2 – John Newcombe: l’iconico talento australiano divenne n.1 il 3 giugno 1974. Modi garbati, tennis d’attacco elegante, gli manca una coppa a Roland Garros per completare il proprio career Grand Slam, ma ai suoi tempi la terra era davvero ostica se nascevi down under e nei geni dominava l’istinto offensivo. Stimato e rispettato da tutti, ancora oggi quando parla – raramente – tutti ascoltano in religioso silenzio. Il carisma del leader.
    3 – Jimmy Connors: scorbutico e diretto, per molti insopportabile, “Jimbo” è stato il primo vero attaccante da fondo campo nella storia del gioco. Divenne n.1 il 29 luglio 1974, poco prima dell’esplosione del fenomeno Borg, con il quale ha dato vita a battaglie epiche. In realtà il mancino americano, aizzato anche da una madre a dir poco ingombrante, lottava da solo contro il mondo e vinse, tantissimo. La sua risposta è tra le migliori della storia, sicuramente la migliore prima dell’avvento di Agassi e poi Djokovic. Come riuscisse a dominare da fondo e attaccare con palle millimetriche giocando con quella Wilson T2000 dotata di un piatto corde minuscolo lo sa solo lui…
    4 – Bjorn Borg: tennista e personaggio leggendario, fu il primo tennista “pop”, muoveva le masse come mai nessuno prima, tanto che orde di teenager arrivarono a lanciar verso di lui le loro mutandine appena sfilate… N.1 il 23 agosto 1977. Rovescio da cineteca, pazienza e capacità di resistenza fuori dal comune, impose un nuovo modello di tennista, quello di pressione da fondo campo, ma fu abilissimo nel trasformarsi anche in giocatore di rete e dominare sui prati di Wimbledon. Il tennis dopo lui non fu più lo stesso, impose nuovi standard e ha stabilito record allora epocali.
    5 – John McEnroe: definirlo tennista è persino riduttivo. Il mancino newyorkese è stato qualcosa di totalmente unico e irripetibile, non giocava a tennis, pennellava in campo con una tecnica di gioco mai vista prima e non replicabile. Nessuno ha mai avuto il suo senso per la palla e gli angoli, a rete non giocava di volo, accarezzava e creava. Il suo carattere scontroso andava di pari passo col talento, tanto che le sue furibonde discussioni in campo sono diventate altrettanto iconiche. Arrivò a superare Borg in una rivalità tra le più belle della storia dello sport, dominò nel 1984 come mai nessuno prima e di fatto si spense. Non aveva più niente da inventare, aveva già fatto tutto.
    6 – Ivan Lendl: lo “Zar” del tennis moderno. Il diritto più potente della sua epoca e un tennis migliorato in modo costante, con un’applicazione quasi fanatica. Poco amato rispetto alle sue vittorie, ma fortissimo e indubbiamente temuto. È stato il primo ad applicare la scienza ai suoi allenamenti, attento non solo al gioco ma anche all’alimentazione, alla preparazione fisica, ai materiali. È stato il primo in tante cose, come il cambio della racchetta con corde nuove al cambio di palle, persino nell’abbigliamento – leggendari i polsoni per il suo copioso sudore e il cappellino da legionario in Australia. Ha perso molte più finali Slam di quelle vinte, ma è stato un vero leader e n.1. Lo divenne per la prima volta il 28 febbraio 1983, e lo restò da lungo dopo il 1985.
    7 – Mats Wilander: il primo prodotto d’eccellenza dalla scuola di Borg. Rovescio da cineteca, un fisico tanto elastico che gli permetteva di arrivare sempre bene sulla palla. Era un camaleonte, pronto ad adattarsi ad ogni condizione di gioco e rivale. Pochissimi vincenti ma ti faceva giocare male, scomodo, alla fine l’ultima palla era sempre la sua. Per anni ha giocato con una concentrazione fenomenale: nella finale di Roland Garros 1988 servi il 100% di prime palle nel primo set… Visse quella stagione da sogno con 3 Slam su 4 vinti, scavalcando Lendl in cima al ranking il 12 settembre 1988, dopo averlo battuto nella finale di US Open con un match assurdo, andando ben oltre ai propri limiti per spinta e attacchi. Spese così tanto che da lì a poco si spense. 7 Slam e campione strepitoso, pochi anzi forse nessuno è riuscito ad estrarre il 101% dalle proprie possibilità quanto lui.
    8 – Stefan Edberg: non un tennista, ma un angelo. Impossibile voler male a un giocatore così elegante, corretto e bello da vedere. Sua la miglior volée della storia moderna del gioco, insieme ad un rovescio da cineteca. Attaccava sempre e comunque, forte di due gambe da centometrista – ai campionati giovanili svedesi c’è ancora il suo primato lì in cima – e un senso per il serve and volley impareggiabile. Eleganza allo stato puro, ha battagliato per anni contro tennisti più potenti e completi, ma quando stava davvero bene e in fiducia passarlo sul net era un’impresa. 6 Slam e due anni da n.1 di fine stagione. Lo divenne il 13 agosto 1990, nell’anno in cui la schiena iniziò a dargli problemi e lo costrinse a cambiare il movimento del servizio. Nel 1991 dominò per larghi tratti, ma fu l’inizio della fine, anche perché si impose da lì a poco un tennis così muscolare e rapido da far diventare il suo un po’ anacronistico, seppur bellissimo. Il premio sportivo dell’anno porta il suo nome.
    9 – Boris Becker: la sua vittoria a Wimbledon nel 1985, a soli 17 anni, è stata una rivoluzione copernicana. Mai s’era visto tanta potenza e coraggio in campo. Servizio e diritto assassini, ma soprattutto il tedesco era un killer sportivo, aveva un coraggio leonino e i big point difficilmente li perdeva. È stato probabilmente il miglior tennista di sempre in condizioni indoor, più era rapido più si esaltava. Il suo talento e visione di gioco non erano supportati dal fisico, troppo massiccio e pesante, tanto da finire la carriera letteralmente a pezzi e con vistosi problemi di salute. Persona “contro”, ha spesso preso posizioni impopolari e ha pagato il prezzo, ma a testa alta e fiero delle sue scelte, pure in campo dove si incaponiva nel giocare a modo suo. Un tennista il cui valore è sotto stimato. È stato n.1 per poco, diventandolo il 28 gennaio 1991. Non ha mai vinto un torneo sul rosso, cosa che non hai digerito…
    10 – Jim Courier: ha randellato per anni con la sua Wilson come se fosse una mazza da baseball, con una potenza e forza fisica brutali. Per un paio di stagioni è stato ingiocabile nei primi 6 mesi dell’anno. Leggendario il suo tuffo nel fiume Yarra di Melbourne dopo aver vinto gli Australian Open, un fiume inquinato e pure infestato da animali non esattamente amichevoli. Big Jim era personaggio fuori dagli schemi, grande batterista e lettore accanito, assai più colto e profondo di quel che il suo tennis muscolare e non esattamente divertente facevano ipotizzare. Un n.1 di passaggio (10 febbraio 1992) ma tennista formidabile, il più rapido ad arrivare in vetta dalla covata d’oro di tennis yankee di Bollettieri. La sua ironia è spettacolare.
    11 – Pete Sampras: uno dei tennisti più forti di sempre. Applicazione massima, grande pulizia tecnica, con un diritto micidiale in corsa e il miglior servizio della storia del gioco. Se la mia vita dovesse dipendere da solo colpo di gioco, non avrei dubbi: la sua prima palla. Non esiste un singolo colpo che sia stato più decisivo nella storia. 14 Slam e moltissimo altro, record a go go poi superati da Roger e quindi Novak. Ma la sua classe, esplosa in particolare a Wimbledon, resta impareggiabile. Se prendeva un break di vantaggio, potevi anche andartene dal campo perché non lo rimontavi più. Ha dato vita a una delle rivalità più belle di sempre, quella con il (poco) amico e connazionale Agassi. N.1 il 12 aprile 1993, lo è stato per moltissimo tempo e pieno merito. Oggi è molto schivo e non si vede mai sul tour.
    12 – Andre Agassi: 8 Slam, molti hanno vinto più di lui, ma il suo impatto nel gioco è stato superiore a quella di qualsiasi altro giocatore in questa lista dei 29 n.1 della storia. Il tennis moderno l’ha sdoganato lui: via la “tecnica classica”, la maggior parte dei giocatori attuali sono una versione riveduta e corretta del suo modo di intendere il gioco, pressione da fondo campo, anticipo, controllo delle rotazioni e dei tempi di gioco. È stato personaggio come forse nessun altro, immagine fortissima e carisma assoluto, anche grazie a fortunatissime campagne di marketing del quale è stato un po’ schiavo. Vince clamorosamente a Wimbledon il suo primo Slam, quando nessuno ipotizzava che quel tennis da fondo potesse essere competitivo sui prati. Ha vissuto più vite tutte insieme, ben raccontate in Open, miglior libro mai scritto sul tennis. Invecchiando è diventato un vero guru, amato e rispettato da tutti. Divenne n.1 il 10 aprile 1995 ed è stato uno dei n.1 più anziani a fine carriera.
