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    Gigi Datome, intervista esclusiva: “Ora parlo con Pozzecco”

    Datome, la sua è stata una stagione tormentata: gli infortuni, poi un virus. Lo scudetto e il premio di MVP dello spareggio quanto la ripaga per quello che ha passato?«Alcuni problemi sono purtroppo fuori dal nostro controllo. Il virus è stata la cosa peggiore, perché anche quando sono tornato ero molto debilitato a livello muscolare. Mi ha dato davvero fastidio. Però sapevo che con il tempo avrei ripreso la condizione, e speravo di farmi trovare pronto quando Messina avrebbe ritenuto opportuno utilizzarmi. Ero concentrato su questo, senza ascoltare alcuna voce esterna. Ero convinto di avere tanto da dare alla squadra e sono felice di averla aiutata a vincere il secondo scudetto di fila».
    È stata un’annata difficile anche per tutta l’Armani: lei è stato tentato qualche volta di dire “qui crolla tutto”?«È la domanda giusta, perché la possibilità c’era. Ma vedendo la squadra allenarsi, mi rendevo conto che c’era una grandissimo impegno quotidiano e tanta serietà. Io ho vissuto la realtà di tanti gruppi, e so che queste cose alla fine ti portano dei dividendi. Abbiamo vissuto tanti mesi bui, soprattutto in Eurolega, dove eravamo lontani dal livello che volevamo mostrare. Eppure non c’è stato mai un giorno in cui qualcuno ha scosso la testa in palestra. Ripeto, il lavoro ci ha portato a giocarci lo scudetto, che per altro poteva finire a noi come a Bologna. Quando siamo stati tutti bene abbiamo fatto vedere la migliore pallacanestro».
    Queste ultime sono state notti particolari per lei. Ansia?«No, è stato solo un sonno poco regolare: mi svegliavo, pensavo alla partita, sognavo la gara. Avrei voluto giocare subito perché l’attesa era davvero snervante. Io se fosse possibile mi piacerebbe disputare quattro partite in quattro giorni: è l’attesa tra un impegno e l’altro che è snervante! Poi in campo diventiamo tutti calmi e sappiamo cosa fare».
    A fine gara 7 Teodosic si è avvicinato e l’ha abbracciata. Che segnale è per il basket?«È stata una serie fisica, con colpi anche al limite del proibito. Alla fine ci si complimenta a vicenda: la bellezza di questo scudetto sta anche nel valore dell’avversario».
    Anni fa Milano era una sorta di buco nero per i giocatori italiani. Con l’arrivo di Messina è cambiato tutto: cosa ha di speciale Ettore, allenatore estremamente esigente?«È difficile, ma io venivo da cinque anni con Obradovic, che non sono stati propriamente una passeggiata… Quando lavori con queste leggende del basket, ti fanno sudare. Però a fine stagione festeggi dei titoli: ogni cosa acquista un senso, e capisci. Ettore ha un grande senso di dedizione e di responsabilità. E la cura dei dettagli: lui ogni partita la tratta come se fosse una gara 7 per lo scudetto».
    Lei non solo ha segnato 16 punti, ha persino annullato Belinelli, pericolo pubblico numero 1. Come ha fatto?«Abbiamo provato per tutta la serie a difendere su Marco, e lui ha sempre fatto dei canestri pazzeschi. Due giorni fa ha fatto dei tiri magari persino più facili rispetto al passato, e non gli sono entrati».
    “Il gigante del campetto” è un fumetto in cui lei, protagonista, insegna ai bambini i valori della vita, soprattutto avere fiducia nei propri compagni. Valori che ha ritrovato anche all’Armani?«Se ho potuto fare una gara come quella di venerdì è perché ho ricevuto tanta fiducia dai miei compagni: mi hanno cercato, mi hanno trovato, hanno creduto in me. Senza fiducia reciproca non si va lontano».
    Vuole dire qualche cosa a quello scansafatiche di Melli, che subdolamente ha commesso subito due falli per riposare in panchina e poi fare il fenomeno nel secondo tempo?«Ma no, poveraccio! (risponde ridendo Datome cogliendo l’ironia, ndr). Ci ha trascinato sempre, ha giocato tutte le partite tra Italia ed Eurolega, facendo un fantastico lavoro fisico, di presenza, di energia. Quindi un enorme pezzo di questo scudetto porta il suo nome».
    Purtroppo dobbiamo chiederglielo: il suo futuro sarà ancora a Milano?«Adesso penso solo a festeggiare e andare in vacanza con la famiglia. Poi con calma, serenamente, prenderemo la decisione migliore per tutti».
    E la Nazionale, di cui lei è capitano?«Ecco, questo sì è il momento di parlare con il ct Pozzecco. Perché di cuore io in azzurro voglio sempre esserci. Però voglio anche capire con il Poz se sarà giusto e utile per la squadra». LEGGI TUTTO

