Carlos Alcaraz
Brutale. Alcaraz domina Zverev in finale al Masters 1000 di Madrid, dando una dimostrazione di forza e superiorità incredibile. Quasi “inquietante” per i suoi avversari. In questo momento Carlitos, classe 2003 da Murcia, è il più forte tennista del mondo. Affermazione forte, ma Alcaraz è ancor più forte delle parole, che a fiumi da stasera invaderanno di nuovo il web e carta tennistica. Alcaraz ha domato Nadal, Djokovic e Zverev nel torneo, vittorie una diversa dall’altra ma accomunate da un aspetto tecnico che misura la qualità e livello pazzesco raggiunto dallo spagnolo in questo momento: il gioco l’ha sempre fatto lui. È stato Carlos a prendere rischi, a costringere gli avversari a contro mosse, spesso al limite, per restargli vicino. Si è avuta netta la sensazione che nemmeno i grandissimi avversari sapessero davvero come superarlo, come metterlo in grave difficoltà.
Alcaraz mi aveva impressionato lo scorso anno a Milano alle NextGen, perché in quel contesto “soft” aveva provato in campo ed allenamento molte cose nuove. Oltre alle rincorse difensive spettacolari, alle pallate a tutta, alla velocità in campo, provava tempi di gioco allucinanti, quasi azzerati. Anticipo totale, arrivo sulla palla con il timing perfetto per sparare colpi potenti, con grande rischio. Diritto, rovescio, direttrice, non importa come e dove, quasi tutto gli riusciva, sia accelerando al massimo che lavorando la palla a grande velocità. In un millisecondo la sua testa processava posizione in campo, distanza dalla palla, righe dall’altra parte del campo abbinate alla posizione del rivale, trovando la soluzione migliore per incidere. Per prendersi il punto. Tempo di attesa: nessuno. Palle interlocutorie: non previste. Una macchina infernale.
Alla fine del torneo meneghino, si pensava che se fosse riuscito a tenere quei ritmi di allenamento anche contro i migliori, sarebbe stato complicato anche per loro resistere. Ancora alla risposta la palla volava un po’ via, col servizio non trovava la misura. Lo guardava allenarsi ridendo sotto i baffi JC Ferrero, dicendo a bassa voce “non sappiamo nemmeno noi quali siano i suoi limiti”. Beh, un vecchio adagio dice che i record sono fatti per essere battuti, e l’unico limite è il cielo. In questo periodo Carlos ha toccato il cielo con un dito, sta iniziando a prendersi i primi record, i primi grandi successi. Ma la sensazione netta è che sia giù ben avviato a prendersi tutto.
Alcaraz impara con una velocità folle, supera i problemi del suo gioco migliorando partita dopo partita. Quei momenti di furia agonistica dove sparacchiava sono quasi scomparsi. Al servizio è sempre più continuo, e la risposta può toglierti la racchetta di mano o spazzolare le riga, tanto veloce da travolgere le scarpe dell’avversario che è appena atterrato dopo il servizio. Come lo batti uno così? Molto, molto difficile… Servire come un treno, “a la Sampras” doc, della serie non fargliela toccare o quasi, variando così tanto da non fargli prendere lo scambio. Non è un caso che il nostro ottimo Matteo Berrettini ce l’abbia fatta in Australia. Sgonfiare la palla come è riuscito in parte Djokovic in semifinale, e poi strappare all’improvviso… ma lui può anticipare e rendere tutto inutile. Oppure provare a farlo giocare solo dritto per dritto, perché se lo porti a giocare negli angoli ti disintegra, perché quando sbraccia la palla subito dopo la rete si abbassa e diventa imprendibile. Berrettini riuscì anche a sfondarlo col diritto a Melbourne, ma da allora Alcaraz è ancora cresciuto. Sarà molto, molto intrigante vederlo anche sui prati, perché con quella razza di anticipo e gioco di piedi, beh, questo potrebbe essere da corsa fin da subito pure lì. Le aperture non sono cortissime, ma compensa con una velocità e reattività psicomotoria incredibile.
La bellezza del tennis è che riesce sempre a sorprenderti, anche quando pensavi di aver visto già tutto. Carlitos Alcaraz sta alzando di nuovo l’asticella della competizione. Il suo avvento rischia di diventare una di quelle fratture storiche, un momento in cui tutto svolta e non è più lo stesso.
Marco Mazzoni LEGGI TUTTO