    13 – Thomas Muster: austriaco di ferro, incredibile come si sia ripreso da un terribile incidente che gli ha fracassato una gamba quando, molto giovane, era in rampa di lancio verso il grande tennis. Quelle immagini di lui con il gesso e una gamba sulla panca a tirare diritti in modo ossessivo ha fatto il giro del mondo. Su terra era fortissimo, ha vinto una miriade di piccoli e medi tornei, arrivando alla gloria eterna a Roland Garros, unico Slam vinto. N.1 il 12 febbraio 1996, meritato premio alla carriera per applicazione e furore agonistico. Con tanti limiti tecnici, riusciva a battere campioni assai più attrezzati e completi.
    14 – Marcelo Ríos: è l’unico di questa lista di 29 n.1 senza ad aver vinto uno Slam. Un delitto, visto il suo braccio mancino, uno dei più talentosi e magici della storia moderna del gioco. Con la palla poteva fare di tutto e di più, angoli assurdi e anticipo incredibile, ma… il fisico era quello che era, e la testa non c’era proprio. Divenne n.1 nel suo miglior momento in carriera, il 30 aprile 1998, poco dopo aver sfiorato l’Australian Open (battuto in finale). Non è un intruso, ma certamente col suo talento avrebbe potuto ottenere molto, molto di più….
    15 – Carlos Moya: anche lo spagnolo è stato un n.1 di passaggio. Lo divenne il 15 marzo 1999 e restò in cima al ranking solo per due settimane, ma è bel premio a un tennista non solo bello ma anche efficace. Sul rosso è stato a tratti devastante con un diritto potentissimo e classici schemi da terra.
    16 – Yevgeny Kafelnikov: il primo russo n.1 della storia, lo divenne il 3 maggio 1999. Talento cristallino, poco fisico e poco elastico, ma tempo sulla palla spettacolare, con un rovescio bimane tra i più precisi e efficaci della storia. Non aveva grande potenza e nemmeno resistenza, tanto che spesso si allenava letteralmente facendo il doppio… Ma in campo era classe pura, molto elegante, a tratti regale. Un gran bel giocatore, due volte campione Slam.
    17 – Pat Rafter: One Week Wonder, solo una settimana in cima al mondo del tennis, il 26 luglio 1999. Poco, ma del resto la sua epoca era infestata da un tasso di talento eccezionale, e il bell’australiano non era tecnicamente fortissimo. Gran fisico, ultimo vero attaccante, è stato bravo a completare il suo tennis e diventare più tosto da fondo campo, battagliando per anni ad armi pari con Pete e Andre, più forti di lui, ma li raggiungeva con testa e agonismo. Il cruccio resterà la finale di Wimbledon, quella persa contro Ivanisevic nel 2001.
    18 – Marat Safin: bello e impossibile. Tennista fenomenale per talento, un rovescio come una carabina, sensibilità e classe. Avrebbe potuto dominare se… l’avesse voluto. Ha preferito tanta bella vita a durissimi allenamenti. La sensazione che abbia sfruttato si e no il 30% del suo potenziale. Ma quando c’era con fisico e testa, era il più forte o quasi. La semifinale vinta contro il Super Federer del 2005 agli Australian Open resta la partita forse tecnicamente più bella del nuovo secolo. Divenne n.1 l’11 settembre 2000, dopo aver ridicolizzato Sampras in finale a New York.
    19 – Gustavo “Guga” Kuerten: sorriso e allegria, una samba in campo. A vederlo danzare e scaricare rovesci clamorosi e vincenti potevi solo divertirti, non c’era modo volergli male. Arrivò all’improvviso nel grande tennis vincendo a Roland Garros nel 1997 dalle retrovie e per anni è stato tra i migliori al mondo, con un tennis arrotato e personale. Bellissima persona, un manifesto del piacere di giocare a tennis. È stato n.1 il 4 dicembre 2000, restando al vertice per ben 43 settimane. Purtroppo un problema all’anca l’ha pensionato troppo presto. Sarebbe stato bellissimo vederlo sfidare al top Nadal, sarebbe stata una sfida sul rosso stellare…
    20 – Lleyton Hewitt: Rusty, indomabile lottatore e due gambe impossibili. Ha dominato per un paio d’anni, prima dell’arrivo del ciclone Federer che ha spazzato via la concorrenza. Bravo ad emergere giovanissimo e imporre un tennis a tutto campo di pressione e qualità, fortissimo di testa e mai stanco. È stato n.1 il 19 novembre 2001 ed è rimasto sul trono per ben 80 settimane.
    21 – Juan Carlos Ferrero: oggi notissimo coach di Alcaraz, “mosquito” ha sofferto per issarsi sul trono del tennis, ma c’è arrivato con merito, riuscendo a superare avversari complessivamente più dotati come Kuerten, Hewitt e Safin. 8 settimane da leader, iniziate l’8 settembre 2003. Un bel diritto, tante gambe ma mai è riuscito a completare un tennis un po’ scarno e monotematico. Oggi è coach abilissimo.
    22 – Andy Roddick: il servizio più potente di sempre l’ha issato sul trono del tennis nel 2003, suo anno magico, dove ha vinto US Open. Appena in tempo prima dell’esplosione di Federer, l’uomo che gli ha letteralmente rovinato la carriera. Un po’ rozzo, ma potentissimo e con grande coraggio, non mollava mai e a Wimbledon nel 2009 è stato a una manciata di punti da vincere contro Roger. Una finale che si sarebbe oggettivamente meritato. Un solo Slam, e il n.1 raggiunto il 3 novembre 2003.
    23 – Roger Federer: che dire… il Maestro. Superato da Djokovic in quasi tutti i suoi record, ma la sua eredità nel gioco è molto superiore ai 20 Slam e mille altri traguardi raggiunti. È il tennista che, a detta di tutti, ha giocato meglio a tennis nell’era moderna. Una sinfonia e bellezza in movimento, un danzatore con una classe infinita. Il più amato, il più seguito, carisma e rispetto. Ha portato lo sport a vette superiori e questo vale più qualche Slam. n.1 il 2 febbraio 2004, lo è stato per 310 settimane. Nessuno incarna IL tennis quanto lui.
    24 – Rafael Nadal: l’impatto di Rafa sul tennis è stato brutale. Nessuno aveva giocato con tale potenza e rotazione, su terra è ben presto diventato ingiocabile e ha stabilito record che solo qualche marziano potrà superare. È andato oltre ogni limite umanamente immaginabile per resistenza, tenuta mentale e fisica. Un tennis mai visto prima, e molto migliorato negli anni. 22 Slam ma soprattutto un’aura in campo come pochi. Di Nadal non ce ne sarà mai un altro. Tennista clamoroso e grande persona. N.1 il 28 agosto 2008, poco dopo il suo primo Wimbledon.
    25 – Novak Djokovic: numeri alla mano il più vincente di sempre, il più forte di sempre. Elastico come nessuno, testa da agonista feroce e rovescio killer… ha lavorato per anni e anni superando ogni suo difetto e diventando il tennista più completo e complessivamente più forte. Ma non il più amato, quel carattere irascibile non si placherà mai. Ha pagato anche a caro prezzo il ruolo di terzo incomodo nell’amatissima rivalità Roger-Rafa, ma non per colpa sua. Personaggio divisivo, uomo vero, o lo ami o lo odi. Leggenda vera. N.1 il il 4 luglio 2011, lo è stato per 428 settimane. Incredibile.
    26 – Andy Murray: il 4° dei Beatles, o meglio, tennista fortissimo ma nato in un’epoca sbagliata… Ha riportato la union jack sul trono del tennis dopo oltre 70 anni, così come il successo a Wimbledon, ben 2. Ha sempre pagato dazio negli Slam agli altri tre, più completi di lui e soprattutto più forti mentalmente. Ma è stato un duro agonistica, c’ha creduto sempre e mille volte s’è rialzato dopo dure sconfitte, tanto che nel 2016 ha coronato una rincorsa strepitosa col n.1, ottenuto il 7 novembre di quell’anno. Poi gravi problemi all’anca l’hanno penalizzato quando era al vertice. Dice sempre quel che pensa e i suoi commenti social sono i migliori. Un grande personaggio e vero innamorato del gioco.
    27 – Daniil Medvedev: mai visto un tennista tanto alto e così rapido da dietro, capace di rincorre e cambiare ritmo, angoli e poi tirare mazzate impossibili. Servizio bomba, testa a dir poco complessa. Per ora un solo Slam, e che Slam… US Open 2021, ha stoppato Djokovic a un match dal completare il Grande Slam! Scacchista nella vita e in campo, è tanto storto nel gioco quanto affascinante. Che piaccia o no, quando gioca lui lo spettacolo è assicurato perché nessuno gioca come lui. È diventato n.1 il 28 febbraio 2022.
    28 – Carlos Alcaraz: il più giovane n.1 della storia. Lo è diventato dopo aver vinto US Open il 12 settembre 2022. Talento pazzesco, rotazioni ma anche velocità di braccio, anticipo e propensione offensiva “federeriana”. Si accende e si spegne, con picchi di rendimento inarrivabili e grandissimo spettacolo prodotto. Sorridente e genuino, è una benedizione per lo sport. Sta dando vita con Sinner a una rivalità bellissima. Ragazzo e tennista fantastico.
    29 – Jannik Sinner. Che dire… è Jannik! Lunedì 10 giugno sarà la prima volta da n.1 Speriamo la prima di tante. GRAZIE JANNIK, ci ha regalato un sogno che era quasi peccato il solo pronunciarlo…