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    Basket, semifinali scudetto: Bologna vince gara 1 contro Tortona

    BOLOGNA  – Parte bene la Virtus Segafredo Bologna nella semifinale scudetto contro Bertram Yachts Derthona Tortona, battuta 84-61 nella prima gara della serie (mentre Milano ha superato Sassari nell’altra semifinale).
    Belinelli e Ojeleye trascinano Bologna
    Gli emiliani sono riusciti a sfruttare al meglio il fattore campo sul della Segafredo Arena, dove il giocatore ospite Macura è stato il top scorer del match con 20 punti ma Belinelli e Ojeleye (15 punti a testa) hanno trascinato i padroni di casa al successo insieme ad Hackett (14 punti). Il prossimo scontro è in programma tra due giorni (martedì 30 maggio) ancora a Bologna. LEGGI TUTTO

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    Legovich, coach di Trieste: “Città mia. Tutto l’anno in 4 giorni”

    Legovich, come ha vissuto la stagione da debuttante?

    «In primo luogo con grande orgoglio: dopo 7 stagioni da assistente un’opportunità unica per me e per il panorama cestistico del momento. Non è così comune avere il coraggio di questa società. Da triestino l’orgoglio è più grande, un’extra motivazione. E i proprietari subentrati mi hanno confermato fiducia, inattesa dopo i ko con Reggio Emilia e Scafati».

    Perché i giovani allenatori hanno meno opportunità?

    «Oggi penso che per allenare e gestire una squadra, ci voglia anche molto altro. Un aspetto che complica è la gestione dell’extra, il rapporto con la stampa e con i social, cassa di risonanza da gestire nel modo giusto. In ragione delle spese, tante società non hanno pazienza o coraggio di investire in prospettiva su un giovane. E ci sono momenti difficili cui resistere, ne abbiamo avuti e non ne siamo ancora usciti. Siamo alla vigilia di una gara decisiva».

    Deangeli, triestino e capitano a 22 anni, ha ricordato che quando aveva 13 anni lei gli disse “ci vediamo in A”. Veggente?

    «Allenavo la rappresentativa provinciale di Trieste, Deangeli era di un’altra società, mi colpì la sua passione e voglia di migliorare. A fine torneo dissi che se avesse mantenuto passione e fame, Lodovico sarebbe arrivato in A. Io però non mi immaginavo in A, non così presto».

    Bossi, Campogrande, Ruzzier e Lever, 53 punti su 85 in 4 nello spareggio salvezza. L’italiano sente più l’attaccamento?

    «Per background culturale il giocatore italiano comprende più facilmente cosa significhi una gara simile, gli Usa non sono abituati. Eppoi avere tre giocatori di Trieste più Campogrande e Lever alla seconda stagione qui ha creato quel tipo di amalgama, di affetto loro verso la città stessa. Avendo in spogliatoio questo tipo di comprensione, è più facile per tutti».

    Si pensava foste spacciati per il caso doping che vi ha tolto Davis. Cosa ha detto ai ragazzi?

    «È stato un altro imprevisto e squarti-acque, l’abbiamo appreso scendendo dal pullman al palasport di Sassari. Ci ha fatto bene subito dopo Sassari viaggiare e stare tre giorni a Pesaro. Lì abbiamo potuto parlare, preparaci, superare il momento. Il gm Ghiacci è venuto a trovarci, ci siamo compattati ancor più. A Pesaro siamo crollati nel fi nale, con Verona abbiamo giocato 2 quarti di gran rabbia, abbiamo subito rimonta ma siamo stati bravi a reagire».

    Assistente di Dalmasson e Ciani. E per il gioco dice di rifarsi a Ramondino e Scariolo.

    «Ho lavorato con grandi due capi allenatori come Eugenio e Franco che mi hanno dato tanto con spunti diversi, è il bello di avere più persone al fianco. Poi studio da autodidatta, guardando tantissima Eurolega, confrontandomi. Importantissima la Nazionale Under 20 con Magro, non solo uno dei migliori, ma con lunga esperienza anche da assistente».

    Alla nomina ha provato paura?

    «La nomina mi è sembrata più grande di me. D’altra parte erano 7 anni che lavoravo giorno e notte per l’obiettivo. Non si è mai pronti fino in fondo, ma bisogna saltare sul treno in corsa, trovare posto e sedersi».

    Come si allenano i giovani di oggi?

    «Per età ho più facilità a rapportarmi, bisogna trovare la chiave, vanno aiutati molto a essere autonomi e responsabili in campo, fare scelte consapevoli. È il passo più grande come persone e poi giocatori. Ho fatto mia la parola magica di Messina: autoesigenza. Ecco, tanti non hanno il fuoco dentro».

    Padroni del destino, domenica a Brindisi

    «È fondamentale non pensare agli altri campi, essere in settimana molto bravi a recuperare energie e resettare dalla bella vittoria, in 4 giorni ci rigiochiamo tutto». LEGGI TUTTO

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    Pozzecco esclusivo: l’Italia ambiziosa, i Mondiali, i giovani e Banchero