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    Dante Bottini: “Allenare i giovani oggi è difficile, ascoltano meno e quasi non pensano in campo. L’assenza di Federer sul tour è palpabile”

    Dante Bottini (foto Instagram)

    Allenare l’ultima generazione di giovani non è compito facile, perché il tennis ormai è diventato una gara a chi a tira più forte quindi si pensa poco, e pure negli allenamenti le nuove leve hanno difficoltà a prestare attenzione e ascoltare. Questo afferma il noto coach argentino Dante Bottini, 44enne formatosi alla corte di Nick Bollettieri dopo un passato modesto da giocatore, noto per aver esser stato l’allenatore storico di Kei Nishikori e quindi di Dimitrov, Jarry e del giovane cinese Juncheng Shang, rapporto quest’ultimo interrotto dopo l’ultimo US Open. Bottini è stato intervistato in Argentina dal bravo collega Sebastian Torok per La Nacion. Ha rilasciato una lunga intervista, nella quale ripercorre le tappe della sua vita sul tour, raccontando i cambiamenti vissuti negli ultimi anni e rimpiangendo l’assenza di Roger Federer sul tour e negli spogliatoi per il suo carisma e quel plus unico che dava ad ogni torneo, e che a suo dire oggi manca terribilmente.
    Bottini ricorda i suoi inizi con Bollettieri: “Ho iniziato nel 2008, proprio dalla base, con piccoli gruppi, dove non vedevo nemmeno Nick perché era con i migliori dell’accademia. Qualche mese dopo mi hanno dato gruppi di ragazze dai 9 agli 11 anni al mattino e dai 15 ai 16 anni al pomeriggio, e poi ho cominciato a provarci di più. Abbiamo avuto incontri che sono durati molte ore. Ho imparato molto. Nick era un fenomeno, vero appassionato di tennis, espansivo, estremamente esigente e ottimista. Aveva un’altissima autostima e la trasmetteva a tutti, tirava sempre dritto verso il futuro, cercando il meglio. Per tutto il tempo condivideva le storie della sua vita e motivava tutti. Avevamo incontri più volte alla settimana, in cui parlavamo di tutto quello che si faceva in accademia e lui raccontava tanti aneddoti. È stato anche piuttosto divertente lavorare con lui. Abitavo dietro l’angolo dell’accademia, alle 5 del mattino già insegnavo o ero in palestra. Lui andava forte e non si fermava mai, era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, così fino a oltre 80 anni”. 
    Questa foto del tennis attuale tracciata dal coach albiceleste, con una discreta critica a come si è evoluto lo sport rispetto ai suoi primi anni di vita sul tour: “C’è un cambiamento totale, con Federer fuori, Nadal quasi, vedo Djokovic ancora per un paio d’anni. Ma la nuova generazione è qui, con Alcaraz, Sinner, Rune. Anche con Medvedev, Zverev e Tsitsipas. Il tennis? Oltre ad essere molto fisico, ritengo che il tennis di oggi abbia molta potenza e sia molto mentale. I nuovi giocatori difficilmente pensano a una tattica, tutto viene giocato molto velocemente, molto forte. Se prima c’era poco tempo per pensare… adesso ce n’è ancora di meno. Il secondo servizio viene servito a volte a 200 km/h, cosa impensabile fino a qualche anno fa. La potenza domina. E bene o male? Non lo so. Credo sia più difficile mettere insieme una strategia per l’allenatore, perché al tuo giocatore puoi dirgli qualcosa, ma poi cambia tutto in pochi secondi. Il giocatore ti dice: ‘Ma mi hai detto che sulla seconda di servizio mi avrebbe fatto un kick sul rovescio e invece ha tirato una bomba a 200 al T!’ Per l’allenatore oggi è molto più difficile. C’è meno attenzione. Il giocatore non ascolta molto, quindi questo rende il processo, giorno dopo giorno, più difficile. Il giocatore è quello che ti ingaggia e l’allenatore deve essere paziente e pensare: ‘Bene, lascerò andare questo, ma poi lo riprenderò poi’. Il giocatore attuale ha un deficit di attenzione. Prima ti ascoltavano di più e ti guardavano negli occhi; oggi camminano a testa bassa. Gli dici: ‘Ehi, sto parlando con te’. ‘Sì, ti ascolto’, risponde ed è lì con il telefono e forse ti ascolta ma chissà cosa gli resta in testa di quel che gli dici. È strano, la società sta cambiando tanto. E poi tutto nel tennis è un po’ estremizzato, velocità, fisico”.
    Un’esasperazione che porta anche tennisti di 20 anni a subire già infortuni importanti: Alcaraz, Sinner… “E Korda, Rune… Tutti hanno avuto dolore e problemi, anche se sono da poco tempo sul tour. Si gioca con una potenza tale che le richieste che i giocatori fanno al proprio fisico stanno aumentando. E il corpo non può farcela. Non si parla quasi di quest’aspetto ma invece dovrebbe essere centrale discuterne. C’è un altro problema che i giocatori invece sollevano: cambiare troppe palle. Non puoi giocare tre o più tornei di fila con palline diverse! Le marche di palle hanno modelli molto diversi e quando si gioca provoca cambiamenti nella modalità di impatto. Poi sono in generale troppo pesanti, ti fanno fare scambi più lunghi, il corpo alla fine somma tutti gli sforzi e lo senti nella spalla, nel polso, nelle gambe“.
    Per Bottini l’assenza di Federer dal tour pesante, quel che ha portato lo svizzero nel gioco resta inarrivabile: “Ho condiviso molti momenti con Rafa, Novak, splendidi atleti, ma l’assenza di Roger si fa sentire. Manca tanto. Era un giocatore diverso, con il suo arrivo al massimo livello tutto è cambiato. Non so come spiegarlo, ma i tornei erano diversi quando c’era Roger, chiunque abbia vissuto il tour con lui e dopo di lui te lo può confermare. Il tennis continua, ma quando Roger entrava nello spogliatoio era una presenza… la gente restava senza parole, lo guardava. Quel ragazzo aveva una presenza diversa. Emanava rispetto, non solo giocando a tennis, ma la cosa più importante è che era un ragazzo normale, divertente, con il senso dell’umorismo. Un fenomeno. E trasmetteva rispetto e tranquillità a tutti. Se ti allenavi con lui per la prima volta, prima e dopo ti faceva mille domande per sapere chi sei, da dove vieni, era curioso. Più volte abbiamo parlato dell’Argentina. Mi ha chiesto della religione ed era interessato a come giocano e si allenano gli argentini sulla terra battuta. Ricordo che nel lontano 1997, da junior, abbiamo condiviso un torneo, l’U18 di Prato. Io avevo 17 anni e lui 15. Gli ho mostrato il tabellone del torneo e gli ho detto che se avessi vinto lo avrei affrontato, ma ho perso. A distanza di anni si ricordò tutto quello e mi disse: ‘Ho vinto quel torneo e da lì è iniziata la mia scalata, peccato che non abbiamo giocato contro’. Pochi avrebbero ricordato e detto tutto questo”.
    Tra i giovani, è incuriosito dal potenziale di Shelton: “Ho avuto l’opportunità di affrontarlo quando allenavo Shang. Lo abbiamo battuto ad Atlanta e Washington. È pura potenza! Ha un servizio pazzesco, ma poi sembra che non pensi molto quando gioca. Colpire la palla sempre più forte, sempre più forte… questo il suo stile. Ma fa bene al tennis. Mi piace il suo atteggiamento, grida ma non per rabbia, ride, è positivo, tutti atteggiamenti che provengono dal periodo trascorso al college, dove suo padre (Bryan) era uno dei migliori allenatori. Può portare qualcosa di diverso sul tour”.
    Bottini tra i molti tennisti allenati, è rimasto molto affezionato a Dimitrov, per il suo bel tennis ma anche per il lato umano del bulgaro: “È un giocatore eccezionale, uno dei più talentuosi del circuito. Anche fisicamente è straordinario, si cura moltissimo, è una bestia. Nel tennis è uno dei grandi talenti, tira colpi che quasi nessuno fa. Il rovescio in slice è pazzesco, anche quello a una mano. È un giocatore che è un piacere guardare, uno di quelli per cui paghi un biglietto d’ingresso. Quando entra in un periodo negativo ti viene voglia di andartene perché difficilmente reagisce, questa è la sua grande debolezza. Soffre quando non sta bene emotivamente e lo trasferisce sul campo. Invece quando è felice, può fare di tutto e regalarti il ​​miglior spettacolo”.
    Un’ultima nota su come un coach deve approcciarsi a giocatori di nazioni e culture diverse. Lui ha allenato giapponesi, latini, cinesi, europei… La chiave per Dante è osservare e studiare: “Cerco di osservare molto, di rispettare i loro tempi. Devi abituarti a loro, avvicinarti. Vuoi insegnare dalla tua cultura, ma devi imparare anche dalla loro, affinché tutto sia il più piacevole e funzioni. L’obiettivo è avere la pazienza necessaria per ottenere la migliore esperienza possibile per il giocatore. Non è facile, è una bella sfida, ma mi piace davvero quello che faccio”.
    Intervista davvero interessante, nella quale Bottini anche sottolinea come il treno del tennis cinese sia partito e crede che in futuro possano nascere altri talenti ancor più interessanti.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Davis, 47 anni sono passati in un lampo e ora non sono che un ricordo

    Gaudenzi e Nargiso in Davis (foto FITP)

    Un po’ di tempo ce n’è proprio voluto. Di solito è per elaborare un dolore, un lutto che si cerca di frapporre giorni per lasciar decantare, per farsene una ragione. Questa volta, no. Questa volta è stato per elaborare gioia e incredulità che ho dovuto attendere per realizzare che sì, era proprio vero che dopo 47 anni l’avevamo finalmente rivinta la Coppa Davis. Ecchisenefrega se è una Davis che non è più la Davis d’una volta, signora mia, se è una Coppa dimezzata e ha perso il fascino d’antan.Dopo averne viste tante, attraversate altrettante, mi ero persuaso che in sempiterno le mani su quella che qualcuno continua a volerla vedere come “un’insalatiera” non le avremo più messe.Sì, la crescita esponenziale di Sinner, il poter contare su un gruppo finalmente coeso, speranze ne dava, ma l’aver perso Berrettini faceva sì che la coperta rimanesse sempre un po’ corta.E quindi… Sì, in fondo in fondo, ma proprio in fondo, il sogno di poter rivivere quella stagione magica che fu il ’76 c’era sempre, ma rimaneva sogno.La mia generazione, quella che è arrivata la tennis quando questo è diventato “pop” grazie alle gesta di Panatta , è cresciuta avendo nella Davis un caposaldo.Chi c’era, come fa a non provare ancora un fremito ripensando a quel pomeriggio in cui Adriano e Bertolucci fecero neri Newcombe e Roche, riducendo gli aussies a povere comparse. “Pasta Kid” volleava come nessuno al mondo, esibì colpi dietro la schiena e giravolte, mentre Panatta fu semplicemente incanto.
    La favola bella della “squadra” durò ancora qualche anno e si spense, a mio ricordo e avviso, a Praga, in un momento preciso: quando il più gaglioffo dei giudici di sedia non chiamò un secondo rimbalzo a Tomas Smid, condannando di fatto Panatta alla sconfitta, Panatta che aveva già conosciuto nel corso del match angherie e l’ineffabilità dei giudici di linea cecoslovacchi.Per me la favola si spense lì. Fossimo andati, come era giusto, sull’1 a 0 per noi, forse l’avremmo potuta rivincere la Coppa, ma così non fu e cominciò il nostro inesorabile declino.Pesco così a caso tra i ricordi, che vengono a galla come tortelli in un’acqua bollente e spumosa, e rivivo come un discreto incubo una figuraccia rimediata a Cervia nell’82 contro la Nuova Zelanda di Chris Lewis – che l’anno dopo avrebbe sì fatto finale a Wimbledon ma che sulla terra battuta non era proprio un fulmine di guerra – e ancora peggio quello che ci fecero Vilas e Clerc nei quattro singolari dodici mesi dopo al Foro Italico.
    L’era, la generazione di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli era da tempo avviata al capolinea, si era fatta troppa fatica a capire e accettare che il tennis fosse cambiato, e dietro di loro s’era costruito poco o nulla. Francesco Cancellotti, fisico da paura, sembrava poter essere il “nuovo che avanza” ma, per mille problemi, durò poche e non sempre fortunate stagioni e così in Davis prendemmo a consolarci con parziali soddisfazioni, con Ocleppo che divenne “l’eroe di Telford” per aver portato alla causa due punti cruciali in un incontro indoor contro l’Inghilterra.Venne poi il tempo di Paolo Canè, ma dietro di lui c’era ben poco: Cancellotti presto sfiorito, Simone Colombo che, ad alti livelli, poteva quel che poteva, Claudio Panatta bravino mai del tutto bravo, tanto che a un certo punto, e lo dico con tutto il rispetto del mondo nei confronti di un più che onesto giocatore, la nostra punta più avanzata sembrò essere Massimiliano Narducci, mentre Iaio Baldoni, per qualche mese, parve la nostra risposta al tennis muscolare di Bollettieri.
    Anni grami, mitigati da una mezza bella figura fatta dai nostri a Malmoe contro la Svezia di Pernfors, dove nella prima giornata ci fu l’esordio vincente di Omar Camporese. Ma alla fin fin fine si lottava sempre e solo per…perdere bene, perché di più proprio non si poteva.Il nostro tennis versava in condizioni quasi disperate. Ricordo edizioni degli Internazionali con spalti semivuoti anche durante le fasi finali, coi campionati femminili esportati in Puglia e in Umbria: una roba tristissima. Tanto che a un certo punto la panacea di tutti i mali sembrò trovarsi nel riconvertire i campi da tennis in campi da calcetto.
    Furono pochissimi quelli che si ribellarono alla tendenza. Alberto Castellani continuò la sua mirabile e infaticabile lotta contro tutto e tutti a Perugia, mentre dalle parti del Po quello straordinario visionario di Carlo Bucciero, a Moncalieri, al Circolo Le Pleiadi, poco lontano da Torino, prendendo sotto la sua ala protettrice Riccardo Piatti e i suoi “boys” – Cristiano Caratti, Renzo Furlan, Federico Mordegan e di lì a poco si sarebbe aggregato pure il “quarto fratello” Cristian Brandi…- dette inizio alla cosiddetta “iniziativa privata” che nel breve volgere di pochissimo tempo avrebbe sconvolto come un turbine il sonnolento mondo tennistico italiano.
    Il presidente della FIT Paolo Galgani, appena eletto, s’era ritrovato, senza merito alcuno, la Coppa Davis tra le braccia e per anni avrebbe proseguito un’anemica politica di sviluppo, tanto da ridurre a poca cosa tutto il nostro movimento tennistico.A poco o nulla servì l’esperimento del Centro Tecnico di Riano, la famosa “cattedrale nel deserto”, e ancor meno incaponirsi nel voler contrastare i privati sino a volerli far scomparire e insistere su modelli che di evolutivo nulla avevano: scuola nazionale maestri con linee didattiche vecchie, nullo il supporto dato ai giocatori over 18…
    Ma il nuovo questa volta sì che stava avanzando. Carlo Bucciero e Riccardo Piatti insieme dettero una spallata significativa e ruppero gli schemi: da lì in avanti nulla sarebbe più stato come prima, visto che tutto il movimento prese a rialzare la testa e a proporsi come non era più abituato a fare.La vittoria del ’90 a Cagliari contro la Svezia, quando Canè battè Mats Wilander in un match memorabile, fu forse l’ultimo incontro del vecchio conio. E che si doveva cambiare lo capì capitan Panatta quando, per stessa ammissione sua, sbagliò nello schierare, nel turno successivo a Vienna, contro l’Austria di Thomas Muster e “Limone” Skoff , Diego Nargiso, evitando di riconsiderare Omar Camporese, rinato alla corte de Le Pleiadi sotto le cure di Piatti prima e Infantino poi, e di ascoltare chi gli proponeva di provare Furlan o Caratti.Ma carta cantava e di lì a poco Panatta dovette prendere atto del cambiamento, anche se “la bella stagione” de Le Pleiadi durò poco, soffocata da qualche errore e dal sistema, che ci mise tanto del suo. Esemplare fu come tolsero a Bucciero il Trofeo “Colombo”, grazie a una “sanzione atipica accessoria”, per punirlo d’aver ospitato e poi fatto competere ragazzi fuggiti dalla guerra balcanica tra i quali c’era un giovanissimo Ivan Ljubicic. La ridicola sentenza ce l’ho ancora in qualche cassetto.