    Pozzecco, com’è cambiata la sia vita da papà?
    «Sono estremamente felice, Un mio amico mi prendeva in giro quando dicevo  un anno che i miei azzurri erano come figli perché non ero ancora papà. Lo so che sono emozioni diverse, io prendo Gala dalla culla, la porto con me a letto e me la metto sul petto, la sento respirare, non potrei farlo con Melli o Polonara. Con un figlio hai la necessità che stia bene, quando piange vorresti piangere tu, così come quando ha la febbre o male al pancino. Ma intendevo dire che a me interessa soprattutto che i miei giocatori stiano bene e possano esprimere in campo il loro talento e fuori la loro personalità».
    Essere stato un grande giocatore la ispira, dunque. Diverso dai coach non giocatori?«La prima impressione che si ha di un coach ex giocatore è sbagliata. Si pensa sia favorito dal sapere cosa farà un atleta. Invece è penalizzante perché uno potrebbe aspettarsi l’identico modo di reagire dal punto di vista emotivo e tecnico alle situazioni e non succede. Generalizzando può aiutare l’empatia. Ma anche in questo ci sono casi diversi. Io uso l’empatia per aiutarli, è il mio unico obiettivo. Se un giocatore sbaglia so che è il più dispiaciuto, certo, in casi di menefreghismo mi arrabbio e correggo, ma tra i giocatori di oggi i menefreghisti non esistono. Soffrono per i loro errori».
    Lei però è uno che vive di emozioni e le mostra. Come fa invece con i giocatori?«Vivo le partite in modo animato, acceso, è vero. Ma nella quotidianità, pur incazzandomi quando è necessario, sono sereno e voglio trasmettere questo. Come coach sono cambiato dopo Varese. Arrivato a Sassari ho capito che i giocatori vedevano il peggio di me in partita, che perdevo il controllo, ma in settimana ero diverso. Allora ho cercato di mediar e mi sono spiegato. E quello mi ha aiutato. Io posso allenare solo così. Per me allenare è coerenza, anche se il compianto Maurizio Costanzo diceva che ogni tanto la coerenza è stupidità. Alla fine sa qual è la chiave? Io mi fido di loro, perciò mi spendo per loro. E questo crea consapevolezza, in me e in loro. Poi arriva il momento delle decisioni e soffro se devo escludere qualcuno, anche perché a volte un giocatore non capisce. A me è successo, ai tempi. Ora dico una cosa che penso e non ho mai detto. Io non sono peggio di come appaio, perché non sono preoccupato di come appaio. Però vivo in un mondo in cui tutti cercano di mostrarsi meglio di quanto siano, preoccupati. Dunque sembrano meglio di me. Ma i giocatori capiscono, prima o poi».
    Ha parlato delle decisioni, quest’anno lei potrebbe avere problemi di abbondanza.«Io ne porterei 35, ma poi forse il 36° si arrabbierebbe comunque. Farò scelte tecniche, ma dando opportunità a tutti. Abbiamo giovani emergenti, i reduci dall’Europeo che hanno meritato. Ma sono orgoglioso di loro e degli altrui progressi. Io vedo che almeno 16-18 giocatori potrebbero entrare nei 12. Ma forse l’unico aspetto negativo di un lavoro meraviglioso».
    Lei è stato ed è tuttora personaggio. Il Basket ha bisogno di giocatori che siano personaggi e riferimenti. Come fare?«Credo sia una questione generale, anche nel calcio per esempio. Forse è il talento più diffuso, la possibilità di allenarsi in modo più sofistico. Ma anche io credo sia necessario, soprattutto che nelle squadre ci siano giocatori di riferimento per gli appassionati, che si creino rivalità. In modo che il pubblico e i bambini, i ragazzini, si possano identificare. Occorre che le società in tal senso cambino e si aprano, aiutino i ragazzi a esprimersi. Io vivo un momento di grande entusiasmo perché girando per i campi e i raduni, vedo tanti giovani di grande talento. Noi avevamo un vantaggio, potevamo identificarci già nei ragazzi che crescevano nelle giovanili e si preparavano a sostituire i grandi. Ricordo che andai a vedere una finale giovanile perché c’erano Morandotti e Fumagalli. Tre settimane fa ai raduni Under 15 e 16 ho visto ragazzi che possono diventare fenomenali. Ma dobbiamo ritrovare il romanticismo e il coraggio di quei tempi, puntare su almeno un giocatore rappresentativo per ogni squadra».
    Sgomberiamo il campo dal “caso” Banchero, su cui c’è stata un po’ di confusione. Tanto una risposta Paolo la darà.«Dobbiamo riconoscere che sia cambiato lo scenario. Con lungimiranza la Fip, Trainotti, Fois avevano individuato un grande talento dotato anche di grande etica. A causa del covid non è potuto venire prima. Poi è cresciuto al di là delle più rosee previsioni. Siamo contenti che se lo sia meritato, ora la sua scelta è più difficile. Banchero è un ragazzo estremamente serio, non focalizzato soltanto su se stesso, con idee chiare. Ha un modo di giocare e una comprensione del basket di livello tale che si può adeguare ovunque. Abbiamo sognato, teniamo la speranza accesa, ma tutto è cambiato. Ci darà una risposta, sono sicuro, per tempo. Nel frattempo io vado avanti».
    Parlava dei giovani, pensa a un sistema unico che coinvolga nel gioco azzurro fin dalle giovanili? Quanto tempo serve?«Il percorso è lungo, ma bisogna cominciare. Lo voglio lanciare a prescindere che poi abbia il tempo per finirlo. Dobbiamo rilanciare i settori giovanili, la Nazionale A deve aiutare chi lavoro con i ragazzi nelle selezioni giovanili e dare indirizzo al movimento. Ripeto, ho visto generazioni molto interessanti. L’aspetto più importante è avere voglia di fare. E l’entusiasmo è la molla per trasmettere entusiasmo e valori».
    Come ha vissuto il sorteggio Mondiale?«Il mio staff si è radunato online e l’ha vissuto assieme. Io anche con moglie e figlia, perché mi stressa seguire una vicenda sulla quale non posso incidere. La prima considerazione riguarda la questione logistica, il sorteggio ci ha favoriti, non avremo viaggi pesanti, non cambieremo Paesi e abitudini. Mi sarebbe piaciuto affrontare gli Usa, però ho una certezza: sarà un bel Mondiale, l’Italia giocherà un bel Mondiale, oserei dire grande».
    Però li può trovare nei quarti. E nella seconda fase magari Portorico con Alvarado.«Vero, speriamo».
    Ha visto parecchie partite, un giudizio sulla Serie A.«Campionato di grande equilibrio in cui a due turni dalla fine con 22 punti rischi la A2 e con 26 speri nei playoff.  Ho visto che i giocatori italiani hanno avuto più spazio e responsabilità. Alcuni come Flaccadori e Spagnolo sono giocatori-franchigia. Mi auguro che ogni club possa mantenere il più possibile la struttura tecnica. Peccato che in Europa non sia andata bene».
    Come dare ancora più spazio agli italiani?«Io punterei sulle regole spagnole, dove gli americani e la loro idea di gioco lasciano spazio al basket europeo. Se metti tre italiani con 6 americani, giocheranno all’americana. Ecco suggerirei di costruire le squadre in modo diverso». LEGGI TUTTO