    1993 World Group Quarter-final 📸
    The last time Australia & Italy played each other in #DavisCup ⏮️#DavisCupFinals pic.twitter.com/JjlmXCydbY
    — Davis Cup (@DavisCup) November 26, 2023
    (Italia vs. Australia nel 1993 a Firenze)
    Ci fu però il tempo di vedere un Camporese stellare in quel di Dusseldorf abbattere Stich e arrendersi poi di nuovo al quinto con Becker, come era già accaduto poche settimane prima agli Australian Open, giocando persin meglio di quanto fatto nell’epico match chiuso per 14-12 nel set decisivo; un Omar straripante, l’anno dopo a Bolzano, dare la più dura delle lezioni a Emilio Sanchez per due set e mezzo, godere dell’esordio di Caratti, prima che apparisse sul nostro cammino la triste spiaggia di Maceiò. Opposti al Brasile, su un campo realizzato sull’arenile, che più umido non si poteva, tornammo spezzati: Stefano “Pesco” Pescosolido finì per essere portato fuori dal campo incrampato dalla punta dei capelli sino agli alluci, prosciugato da un clima infame mentre stava lottando contro Oncins, e Camporese compromise così tanto il suo gomito destro che dovettero poi operarlo aprendogli l’articolazione, l’ortopedico dixit, “come un’arancia”. Da quel momento Omar non fu più il vero Camporese, anche se nel 1997 a Pesaro, contro la Spagna, ci regalò ancora una delle migliori versioni di se stesso, battendo praticamente da solo (con Furlan e Nargiso in doppio…) gli iberici. L’ultimo lampo targato Le Pleiadi fu la soddisfazione di vedere Cristian Brandi schierato a Palermo contro gli USA, ma, come detto “la bella stagione” era già volta al termine.
    Tutto però sembrava promettere finalmente bene, visto che all’orizzonte era apparso Andrea Gaudenzi, che per imparare il mestiere al meglio era approdato alla scuderia di Ronnie Leitgeb, mentore e manager di Muster.Il periodo di Gaudenzi in Davis ci vide più vicini al riprenderci la Coppa, ma per più d’un motivo il destino ce la negò sempre.Nel ’96 battemmo i Russi sul campo all’apparenza da loro preferito: giocammo fuori, nel gelo del Foro Italico in un febbraio ghiacciato. Vedere Renzo Furlan battere Chesnokov in una delle più gelide serate romane nel match decisivo, in condizioni oltre il limite, fu una goduria. Molto meno – ma ve lo ricordate?- vedere i nostri poi bistrattati dai giudici a Nantes: il seggiolone dell’arbitro strattonato da Panatta secondo me trema ancora adesso ed equivaleva, ai miei occhi, alla sedia sollevata da Mondonico ad Amesterdam: ribellarsi, seppur inascoltati, a una evidentissima, enorme ingiustizia.L’anno dopo raggiungemmo giustamente la finale contro la Svezia e chissà come sarebbe andata se il tendine della spalla di Gaudenzi non avesse fatto crack contro Norman… Anche questo boccone amaro, purtroppo, ce lo ricordiamo, eccome se ce lo ricordiamo.
    Da lì in avanti, nuovi anni grami col doversi accontentare sempre e comunque, con un cammino in Davis che si sapeva fin da subito che si sarebbe arenato presto.Ci toccò pure l’onta della serie C, perdendo dallo Zimbawe nel 2003.Qualche lampo qua e là dopo ci fu. Ricordo un Volandri battere Ivanisevic sul rosso del Foro Italico, Seppi sconfiggere Ferrero sulla terra battuta di Torre del Greco; l’esordio al cardiopalma del povero Federico Luzzi contro la Finlandia a inizio secolo, e poi tanta gente di buona volontà schierata in ordine sparso alla ricerca d’una quadratura difficile da trovare: Mosè Navarra, Vinz Santopadre, Giorgio Galimberti, Stefano Galvani, Alessio Di Mauro…Una presa di posizione, una querelle mal composta sottrasse a Simone Bolelli forse il suo tempo migliore come singolarista in Davis e dovemmo aspettare un po’ prima che il più talentuoso di tutti – ma anche il più balzano-, Fabio Fognini, ci regalasse un giorno da campione indiscusso in quel di Napoli schiantando in tre set capolavoro Andy Murray. Però, ripeto, erano vittorie molto parziali, perché ci mancava sempre ben più di qualcosa per aspirare a poter tornare a vincere.Nel ’19 la formula della Davis è cambiata e anche non siamo cambiati. In meglio.
    Nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto, c’è stato un deciso cambio di rotta nella politica federale riguardo ai giocatori di vertice, con collaborazioni, supporto e sovvenzioni che finalmente hanno permesso a un generazione intera di raccogliere frutti, una generazione che ha potuto continuare a forgiarsi nei propri club, senza remore o avversioni.Senza questo gente come Sonego e Arnaldi, tanto per citarne due che le mani sulla Coppa ora le hanno messe, con ogni probabilità si sarebbe persa. Ricordo ancora la disperazione di Gipo Arbino quando non riusciva a darsi pace, sentendo d’avere tra le mani un possibile campione, e vederne mortificate le ambizioni, perché non riusciva a trovare credito per avviarlo all’attività internazionale che necessitava. Per fortuna poi le porte si sono schiuse.
    E adesso siamo qui, ancora discretamente increduli che sia davvero successo, che sia tutto vero.Dai, si dica la verità, quando Sinner è scivolato sotto per 0-40, con tre match point a sfavore, cosa abbiamo pensato? Può mai essere che Nole non riesca a trasformarne neppure uno? E invece… Quando sulla prima palla-partita gli è scappato via quel back di rovescio, non so perché, ma ho creduto d’aver avuto e visto un segno, che qualcosa potesse succedere. Sì, la Coppa l’abbiamo rivinta lì. Proprio in quell’istante. D’accordo, d’accordo, si deve sottolineare come Sonego sia stato decisivo nei due doppi contro Olanda e Serbia, come Arnaldi, pur giocando non bene, abbia strappato col cuore e col morso il primo singolo della finale, ma se si vuole indicare un momento, un momento solo per dire quando e come la nostra storia è cambiata, non si può che indicare quanto avvenuto nel decimo game del terzo set nel match tra Sinner e Djokovic. Lì, proprio lì è iniziato e finito tutto.La cosa ancor più straordinaria. E che non smette di sorprendermi, è che con ogni probabilità per avere un tris non dovremo attendere altri 47 anni: c’è un Italia bella e diversa, giovane e forte, capace di regalarci a piene mani, nel tempo che verrà, ciò che siamo stati costretti a elemosinare per decenni.Gli occhi ben più che umidi di domenica 26 Novembre 2023 li abbiamo desiderati a lungo, in un’era che pareva non finire mai; in una terra inaridita, che un destino malevolo sembrava aver reso incapace di ridare frutti. Invece, in tre giorni è cambiato tutto, 47 anni anni sono passati in un lampo e ora non sono che un ricordo.
    Elis Calegari LEGGI TUTTO

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    Davis Cup, un sogno diventato realtà. Una vittoria azzurra che viene da lontano…

    26 novembre 2023, l’Italia vince la Coppa Davis

    4 dicembre 1998. Io c’ero. Sembra impossibile, sembra ieri, invece sono passati quasi 25 anni… In quel freddo venerdì pomeriggio, nel grigiore di una Milano che più grigia non si può, nella pancia del Forum di Assago c’è tutta l’Italia tennistica e non solo, a supportare Andrea Gaudenzi, Davide Sanguinetti, Diego Nargiso e Gianluca Pozzi, la nostra squadra di Coppa Davis capitanata da Paolo Bertolucci. In palio la Coppa Davis 1998, col sogno di riportarla in Italia dopo l’unico successo targato ’76, quando il “braccio d’oro” di Paolo, il talento di Adriano, la sostanza di Corrado e il tocco di Tonino prevalsero a Santiago, l’unica insalatiera della nostra storia. Di fronte una Svezia non così stellare come ai tempi d’oro di Wilander & Edberg, ma c’è tanta sostanza nel tennis di Norman e nel diritto assassino di Gustafsson. Impossibile dimenticare le ore passate a sostenere lo sforzo di Gaudenzi in quel primo infinito e maledetto singolare. Andrea è tosto, Magnus ancor più. Il tendine della spalla dell’attuale Presidente dell’ATP fa crack dopo ore e ore di battaglia, sul 6 pari del quinto set, non c’era il tiebreak allora, era una Davis d’antan. Cala il silenzio, disperazione. Di fatto la nostra finale termina lì, in quel dolore di Andrea e di tutti i presenti, nel Forum o in tv. Sanguinetti vince solo 5 games contro un Gustafsson troppo forte sul rosso, anche se indoor, e poi al sabato il forte doppio vichingo fa calare il sipario. È solo l’anticipo del dramma sportivo che avrebbe vissuto la squadra italiana di Davis.
    Da lì a poco quella buona generazione di giocatori cala e vive un weekend a dir poco disastroso il 23 luglio 2000, a Mestre. L’Italia cade malamente nello spareggio salvezza per mano del Belgio dei fratelli Rochus, è la prima retrocessione nella “serie B” della Davis, eravamo l’unica nazionale ad esser stati sempre del World Group. Io c’ero, insieme al mio sconforto e alla netta sensazione che la discesa fosse appena iniziata… Nessuna risalita, anzi nel 2003 tocchiamo il fondo, crollando nel Gruppo II con una terribile sconfitta in Zimbabwe. L’inferno dura solo un anno, nel 2005 torniamo sul Gruppo I, ma bisogna aspettare fino al 2011, di nuovo a Santiago del Cile (già, proprio Santiago…) affinché la nazionale trascinata da Fognini torni nel World Group. Non molte soddisfazioni per diversi anni, solo la semifinale in Svizzera nel 2014, ma in realtà, sotto sotto, già da tempo qualcosa si muove.
    Lo spettatore che guarda il tennis in tv non se ne accorge, ma in realtà, in molti club di periferia e non, si sta costruendo pian piano un nuovo movimento. E i tempi per ottenere risultati al vertice sono lunghi. Serve lavoro, tanto, capacità e visione. Il tutto guidato dal Presidente Binaghi che è uomo di sport e manager, conosce il mondo ed è determinato ad arrivare in vetta, convinto che seminando bene, lavorando coi circoli piccoli e grandi, stimolando l’eccellenza, si possa costruire e risalire. È stato criticato, osteggiato, deriso pure, ma alla fine aveva ragione lui. Con lavoro e capacità di tanti ottimi maestri e club, con un’importante sinergia d’intenti, risolvendo problemi ed errori – tanti ne sono stati commessi, ma chi non fa niente mai sbaglia… – si è creata una base, un movimento, una mentalità di lavoro per esaltare il talento dei ragazzi. Si è costruito una serie di team vincenti, di giocatori che sono cresciuti e che, stimolandosi l’un l’altro, hanno alzato il livello generale. Molti tornei in Italia a fare da veicolo per la crescita. È sbocciato quel circolo virtuoso necessario a sostenere il talento e chi lavora bene.
    Se poi ti nasce un Jannik Sinner, e hai la bravura e fortuna di farlo crescere in un ambiente sano e dove si conosce l’alto livello come da Riccardo Piatti, si finisce per vincere. Ma sarebbe sbagliato e semplicistico relegare il trionfo di ieri a Malaga in Davis in un solo “effetto Sinner”. Non è così. Jannik è la nostra punta di diamante, è il fuoriclasse che eleva tutto il gruppo, è colui che ha talento e forza per battere il più forte dell’epoca moderna, Mr. Djokovic, nel match sul quale Nole aveva puntato tutta la parte finale del suo stellare e irripetibile 2023. E così trionfare. Sinner è decisivo, ma senza la grinta di tutta la squadra, capace di rialzarsi dal “disastro” col Canada a Bologna nei gironi a settembre, senza la pazienza di Capitan Volandri nel compattare il gruppo e far esplodere di nuovo la vivacità di Sonego, il talento di Musetti e la qualità di Arnaldi, a Malaga a giocarci la coppa non ci saremmo mai andati. Ed è ancor più corretto tornare all’inizio della gestione Volandri, con le esperienze del 2021 e del 2022, necessarie e formative per vincere oggi, e anzi, ancor più indietro…
    “Forza del gruppo, capacità di passare attraverso le difficoltà, disponibilità. Su questi punti fermi Filippo Volandri ha costruito un capolavoro in tre anni da capitano di Coppa Davis. Fin dalla sua nomina, a gennaio del 2021, i pilastri del Volandri-pensiero non sono cambiati”, così scrive l’amico e bravissimo collega Alessandro Mastroluca su Supertennis, e condivido ogni sillaba del suo pensiero. Forza del gruppo, resilienza, capacità di reazione, disponibilità. Queste sono le chiavi della vittoria di questa meravigliosa e indimenticabile Final 8 di Malaga, che non potremo mai dimenticare. Nel 2021 a Torino abbiamo perso contro la Croazia nel doppio decisivo, Fognini e Sinner hanno ceduto al fortissimo duo Nikola Mektic-Mate Pavic, i migliori. Ci fu tanta delusione, Fabio è un doppista “doc” e campione Slam col “Bole”, ma non ci fu troppa intesa con Jannik, un Sinner ancora acerbo. Però fu un’esperienza importante, anche se negativa. Formativa. Nel 2022 rischiammo di uscire a Bratislava, con Sonego e di nuovo il doppio k.o., ma quella volta fu il talento di Musetti a salvarci, e fu un’altra esperienza che ha rafforzato il gruppo. Un gruppo che poi l’anno scorso nei gironi a Bologna ha battuto una dopo l’altra Croazia, Argentina e Svezia, ed è volato a Malaga superando nei quarti il forte team USA, col capolavoro di Bolelli–Fognini su Paul-Sock. Il Canada ci superò in semifinale, col tanto discusso doppio Berrettini–Fognini, sconfitto da Auger Aliassime–Pospisil. Altro boccone amaro, e polemiche non finire, ma situazione negativa dalla quale abbiamo imparato. Solo perdendo s’impara, è la dura ma giusta legge dello sport.
    Solo vivendo esperienze, come singoli e poi come squadra, si matura, si impara, si cresce. È cresciuto Volandri nella gestione di un gruppo che ci ha portato in finale a Malaga, facendo da parafulmine mille volte, motivando tutti, dando grinta e serenità, maturando scelte difficili, con coraggio e visione. È cresciuto a dismisura Sinner, tennista che oggi, 27 novembre 2023, possiamo considerare serenamente come il miglior tennista al mondo visto che negli ultimi mesi ha battuto tutti i migliori e l’ha fatto più volte, alzando la Davis ed arrivando ad un passo dal vincere le Finals a Torino. La vittoria di Jannik su Novak in semifinale sabato è entrata nei libri d’oro come una delle imprese sportive più alte della storia dello sport italiano. Sinner è diventato leader, forte e silenzioso. Non ha risposto con classe immensa alla marmaglia che ha cercato – invano – di infangarlo, e ha fatto parlare il campo, la sua racchetta, i suoi colpi meravigliosi, che hanno fatto esplodere il tennis nelle case di tutti gli italiani come mai prima. Classe infinita. Jannik ha trascinato Sonego nei doppi, esaltandone le qualità e dandogli quella sicurezza di cui aveva bisogno per tirare fuori il suo meglio. Ha dato serenità a tutto il gruppo, capace di superare difficoltà e diventare vincente. Un gruppo che ha accolto anche Berrettini, non ci dimentichiamo del Matteo-nazionale, che vogliamo fortissimamente rivedere sparare missili sportivi dal 2024 e tornare una delle punte di diamante del nostro team di Davis. Mancava Fognini, e bene ha fatto il Presidente Binaghi ai microfoni di Sky a ricordarlo a caldo, perché Fabio ha dato tanto negli anni e si è sempre speso per la maglia azzurra.
    Io c’ero a Malaga, almeno col cuore e la penna. Abbiamo tutti insieme vissuto un’avventura straordinaria, indimenticabile, che ci ha arricchito come poche altre cose. E pazienza se questa insalatiera è un filo meno scintillante del passato… La nuova formula in fondo piace poco, ma ha reso la competizione ancor più difficile, non hai alcun margine di errore con soli tre match, uno dopo l’altro. Si può discutere quanto vogliamo, e a ragione, sul cambiarla, sul tornare almeno in parte ai match casa – trasferta che erano l’essenza della competizione, ma alla fine quando giochi con la maglia azzurra addosso, è qualcosa di unico, qualcosa che ti tocca dentro e provoca emozioni indescrivibili.
    Emozioni che i nostri giocatori hanno vissuto sulla propria pelle, in campo e panchina, e che li renderà ancor più forti e sicuri l’anno prossimo, quando in Davis saremo la squadra da battere e nei tornei del tour saremo sicuramente protagonisti. Emozioni che avremmo voluto vivere quel 4 dicembre 1998, quando la spalla di Gaudenzi fece crack e furono solo lacrime. “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.” Parole e musica di Michael Jordan, uno dei più grandi sportivi di sempre. Beh, allora questa fantastica Davis 2023 di Malaga abbiamo iniziata a vincerla ad Assago, a Mestre, in Zimbabwe, a Santiago, a Bologna. È una vittoria che viene da lontano.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Holger, Boris e il “diamante grezzo”

    La foto di gruppo di Rune con Becker (Instagram di Rune)