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    Scariolo esclusivo: “Numeri 1 ma nel momento del ricambio generazionale”

    Scariolo, le sensazioni sue e della Spagna al sorteggio?
    «Pensare di essere n. 1 del ranking mondiale, oro mondiale ed europeo fa un po’ sorridere, perché sappiamo benissimo di non essere né i migliori del mondo, né d’Europa. Però abbiamo meritato per il cammino, superando squadre più forti, giocando molto bene. In questo momento noi siamo in un evidente ricambio generazionale, dobbiamo traghettare verso la nuova generazione dei nati intorno al 2005/2006 che promette di essere grandissima. Però siamo nel mezzo. Stiamo lanciando giocatori nuovi, e quanto fatto ci dà ancora più fiducia e coraggio. Ma ci sono almeno 3-4 squadre più forti in Europa».

    Intanto avete lanciato giocatori con esperienze nelle coppe, ma non ritenuti fenomeni. Eppure avete vinto.
    «Sono frutti del grande lavoro che ormai da 8 anni almeno stiamo facendo per far crescere giocatori con coesione e compattezza di valori, metodologia tecnica e tattica fin dalle giovanili. Questo permette loro di inserirsi con maggiore facilità a un livello più alto e sofisticato, lavorando in linea con quello che fanno da diversi anni. Questa grande capacità di trasformare i valori individuali in valore collettivo è il punto fondante».

    Perché agli altri non riesce?
    «Non sono indicato a rispondere perché non ho conoscenza dettagliata degli altri. Posso però dire che a volte sorrido quando spieghiamo il nostro sistema e chi ha posto domande risponde subito: “ma quello noi non possiamo farlo”. Un grande cammino è fatto di piccoli passi tra i quali il primo è imprescindibile. Mi viene in mente il Topolino quand’ero bambino: zio Paperone faceva lustrare tutte le monete a Paperino e gli regalava un dollaro che il nipote buttava. Al che Paperone gli ricordava che il deposito era partito da 1 cent».

    Ai Mondiali avrete Lorenzo Brown?
    «Sì, è stato felicissimo e non smette di ringraziarci, quando un po’ di gratitudine la dovremmo a lui, soprattutto per l’atteggiamento. La Nazionale dà un tipo di gratificazione diverso anche a chi è stato Nba ed è considerato tra i più forti del ruolo in Eurolega. Anche se non è nato nel Paese di cui difende la maglia. Nemmeno io sono spagnolo, però è una grande emozione, perché so quanta gente e lavoro stiano dietro. E ciò mi dà più allegria è quando in giro mi ringraziano. Ho la sensazione che non solo si tratta di vincere medaglie o coppe, ma di trasmettere qualcosa a chi magari il giorno dopo va in fabbrica o in ufficio con il sorriso. Non è retorica, ce lo dicono».

    All’Olimpiade tutti i fenomeni vogliono partecipare. Al Mondiale si aspetta più defezioni?
    «Io credo che anche al Mondiale i giocatori abbiano l’idea di andare. Non mi aspetto tante defezioni che non ci sarebbero ai Giochi. La variabile è legata alle condizioni fisiche. Poi la dedizione in qualche Paese è stata sviluppata meglio che in altri. Ma è sempre stato così».

    Mondiale nelle Filippine: ci sta, vista la passione. Ma nel 2027 in Qatar. Che ne pensa?
    «Che la globalizzazione lo richiede. Del resto delle ultime 4 Olimpiadi, due sono state in Asia. Il Qatar ha dimostrato di avere organizzazione con il calcio. E nelle Filippine mi aspetto grandissimo entusiasmo. Io ho fatto un’Olimpiade  e un Mondiale in Oriente ed è stata una bella esperienza».

    Campione Nba da assistente a Toronto, è tornato in Eurolega con la Virtus. Si gioca troppo, è un fatto. Ma differenze reali nei calendari?
    «Ce ne sono un paio evidenti: la prima è che nella Nba si gioca di più rispetto all’Eurolega. Le squadre hanno pure il campionato nazionale, ma non tutte le gare sono di uguale valore. In Eurolega invece tutte le partite pesano molto. Nella Nba no, perché i back to back, le franchigie in ricostruzione, le partite in cui restano fuori titolari, tutto questo crea una quota di partite meno impegnative. Eppoi l’Eurolega ha un livello di tolleranza dei contatti più alto. Nella Nba la grande priorità è proteggere i giocatori di talento da infortuni e azioni violente, non si lascia troppo spago alla difesa. Gli arbitri hanno l’input chiaro. Qui l’asticella è più alta, certe azioni sono tollerate, la fisicità è molto forte. Noi europei siamo più abituati, non avvertiamo la mancanza degli spazi di cui godono i giocatori Nba. Ma è chiaro che questo incida».

    Cosa ha pensato ascoltando Giannis Antetokounmpo opporsi all’idea del fallimento sportivo?
    «Mi dà pena che ci siano stati commenti del tipo “però guadagna milioni”. Sono parole ignoranti, di gente che ignora quale di competitor sia lui e quale dedizione e leadership metta. A partire dalla scelta di rimanere a Milwaukee e non andare in un mercato più ricco. È il frutto della subcultura che regna in molte fasce della popolazione e dell’informazione, soprattutto nel sud Europa e che ormai siamo aiutati a razionalizzare, quando invece dovremmo restarne fuori. La cultura sportiva di un Paese non si cambia da oggi a domani o perché due sanno parlare, comincia dal far crescere i bambini in maniera sana, anche nello sport».

    Un commento sulla rissa di Eurolega tra Real e Partizan.
    «Credo che occorra distinguere un po’ tra la reazione di Punter su un fallo duro, ma entro i limiti del botta e risposta campo. Mi spiego: Punter provoca con i palleggini e tutti sanno che dia fastidio a risultato acquisito, Llull risponde come non dovrebbe. Però mi piace si siano spiegati con messaggi social distensivi. Quanto è successo dopo è inqualificabile. Ci sono tensioni molto grosse, è qualunquistico dire che se uno guadagna dovrebbe sapersi comportare, salute e condizione mentale non dipendono da quello, lo dimostra che ci siano miliardari in depressione, o uomini molti ricchi che si sono suicidati. Chiaro, i campioni devono imparare a essere responsabili per il ruolo pubblico. Altrettanto chiaro che un’azione come quella di Yabusele a livello inferiore di Lessort non possono essere giustificate, neanche se si gioca in promozione».

    Chiudiamo con la Virtus. A che punto siete? E cercherete un lungo?
    «Il problema sotto canestro rimarrà, non sarà incorporato nessun giocatore in maniera definitiva. Io penso ci sia una generale soddisfazione, siamo in Italia la squadra n. 2, abbiamo fatto 3 competizioni: primi in Supecoppa, secondi in Coppa italia e nel peggiore dei casi in A finiremo nella nostra posizione di riferimento. In Europa, sommando lo scotto del debutto e la falcidia degli infortuni che ha avuto uguali solo in Milano, siamo rimasti in gioco fino a 3-4 giornate dalla fine nell’Eurolega più competitiva ed equilibrata di sempre. In campionato vorremmo mantenere il 1° posto, garantisce un fattore campo che magari per una volta può contare e qualifica il lavoro di 7 mesi. Poi nei playoff si tratta di fare bene per un mese. E lì vorremo giocarcela fino in fondo». LEGGI TUTTO

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    Nba, Philadelphia a un passo dalle semifinali di Conference

    NEWS YORK (Stati Uniti) – Nella notte italiana si sono disputate tre partite dei play off del campionato di basket Nba. I Brooklyn Nets sono stati battuti dai Philadelphia 76ers per 97-102. Grazie a questo successo, Philadelphia si porta sul tre a zero per quanto riguarda la serie, ed è a una sola vittoria dall’accesso alle semifinali di Conference. I Golden State Warriors battono nettamente i Sacramento Kings per 114-97: grazie a questo successo, i Warriors limitano il passivo della serie che vede gli avversari in vantaggio per due a uno. LEGGI TUTTO

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    Petrucci: “Il primo dispiaciuto per Varese”

    “Io sono sempre dispiaciuto quando si colpisce una società. Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza, vedremo i ricorsi. Da sportivo sarei il primo contento se Varese presentasse prove tali da determinare un’altra riso- luzione. Su Eurobasket non posso entrare nel merito”.
    Cambiare regole? Chiedere più garanzie depositate in estate tali da coprire simili casi?
    “Ogni volta che una società ha guai si chiedono cambiamenti. Abbiamo lavorato con Legabasket sulla strutturazione degli obblighi cui devono ottemperare i club. Purtroppo queste cose, come i fallimenti dei club, capitano anche fuori dallo sport”.
    La riforma dei campionati non sembra sufficiente.
    “La riforma dei campionati e l’abolizione dell’obbligo di avere Under è stata voluta dal mondo del basket. E su questi temi devono decidere i tecnici esperti, come Trainotti. Poi molto sta per cambiare, entrerà in vigore la legge sul lavoro sportivo. Ribadisco, è sacrosanta, ma abbiamo chiesto anche per iscritto chiarimenti sull’attuazione senza ottenere risposta. Viviamo un momento di confusione, tra Coni e Sport e Salute siamo in mezzo a un limbo in presenza di doppioni. In passato c’era un’organizzazione di riferimento. Ora non si sa nulla, siamo in attesa del Decreto, che tarda. Non voglio dare colpe ad Abodi, professionista di esperienza, serio, lo conosco da una vita. Però la chiarezza è necessaria”.
    Candidatura e stagione in corso
    Lei conferma di non volersi ricandidare quand’anche cambiasse la norma sui mandati?
    “Sì, ho anche altre offerte, è bello quando uno può scegliere ancora, poi penso di aver dato quanto potevo con la mia esperienza e le mie capacità. Però, a tal proposito non capisco tutta questa antipatia nei confronti dei presidenti federali, dirigenti con provate capacità. E comunque capirei se fossero applicate le stesse regole a chi fa le norme”.
    Il basket era il secondo sport nazionale, ora per tesserati è stato superato da altre discipline.
    “Il basket è popolarissimo. Eppoi dipende da come sono fatti i tesseramenti, con quali regole. Stiamo recuperando tesserati dopo la pandemia che ha limitato molto gli sport di squadra e al coperto”.
    Vi attende una stagione chiave, con Europeo femminile, Mondiale maschile, 3×3 e la candidatura a ospitare un Preolimpico.
    “La Nazionale è l’aspetto più importante per ogni sport. Partecipare alle Olimpiadi è il sogno e l’obiettivo. Ma conosciamo anche le difficoltà di uno sport planetario, in cui si parte sempre dalla medaglia d’argento con gli Usa. Abbiamo ottenuto grandi risultati, di recente. All’Europeo femminile presenteremo una squadra in crescita che ha possibilità tecniche e agonistiche. Sul movimento femminile stiamo investendo parecchio e ci sono segnali di risveglio. Importanti sono anche le sezioni femminili dei club più importanti. Per la Nazionale maschile Pozzecco avrà problemi di scelte, causa abbondanza. E ne sono felice”.
    Dai veterani ai giovani
    Torneranno i veterani come Belinelli e Hackett?
    “Abbiamo tanti giovani straordinari che premono, cito per esempio Spagnolo. Fontecchio ha dimostrato di valere la Nba. Seguiamo il recupero di Gallinari. Se mi chiede di Banchero le rispondo come sempre: sceglierà a stagione Nba finita. Noi tifiamo per lui, ma non ci fermiamo. Il lavoro di scouting continua. Ora tutti i giocatori vogliono venire con Pozzecco. Il ct ha un impatto straordinario e lo dimostrano le richieste che riceve dall’estero. La possibilità di part time concessa in febbraio resta valida, che vada all’estero o in Italia”.
    Non ci ha detto del 3×3, le qualificazioni a Roma.
    “Organizzare un Preolimpico ha un costo importante. Avevamo ricevuto promesse dal Ministro Abodi per una certa cifra: poi è stata ridotta e a queste condizioni ho ritirato la candidatura. Peccato, sarebbe stato un torneo e una vetrina fantastica, al Foro Italico”.
    Le coppe e i calendari.
    “L’unica verità condivisa da tutti è che si gioca troppo. E ridurre i tornei nazionali per me è una bestemmia. L’Eurolega è l’unico campionato europeo di club. Nemmeno il calcio lo ha. E comunque le coppe non dimostrano il valore di un movimento, perché nei club giocano gli stranieri. Tanti”.
    Al basket mancano giovani personaggi. Come Paltrinieri, Sinner, per dire.
    “Abbiamo giovani che possono essere personaggi. Bisogna avere il coraggio di metterli in vetrina come io, da presidente del Coni, feci con Carlton Myers. E prima di tutto, contano i risultati. I Paltrinieri, Sinner, Jacobs, vincono”. LEGGI TUTTO