    Ha fatto un certo scalpore la notizia della nuova collaborazione tra Holger Rune e Boris Becker. La giornata di ieri, un po’ sonnolenta senza grandi spunti, è stata scossa dal podcast del media Eurosport nel quale il leggendario e discusso campione tedesco ha affermato: “Posso confermare di essere il nuovo allenatore di Holger Rune”. Da lì, in pieno Boris-style, il tedesco è andato a ruota libera. “Mi rende orgoglioso che me lo abbia chiesto. Il contatto esiste da molto tempo. Adesso era il momento giusto per iniziare. Il mio calendario lo permette e sono sempre stato interessato a Holger perché sul campo da tennis ci mette tanto impegno e temperamento”.
    “Holger mi ha invitato ad una settimana di allenamenti a Monte Carlo. Lì ho avuto anche una lunga chiacchierata con sua madre Aneke e il suo preparatore atletico Lapo Becherini. D’ora in poi saremo noi tre responsabili di Holger. Purtroppo questa settimana non posso essere presente al torneo di Stoccolma a causa di appuntamenti già fissati. Ma sarò lì al più tardi a Basilea e poi sicuramente a Parigi-Bercy. Spero di aiutarlo a qualificarsi per le Nitto ATP Finals di Torino. Questo è il grande obiettivo per l’immediato” conclude il tedesco.
    È una notizia di un certo peso, sotto vari punti di vista. Rune è uno dei talenti più importanti dell’ultima generazione, da tempo tra i migliori al mondo a soli 20 anni, capace di vincere un anno fa a Bercy il Masters 1000 dei record: nessuno aveva mai sconfitto 5 top10 nello stesso torneo, incluso Novak Djokovic, uno che indoor non perde quasi mai. Becker è un personaggio complesso, affascinante quanto complicato. Negli ultimi anni purtroppo è stato in prima pagina non per imprese sportive o interessanti analisi ma per i suoi noti problemi con la giustizia, che l’hanno costretto a passare diversi mesi dietro le sbarre a Londra. Il fisco inglese non si scherza… Rientrato in patria poco prima del Natale 2022, ha ripreso a collaborare come opinionista per varie testate, fino all’accordo annunciato ieri. In passato è stato all’angolo di Novak Djokovic, un periodo ricco di successi che ha lanciato il serbo in un’altra dimensione su erba, proprio dove il tedesco ha costruito la sua leggenda, “il mio giardino” riferito a quel Centre court dove alzò al cielo la coppa più bella della disciplina a soli 17 anni.

    C’è enorme curiosità per vedere che ne sarà di questa strana coppia. Strana sì, perché i due hanno in comune un carattere a dir poco forte, spigoloso e conflittuale. Che razza di rapporto potrà nascere tra due personalità così spiccate, con pure la mamma di Holger “nel mezzo” a complicare ancor più la faccenda? È noto che signora Aneke sia stata fondamentale nell’accompagnare il sogno di un piccolissimo Rune verso il tennis Pro. Racconta la madre che Holger disertava i compleanni e feste degli amici di scuola, preferendo correre al campo a colpire palle come un forsennato… Chissà quanto c’è di vero in quest’aneddoto, ma sicuramente la madre è da sempre una presenza “pesante” nella giornata e programmazione del danese. Forse fin troppo ingombrante… Un vecchio proverbio napoletano afferma che “Troppi galli a cantà nun schiara mai juorno”… come dare torto a cotanta saggezza. Proprio saggezza, visione e obiettivi condivisi devono essere la base comune su cui costruire una relazione sana e produttiva. Interessante che Boris abbia confermato di aver parlato subito con mamma Rune, dando un segnale inequivocabile che anche lei sarà “dentro”. Ancor più interessante il discorso del tedesco su cosa vede in Holger e quel che pensa sia il suo compito: lavorare su mentalità, attitudine e testa. Non ha parlato di colpi, di strategia. Ha subito posto il focus sull’aspetto mentale come priorità.
    “Holger è un diamante grezzo che necessita di essere lucidato e ripulito” afferma Becker. “Mi piacciono sue esplosioni di emotività. Ho già allenato un giocatore, Novak Djokovic, che a volte non sempre riusciva a tenere il controllo in campo, ma questo è lecito. La domanda è: quanto velocemente ritrovi la strada per rientrare in partita e sei di nuovo concentrato? Alla fine non si tratta di mandare tua madre fuori dalla tribuna, ma di vincere la partita. Amo il tennis e quando uno dei migliori ventenni al mondo mi chiede se mi piacerebbe allenarlo… chiunque dica di no non ha molto a che fare con questo sport”.
    “Certo, è tutta una questione di atteggiamento, anche se è così facile dirlo. Ma è il motivo principale per cui le partite di tennis vengono vinte o perse. Per me la questione resta la motivazione. Qual è quella di Holger, quella che l’ha spinto ad andare in Cina, per esempio. È solo per vincere il primo turno o il torneo, è per i punti in classifica? Questo deve essere discusso e la motivazione deve essere assolutamente chiara. Ho alcune idee su cosa può essere migliorato. Tutto inizia con l’atteggiamento, la mentalità, la psiche. Ho qualche idea a riguardo” conclude Boris.
    Un discorso “da Boris”, diretto al punto, forte, senza compromessi. Il 3 volte campione di Wimbledon è uno a dir poco sicuro di se stesso. È sempre stato il suo punto di forza e, allo stesso tempo, di debolezza. Fortissimo nei momenti decisivi della partita, un killer; in altri troppo pieno delle sue certezze per abbassare la cresta e capire che a volte era necessario remare e difendersi, adattarsi per provare a rimediare quando le cose non filavano proprio come voleva lui. Non sempre tutto gli è riuscito. Un eccesso di personalità che gli è costato sconfitte in campo e nella vita, ma che l’ha reso una persona unica, di grande carisma. Questo può essere l’aspetto più interessante della loro unione. Agli occhi di Rune può essere uno da ascoltare e rispettare, può essere un esempio di personalità forte diventato vincente. Un esempio di persona scomoda, amato e odiato, che si è fatto largo con i suoi mezzi. In questo il giovane Rune lo ricorda molto. Affinché il loro rapporto possa funzionare, credo sia indispensabile il rispetto dei ruoli e la partenza. Mettere subito in chiaro le cose per creare un confronto sano e costruttivo, perché i sicuri scontri tra due teste così “dure” possano produrre risposte e non acredine.
    Il fortunato rapporto con Djokovic potrebbe ricrearsi, ma in quel caso le cose erano un po’ diverse. Novak è un altro personaggio totale, dotato di una personalità straripante, uno che può assolutamente tenere testa a Boris in qualsiasi argomento tennistico e non. Ma a differenza di Holger, quando i due hanno iniziato a collaborare (2015), Novak era già un tennista vincente e uomo adulto, formato e consapevole. Rune no, è ancora un ventenne che deve capire tante cose del mondo e di se stesso. Boris potrà essere mentore, guida, psicologo, ma dovrà anche essere assai bravo a contenere ruvidità ed esuberanza giovanile. Ne avrà la pazienza?
    Testa, ma non solo. Sarà interessante vedere che direzione Becker proverà a dare a tennis di Rune. Nelle prime parole il tedesco non ha accennato ad alcun aspetto tecnico, parlando solo di testa e mentalità. È dove pensa che Holger debba crescere, a ragione. Ma anche come tennis Boris può aggiungere aspetti non banali e far fare un salto di qualità al suo nuovo pupillo. Il danese è un giocatore tosto, consistente, uno che spinge molto e non si tira indietro dalla lotta. Ma non ha ancora un piano tattico ben definito. In molte sconfitte patite contro i migliori Holger ha dato l’impressione di improvvisare, di aspettare un’onda per provare a cavalcarla. Trovare degli schemi offensivi più delineati sui quali aggrapparsi per imporre il proprio tennis potrebbe essere il salto di qualità che necessita, insieme ad un netto miglioramento della gestione del servizio. Rune viene da mesi complicatissimi (9 sconfitte negli ultimi 1o match giocati), penalizzato da una schiena KO soprattutto per un eccessivo caricamento col movimento della battuta. Di servizio Boris se ne intende come pochi… È stato proprio lui a convincere Djokovic sulla necessità di stravolgere di nuovo il servizio, mettendo le basi a un lavoro poi finito da Ivanisevic.
    Sarà davvero interessante seguire i prossimi passi di Rune, sperando innanzitutto che riesca a sanare i problemi fisici che lo tormentano dallo scorso maggio. Difficile che la mano di Boris possa essere efficace nell’immediato, ma i prossimi mesi, magari dall’Australia 2024, vedremo se e cosa cambierà nella sua mentalità, atteggiamento in campo e gioco. I colleghi britannici hanno subito sottolineato che Becker non potrà sedere nell’angolo di Rune alla prossima edizione di Wimbledon, visto che il tedesco non potrà rientrare in UK fino a ottobre 2024 per la pena che sta scontando in Germania. Ma, siamo sicuri che Becker il prossimo luglio sarà ancora nel box del danese?
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    I 10 vincitori più giovani agli US Open

    Pete Sampras a US Open 1990

    Con le qualificazioni già in corso, il count down per gli US Open, quarto Slam stagionale, è già scattato. Cresce l’attesa per l’edizione di quest’anno, sia per i tennisti azzurri che per i grandi del panorama internazionale. Jannik Sinner nel 2022 si è fermato nei quarti di finale, al termine di una partita clamorosa (la più bella della stagione) nella quale non è riuscito a trasformare un match point contro il futuro campione Carlos Alcaraz. Se avesse trovato un vincente in quel momento, chissà… Oltre alla curiosità di ritrovare Matteo Berrettini nel torneo dove segnò il suo primo exploit Slam, e osservare le prestazioni degli altri italiani, c’è grandissima attesa per i due tennisti più caldi dell’anno, recenti finalisti a Cincinnati: Novak Djokovic e Carlos Alcaraz. Dopo quella bellissima di Wimbledon, molti si aspettano (o sperano) di poter assistere ad un nuovo capitolo di questa rivalità. Alcaraz sarà chiamato a difendere il titolo conquistato a Flushing Meadows lo scorso anno, suo primo Major in carriera, grazie al quale ha stabilito anche il record assoluto di n.1 ATP più giovane. Tuttavia per pochi giorni non è stato il campione di US Open più precoce. Approfittiamo dell’avvicinamento al torneo della “Grande Mela” per andare a scoprire i 10 vincitori più giovani a New York.

    1. Pete Sampras – 1990 – 19 anni e 15 giorni
    Pete Sampras vinse a New York il primo dei suoi 14 Slam, appena dopo aver compiuto 19 anni, sconfiggendo in finale Andre Agassi (6-4 6-3 6-2). Il successo del campione californiano arrivò a sorpresa, perché nella super covata di talenti a stelle e strisce di quell’epoca era più atteso un successo di Agassi, che invece arriverà solo a Wimbledon 1992, e anche dopo il primo Slam di Jim Courier. Sampras ha tenuto il record di più Slam vinti nell’era Open fino al 2009, quando Roger Federer toccò quota 15 a Wimbledon. Fu una cavalcata impressionante quella di Sampras a US Open 1990: della dodicesima testa di serie, Pete sconfisse Ivan Lendl nei quarti di finale, John McEnroe in semifinale e Agassi in finale, con un servizio mai così efficacia. Il marchio di fabbrica di una carriera straordinaria.

    2. Carlos Alcaraz – 2022 – 19 anni, tre mesi e 24 giorni
    Che Alcaraz fosse un predestinato era chiaro già da tempo, ma in pochi pensavano che il suo primo Slam sarebbe arrivato sul cemento. Sensazione questa fin troppo figlia di quella assonanza con Nadal che, in realtà, non ci azzecca più di tanto. Proprio a New York “Carlito” si rivelò al mondo con una bella cavalcata nell’edizione precedente (2021). Il fantastico 2022 di Alcaraz è culminato con il suo primo Slam a US Open, grazie alla soffertissima vittoria su Sinner nei quarti e quindi con la finale vinta su Casper Ruud (6-4 2-6 7-6(1) 6-3 lo score). Un titolo che gli regalò anche la prima posizione del ranking mondiale e il record di tennista più giovane a sedersi sul trono del tennis maschile. Netta la sensazione che quello 2022 sia solo il suo primo titolo a New York.

    3. Lleyton Hewitt – 2001 – 20 anni, sei mesi e tre giorni
    Questi “maledetti giovani…” Forse questo avrà pensato Pete Sampras dopo esser stato di nuovo nettamente sconfitto nella finale di US Open, dopo la batosta rimediata nel 2000 dall’altrettanto giovane Marat Safin. Lleyton Hewitt nel 2001 rimandò il quinto titolo nel torneo di casa per Pete Sampras, successo che arrivò nell’anno successivo. Hewitt sconfisse Sampras per 7-6(4) 6-1 6-1 in quello che fu il suo primo titolo Slam. “Rusty” è l’ultimo australiano ad aver vinto uno Slam (Wimbledon 2002).

    4. John McEnroe – 1979 – 20 anni, sei mesi e 12 giorni
    Un giovane e riccioluto John McEnroe alzò nella sua amatissima città il primo Slam in carriera, lanciandosi nell’Olimpo della disciplina. Con questo successo sorpassò il connazionale (e mai amico) Jimmy Connors in cima alla lista come il più giovane vincitore agli US Open, battendo in finale Vitas Gerulaitis (7-5 6-3 6-3 lo score). L’americano duellerà contro Borg in iconiche partite e vincerà altri sei tornei del Grande Slam in carriera, dominando la stagione 1984. Poi, la luce si spense.

    5. Marat Safin – 2000 – 20 anni, sette mesi e un giorno
    Nuovo secolo, nuovi campioni. Marat Safin impressionò il mondo della racchetta disputando un grande torneo e soprattutto brutalizzando in finale il super campione a stelle strisce Pete Sampras, battuto per 6-4 6-3 6-3. Il punteggio non rende l’idea di quanto il servizio di Sampras – forse il singolo colpo più forte della storia del gioco – sia stato disinnescato dalla risposta del russo. Marat alzò il suo primo Slam in carriera, diventato il secondo russo a vincere un Major dopo Yevgeny Kafelnikov. Peccato che il moscovita non riuscì esattamente a sfruttare a pieno il suo grande talento negli anni seguenti.

    6. Juan Martin Del Potro – 2009 – 20 anni, 11 mesi e otto giorni
    Quella 2009 fu un’edizione passata davvero alla storia, per molti motivi. Roger Federer puntava al record del sesto titolo consecutivo agli US Open, ma in finale si è imbattuto nell’argentino Juan Martin del Potro, che aveva estromesso Nadal in semifinale. Federer scese in campo mostrando la sua enorme classe, stava letteralmente volando, annichilendo un giovane argentino alla sua prima finale Slam. Avanti di un set e di un break, forse Roger per la prima volta in carriera peccò di superbia, o almeno, cercò una serie di colpi fin troppo spettacolari e difficili, provocando una reazione mentale di DelPo. L’argentino si scrollò di dosso ogni pressione, forse perché pensava di non poter rimontare, e iniziò a colpire diritti di una violenza inaudita. Le sue palle non uscivano più, rimontò Roger e vinse una finale ancora ben impressa nella memoria degli appassionati. JMDP trionfò per 3-6 7-6 (5) 4-6 7-6 (4) 6-2, in quello che purtroppo resterà il suo unico Major in carriera. Infortuni e peripezie continue l’hanno bloccato all’infinito. È stato l’unico Grande Slam che i Big Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray) non sono riusciti a vincere tra gli Australian Open del 2005 e gli Australian Open del 2014. Quando si dice “compiere un’impresa”….

    7. Andy Roddick – 2003 – 20 anni, 11 mesi e 26 giorni
    Quell’anno il tennis stava svoltando, Andy Roddick fu scaltro e rapido a vincere il suo primo e unico titolo del Grande Slam, battendo Juan Carlos Ferrero 6-3 7-6 (2) 6-3, appena prima della definitiva esplosione di Roger Federer, che da gennaio 2004 dominò il tennis per alcune stagioni. Andy rimane l’ultimo americano ad aver alzato la coppa di uno Slam. Se nessun connazionale farà il miracolo al prossimo US Open, saranno passati 20 anni senza vincitori Slam a stelle e strisce. Impossibile a quell’epoca immaginare una situazione del genere.

    8. Boris Becker – 1989 – 21 anni, nove mesi e 6 giorni
    Il nome di Boris Becker resterà per sempre legato a Wimbledon, dove nel 1985 il tedesco alzò il suo primo Slam a soli 17 anni, sette mesi e due giorni, restando tutt’ora il più giovane campione major di sempre. Tuttavia il tedesco è stato anche un giovane vincitore a New York nell”89, quando sconfisse in finale Ivan Lendl per  7-6(2) 1-6 6-3 7-6 (4). Becker resta l’ultimo tedesco ad aver vinto il titolo degli US Open (Stich si arrese ad Agassi in finale nel ’94, Zverev a Thiem nel 2020).

    9. Jimmy Connors – 1974 – 21 anni, 11 mesi e 26 giorni
    Quando quasi 50 anni fa Jimmy Connors sconfisse l’australiano Ken Rosewall nella finale degli US Open del 1974, divenne il giocatore più giovane a vincere il titolo a New York. Connors impiegò poco più di un’ora per battere l’ormai anziano Rosewall con il punteggio più severo mai visto nella finale del torneo: 6-1 6-0 6-1. Fu un’annata straordinaria per “Jimbo”, con i successi anche a Wimbledon e Australian Open.

    10. Roger Federer – 2004 – 23 anni e 22 giorni
    Grandissimo campione, ma non così precoce rispetto a diversi suoi colleghi. Nel 2004 Roger Federer due mesi dopo aver vinto il secondo titolo a Wimbledon, alzò il suo primo trofeo agli US Open, dominando Lleyton Hewitt in finale (6-0 7-6(3) 6-0 il netto score). È stato il primo di cinque titoli consecutivi per Federer a New York, imbattuto nel quarto Major stagionale fino al 14 settembre 2009, quando fu sorpreso dalla potenza di Juan Martin del Potro.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO