More stories

  • in

    Gaudenzi parla a Torino: “Masters 1000 lunghi? Non esiste un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro”

    Andrea Gaudenzi, Presidente ATP, a Torino (foro Brigitte Grassotti)

    Il Presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi ha tenuto una lunga ed interessante press conference alle ATP Finals di Torino. Sono stati affrontati molti temi, in particolare quelli più “spinosi”: calendario, Masters 1000 allungati, futuro dei tornei 250, il difficile equilibrio tra impegni dei giocatori, compensi e riposo. Ha parlato davvero molto… dando risposte dettagliate che non sono novità per chi è addentro alle questioni e segue il tennis tutti i giorni, ma assai risolutive per coloro che invece sono poco avvezzi alla politica sportiva e ai suoi risvolti economici. Per questo riportiamo quasi integramente le risposte di Gaudenzi, in modo che gli appassionati possano farsi una idea dello status quo e anche delle richieste e lamentele dei giocatori. È indubbio che Andrea parli da ex giocatore ma soprattutto da manager; il suo è stato un intervento puntuale, equilibrato, con dettagli, e nel quale ha ribadito il suo concetto di fondo: per migliorare la situazione attuale sarebbe necessaria una governance più unitaria, ma riuscire ad accontentare tutti è quasi impossibile perché le esigenze sono molto diverse. Gaudenzi ha anche sottolineato come prima di cambiare qualcosa è indispensabile tastare il polso del pubblico: alla fine lo scopo del tutto è avere seguito e appassionare la gente, “fare un cambiamento perché piace a me o a qualcuno non funziona…” ha detto a fine press conference, a microfoni spenti. Per venire incontro alle richieste dei top players, che non amano i M1000 su 12 giorni, si sta anche valutando i dare due “bye” alle primissime teste di serie, in modo da consentire loro di giocare di fatto una sola settimana. È una delle tante cose di cui si parla, ma ancora si è lontani da qualsiasi decisione in merito. Queste le risposte di Gaudenzi.

    “Finals 2026? Direi che è un’edizione davvero straordinaria. Abbiamo iniziato in pieno periodo COVID, e non è stato facile, ma di anno in anno l’evento è cresciuto e migliorato costantemente. Complimenti alla FITP, che ha fatto un lavoro eccezionale. Dopo Londra c’era un po’ di apprensione, perché Londra era stata un’edizione fantastica. Credo che siamo riusciti a mantenere quel livello e persino a superare le aspettative iniziali. Quest’anno, poi, è particolarmente emozionante perché c’è in palio anche il numero 1 del mondo. Potrebbe decidersi oggi, oppure no, ma è davvero entusiasmante vedere i migliori giocatori del pianeta lottare per chiudere la stagione al vertice. È la situazione ideale: uno spettacolo eccezionale per il pubblico e per tutti gli appassionati che seguono il gran finale”.
    Si è parlato molto del calendario ATP e del contenuto della stagione, in particolare del futuro dei tornei di livello inferiore, come i Challenger o gli ATP 250. Qual è, secondo te, il futuro della categoria 250, considerando anche la cancellazione delle settimane di Metz e Atene?“Questa risposta potrebbe durare un’ora, ma cercherò di essere sintetico (sorride). Parto da una considerazione ovvia, anche se spesso la dimentichiamo: il tennis è uno sport estremamente difficile da pianificare, probabilmente il più difficile, per una ragione semplice — è a eliminazione diretta. Pensate a un torneo dello Slam o a un evento da 12 giorni: un giocatore può giocare una sola partita o arrivare a sette in meno di due settimane. In altri sport, come il golf, i primi 60 giocatori disputano sempre 72 buche in quattro giorni. Nel tennis, invece, hai un insieme di giocatori — diciamo i primi 100 — in cui si va dai top come Carlos e Jannik, che giocano circa 80 partite in 18-20 tornei, fino a quelli più indietro in classifica, che disputano 30-35 tornei ma molte meno partite. In teoria esiste un solo calendario, ma in realtà ne abbiamo quattro o cinque diversi dentro lo stesso anno. Io ero uno di quei giocatori che per lo più perdevano al primo o al secondo turno (sorride), e bisogna ricordare che metà dei giocatori escono al primo turno e il 75% entro il secondo. Per la maggior parte, un torneo dura due o quattro giorni; per altri, invece, molto di più. Questo rende bene l’idea della complessità.
    Ci sono giocatori che si lamentano perché si gioca troppo, altri che vorrebbero più tornei perché hanno bisogno di partite. Ed è proprio per questo che esistono i diversi livelli: Slam, Masters 1000, 500 e 250. Cerchiamo di trovare un equilibrio che funzioni per tutte le fasce di giocatori, inclusi i Challenger, che restano fondamentali per la crescita dei futuri campioni. Venendo alla tua domanda sui 250, negli ultimi anni la nostra strategia è stata quella di ridurne il numero: siamo passati da 38 a circa 29 (non ricordo esattamente la cifra). L’obiettivo, guardando al 2028, quando entrerà nel calendario il nuovo Masters in Arabia Saudita, è continuare a ridurre ulteriormente il numero di 250. I tornei 250 restano molto importanti, così come i Challenger e i 500 — ogni categoria ha il suo ruolo — ma ne avevamo semplicemente troppi, e il calendario diventava ingestibile. Ci sono due problemi: l’anno ha 52 settimane, e questo non lo cambiamo; inoltre i giocatori hanno bisogno di una vera off-season, di un periodo di pausa più lungo. Ora è troppo breve: serve tempo per staccare, rigenerarsi, allenarsi e poi ripartire con la stagione australiana. A complicare le cose c’è il fatto che nel tennis abbiamo sette entità coinvolte: i quattro Slam, ciascuno con la propria autonomia e date, l’ITF con la Coppa Davis (che negli ultimi anni ha cambiato spesso formato), e poi ATP e WTA.
    Dal punto di vista dei giocatori capisco bene le difficoltà: devono convivere con decisioni prese da sette “board” diversi. Ed è proprio per questo che nel mio piano One Vision propongo di unificare la governance del tennis: avere un’unica direzione, un unico tavolo decisionale, per costruire un calendario più armonico e sostenibile. La nostra strategia principale rimane quella di valorizzare il prodotto “premium”, cioè i Masters 1000. Il motivo è semplice: dobbiamo offrire ai fan il miglior spettacolo possibile, e questo avviene quando i migliori giocatori si affrontano nei migliori tornei. Quei momenti — gli Slam, i Masters e le Finals — sono il cuore della stagione. I tornei 500 e 250 restano cruciali per i giocatori che escono presto dagli eventi maggiori e hanno bisogno di giocare, di mantenere ritmo e forma. È una situazione complessa. Capisco, ad esempio, che per giocatori come Carlos o Jannik, che arrivano in fondo praticamente a ogni Slam e Masters, sia difficile completare un calendario pieno. Un’altra complicazione è che il nostro sistema è aperto: i giocatori sono professionisti indipendenti. Noi possiamo definire il calendario, ma sono loro a scegliere dove giocare. Possono preferire un 250 a un 500, o un 500 a un Masters. Abbiamo regole e incentivi legati al ranking per orientare le scelte, ma alla fine la decisione spetta a loro. E spesso — attratti da ingaggi — giocano anche tornei di categoria inferiore o esibizioni fuori dal circuito. È un problema complesso, senza una soluzione unica valida per tutti. Ma sono convinto che, se tutti — Slam, ATP, WTA, ITF — si sedessero allo stesso tavolo, con un’unica governance e un’unica visione, potremmo davvero fare un lavoro migliore di quello che stiamo facendo oggi. Mi fermo qui, perché so di aver già parlato tanto (sorride).
    Quando eri un giocatore, dicevi che ti fermavi spesso al primo, secondo, magari terzo turno. Se fossi ancora un giocatore oggi, come vedresti la riduzione del numero dei tornei 250, che renderebbe un po’ più difficile per te scalare i livelli e arrivare ai 500 o ai 1000? La seconda parte riguarda i tornei stessi: da quanto capisco, non sono entusiasti di dover disputare le finali a metà settimana, preferendo invece concludere al sabato o alla domenica. E infine, i giocatori continuano a lamentarsi dei Masters 1000 estesi a dodici giorni. Jack Draper ha contattato tutti i top 20, e non mi pare che la risposta sia stata molto positiva su questo formato.
    “Ci sono molti spunti nella tua domanda. Cercherò di rispondere punto per punto. Il primo riguarda i tornei 250, che ovviamente sono in contraddizione con l’espansione dei Masters. Se allarghi i Masters, non puoi contemporaneamente aumentare i 250. Devi fare una scelta. Durante la mia carriera mi sono sempre considerato un giocatore medio. Non ero tra quelli che arrivavano in fondo ai Masters o agli Slam. Sono stato per la maggior parte del tempo tra il numero 20 e il 50 del mondo, talvolta più in basso. Devo dire che ero piuttosto frustrato dal fatto che, anche quando ero intorno al numero 50 o 55 del ranking, potevo entrare nel tabellone principale solo di due Masters. Negli Slam sì, ma nei Masters dell’epoca solo Indian Wells e Miami avevano il formato attuale. Di fatto, da numero 50 del mondo, non potevi accedere a Monte Carlo, Roma, Madrid e agli altri tornei “premium”. Mi chiedevo: “Se posso entrare nel main draw di uno Slam, perché non posso farlo anche in un Masters?” Il campo di partecipazione era troppo ristretto. Ecco perché ritengo fondamentale l’ampliamento del tabellone a 96 giocatori. In questo modo i top 100 hanno la possibilità di giocare il main draw non solo negli Slam, ma anche in gran parte dei Masters — almeno sette su nove (le eccezioni restano Parigi, Monte Carlo e il futuro Masters in Arabia Saudita). Per quanto riguarda i 250, ammetto che ho commesso molti errori nella mia carriera. Spesso ho giocato tornei 250 sulla terra in Europa la settimana prima dello US Open — come Umago, San Marino e altri — semplicemente perché erano lì nel calendario. Ma col senno di poi, era una scelta sbagliata: se vuoi rendere sul cemento a New York, devi giocare sul cemento in America prima. Con il tempo ho capito che la programmazione è responsabilità del giocatore. Serve disciplina. Alcuni colleghi gestivano il proprio calendario in modo intelligente, senza farsi attirare troppo da “garanzie” (ossia degli ingaggi a parte per giocare, ndr). All’epoca, nei tornei minori, le “garanzie” erano frequenti. Io giocavo spesso in doppio con Thomas Muster, che le aveva sempre, e quindi finivo per seguirlo, anche senza avere un mio compenso (sorride). Ma non credo che un giocatore debba scegliere i tornei in base al denaro garantito. Bisogna giocare per i punti e per i titoli, soprattutto se sei tra i primi 50 o 100 del mondo. Il tennis, però, è un sistema aperto, con mille tentazioni. Ci vuole autocontrollo e consapevolezza delle proprie priorità.
    Tornando al numero dei 250: non sarà un problema, perché il nostro piano prevede settimane dedicate per ciascuna categoria. Avremo quattro Slam, dieci Masters, sedici 500 (quindi otto settimane con due tornei in parallelo) e dieci settimane di 250. In totale, 32 settimane di tornei di primo livello. Questo schema copre tutte le fasce della top 100. I migliori giocheranno principalmente Slam, Masters e pochi 500. Quelli di medio ranking parteciperanno a più 500 e 250. E i giocatori più indietro avranno spazio tra 250 e Challenger. È una piramide naturale. Se sei in alto, non dovresti “scendere di categoria”. Un giocatore come Sinner o Alcaraz non ha motivo di giocare i 250: il loro livello è superiore, e il focus dev’essere su Slam e Masters. In nessun altro sport un pilota di Formula 1 può partecipare a una gara di Formula 2: si protegge il valore del top level.
    Per quanto riguarda l’espansione dei Masters a 12 giorni, non ho inventato nulla. Indian Wells e Miami esistono in quel formato da 35 anni. Analizzando i dati, era evidente che questi tornei sovraperformavano tutti gli altri. E anche gli Slam, perché sono così forti? Per due motivi: infrastrutture eccezionali e una storia e un brand consolidati. Hanno stadi enormi e durano, di fatto, tre settimane (qualificazioni incluse).Il tennis è uno sport fortemente dipendente dal ticketing: gli incassi dai biglietti rappresentano oltre il 50-60% dei ricavi, mentre in altri sport il grosso arriva dai diritti media (60-70%). Per varie ragioni — tra cui la frammentazione che citavo prima — i biglietti sono la nostra principale fonte di reddito. Aumentare i giorni di torneo significa più pubblico e più ricavi. Già nel 2025, terzo anno del piano ma primo con i Masters estesi (inclusi Canada e Cincinnati), i risultati economici sono evidenti. I ricavi stanno crescendo sensibilmente. Nel 2024, grazie al nuovo modello, abbiamo distribuito quasi 20 milioni di dollari in profit sharing ai giocatori — contro i 6 milioni dell’anno precedente. È un aumento del 25% rispetto al montepremi base. In totale, i profitti dei Masters si aggirano sui 110 milioni. In pratica: il sistema funziona. È sostenibile e redistribuisce valore non solo ai top player, ma a tutto l’ecosistema, inclusi i giocatori tra il numero 100 e 150 del mondo. So bene che il formato dei 12 giorni non piace a tutti, soprattutto ai top player. Sono loro a restare più a lungo nel torneo e quindi a sentire il peso maggiore. Per gli altri, che escono prima, cambia poco. Forse serve qualche anno in più per stabilizzarsi o, in alternativa, una migliore redistribuzione economica per compensare chi genera più valore. È un tema di equilibrio economico: alcuni giocatori confrontano i guadagni di un’esibizione di un giorno con quelli di un Masters su 12 giorni. Capisco il ragionamento. Detto questo, non credo che esista un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro. Va ricordato che i 12 giorni sono stati possibili solo grazie a un accordo che finalmente ha reso trasparenti i conti dei tornei ai giocatori. Per 35 anni i tennisti non avevano accesso ai dati economici dei tornei. Ora sì: i libri contabili sono aperti e i giocatori sono veri partner economici.Inoltre, con la nuova aggregazione dei diritti media, tutto il sistema ne beneficerà nel medio-lungo periodo. Chiedo solo un po’ di pazienza: i risultati arriveranno. E anche una gestione più equilibrata del proprio calendario: se un giocatore toglie qualche settimana di esibizioni o tornei minori, il nuovo sistema non diventa un peso, ma un vantaggio.
    Le finali infrasettimanali? È una questione complessa. Penso tu ti riferisca soprattutto a Cincinnati e al Canada, giusto? Anche alla Cina, sì, non Shanghai, ma sì, Pechino e Tokyo. Per Cincinnati abbiamo deciso di tornare nel 2026 alla finale di domenica. In Canada, invece, lo spazio tra Wimbledon e lo US Open è così stretto che non c’era alternativa: comprimendo il calendario in tre settimane, la finale finisce inevitabilmente di mercoledì. Non è ideale, lo riconosco. Detto questo, anche in altri sport il “sacro Graal” della finale domenicale non è più una regola assoluta. Il calcio gioca spesso al lunedì sera, la NFL al giovedì, la Champions League al mercoledì. Viviamo in un mondo più flessibile, anche dal punto di vista lavorativo e delle abitudini del pubblico. Credo che in futuro ci sarà più libertà anche nel modo di programmare gli eventi sportivi. Quando pianifichiamo il calendario, dobbiamo pensare anche ai tifosi e alla concorrenza: se la nostra finale coincide con un Gran Premio di Formula 1, forse non è la scelta migliore. È una questione di strategia, di pubblico globale e di fusi orari: quello che funziona negli Stati Uniti può non funzionare in Europa. La programmazione è un puzzle complicatissimo. Ma il principio deve essere uno: mente aperta e capacità di adattarsi. Ad esempio, ora che Cincinnati passerà alla finale domenicale, vedremo la differenza in termini di pubblico, ascolti e coinvolgimento. E poi decideremo di conseguenza.
    C’è qualche indicazione sul fatto che il torneo resterà a Torino fino al 2030?“Non ancora. Non abbiamo ancora deciso nulla oltre al prossimo anno. È una conversazione che dovremo avere con la FITP, probabilmente all’inizio del prossimo anno. Sì, per ora non c’è nessuna decisione definitiva. Siamo davvero felici qui, questo è ovviamente un elemento importante da considerare. Ma non abbiamo ancora preso una decisione finale. Ci siamo accordati per sederci e discutere la questione dopo questo evento, e affrontarla seriamente a inizio del prossimo anno. Il 2026 è già stato annunciato: sarà ancora a Torino. Stiamo parlando del 2027, 2028, 2029 e 2030.
    Ha in mente un numero ideale di settimane per la off-season? Se ne parla da tanto. Qual è, secondo lei, la durata giusta perché un giocatore possa staccare la racchetta, stare con la famiglia, gli amici, prendersi una pausa? Sei settimane? Un mese?
    È una bella domanda. Mentre rispondo, cercherò anche di spiegare un po’ la complessità del calendario. Non credo ci sia un numero esatto. Alcuni giocatori dicono sei, altri sette, altri otto settimane. Sicuramente un giocatore ha bisogno di una o due settimane di completo riposo, poi una o due settimane per lavorare sul fisico — atletica, palestra — e solo dopo ricominciare a toccare la racchetta. Di certo deve essere più lunga di quanto non sia oggi. Poi la domanda è: per chi? Ai miei tempi, ad esempio, io finivo sostanzialmente a Parigi. Perdevo al primo turno indoor, era tutto molto rapido (sorride). Ho giocato la finale di Coppa Davis una sola volta in carriera: quella è stata l’unica volta in cui ho dovuto aspettare. Altrimenti, giocatori come me erano già in vacanza. Ovviamente ci sono i top player, gli otto qualificati alle Finals, che devono restare in attività più a lungo. Ora con il nuovo formato di Coppa Davis, anche chi perde a Parigi deve aspettare per le Finals e poi ancora per quell’evento. Ho introdotto un concetto di cui ho già parlato: amo profondamente la Coppa Davis. È un evento straordinario. Probabilmente lì ho giocato le migliori partite della mia carriera. È un asset incredibile per il tennis e dovremmo tutti lavorare insieme per farne la vera Coppa del Mondo del tennis. Secondo me, il formato ideale è quello con le sfide in casa e in trasferta. L’atmosfera è unica. Ho giocato una finale a Milano — probabilmente il ricordo più bello della mia carriera — e tante altre in diverse sedi. Vai in paesi dove il circuito non arriva mai. Ho giocato i quarti contro gli Stati Uniti, Agassi e Sampras, a Palermo. Abbiamo giocato a Firenze contro lo Zimbabwe. Le federazioni hanno la possibilità di portare il tennis in città che non l’hanno mai visto. Anche senza i top player, riempi comunque lo stadio e crei un’atmosfera incredibile. Quella, per me, è l’essenza del nostro sport. Il problema, allora, era che si giocava ogni anno e su superfici diverse. Ricordo una Davis contro la Repubblica Ceca a Napoli, su terra: vincemmo, e il martedì successivo ero a Dubai sul cemento. Passare da terra a cemento in due giorni, volare, e poi giocare: non so come, ma quell’anno arrivai in finale a Dubai. È molto impegnativo. Nel mondo ideale, la Davis dovrebbe mantenere il formato casa/trasferta ma disputarsi ogni due anni. Non esiste, che io sappia, una Coppa del Mondo che si giochi ogni anno. Sarebbe meglio per il prodotto, e alleggerirebbe il calendario.
    Infine, c’è il tema del gap tra Parigi e le Finals. Ed è lì che entra in gioco l’inizio di stagione. Correggetemi se sbaglio, ma credo che Novak abbia vinto sette volte l’Australian Open senza giocare tornei di preparazione. Jannik lo ha vinto senza giocare nulla prima. Per quei giocatori, a quel livello, si possono “guadagnare” un paio di settimane in più a gennaio. Torno al concetto di flessibilità: il giocatore può costruirsi il proprio equilibrio nel calendario. Non sei obbligato a giocare le prime settimane se non vuoi. Se vai troppo in fondo ai tornei, devi fermarti. Per questo stiamo pensando al 2028 tenendo tutto ciò in considerazione. Credo che i giocatori abbiano bisogno di almeno sette settimane di off-season.
    Chiedono a Gaudenzi che ne pensa delle rivendicazioni firmate dai migliori giocatori agli Slam, per condizioni migliori. Se influenza il rapporto tra ATP e il resto dell’ecosistema tennistico.In generale, torno a parlare di One Vision, il piano che ho presentato nel 2020, quando ho iniziato. Ci sono inevitabilmente delle criticità nel nostro sistema, dovute alla storia e al fatto che abbiamo quattro Slam indipendenti, oltre ad ATP, WTA e ITF. Gli Slam, e voglio sottolinearlo con forza, sono i migliori tornei del nostro sport. Sono un patrimonio straordinario. Rappresentano la vetrina perfetta per il tennis. Li ringrazio enormemente per quello che hanno fatto e continuano a fare. Da giocatore, cresci sognando di partecipare a uno Slam. I due grandi obiettivi sono diventare n.1 e vincere uno Slam — tutto il resto viene dopo. Sono fondamentali. Tuttavia, dal punto di vista dei giocatori, agli Slam manca rappresentanza diretta. Nell’ATP, il 50% della governance è composta da giocatori. Ogni decisione passa attraverso il board dei giocatori, che viene eletto dal Players Council, formato da 10 giocatori che rappresentano il gruppo più ampio. È un sistema molto democratico.Con gli Slam, invece, parliamo di entità indipendenti. Da un lato è un vantaggio, perché possono muoversi più liberamente; dall’altro, dal punto di vista dei giocatori, manca una voce diretta. Si chiedono: “E la nostra rappresentanza? E la compensazione economica?”. Noi, in ATP, abbiamo una formula trasparente: più valore generi, più valore ottieni. Gli Slam pagano premi altissimi e generano enormi ricavi, e i giocatori chiedono solo una rappresentanza equa e una remunerazione equa. Magari i livelli attuali sono già corretti, ma vogliono sentirsi ascoltati. È una richiesta legittima. L’obiettivo di One Vision è proprio questo: riunire tutti allo stesso tavolo — giocatori, uomini e donne, Slam, Masters, 500 e 250 — perché parliamo allo stesso pubblico, gli appassionati, che seguono l’intera stagione. L’ho detto più volte: oggi è come scrivere un libro in cui ogni capitolo è scritto da un autore diverso e venduto in una libreria diversa. Non è il modo ottimale per raccontare il nostro sport”.
    Una domanda anche sulla nuova legge dello sport (del Governo Meloni) potenzialmente può creare problemi per quando riguarda l’organizzazione delle Finals, visto che prevede l’intervento diretto dello Stato, mentre ATP ha firmato un contratto con FITP. Così Gaudenzi: “Abbiamo un contratto con la FITP, c’è un ottimo rapporto e vogliamo continuare con loro. Se dal governo emergono novità e non sono più in condizioni di rispettare il contratto, allora ci potrebbero essere problemi. Ritengo questo, relativamente all’ingresso del governo: bene se volete essere coinvolti nello sport per aiutare a livello di strutture. Il tennis richiede un investimento enorme a livello di impianti che vengono usati poche settimane all’anno. In Arabia Saudita ci sarà un investimento di 2 miliardi per la creazione del nuovo Masters, quindi se non c’è un intervento del governo questo non è sostenibile. In Australia è stato decisivo l’intervento del governo di Victoria per creare tre stadi coperti e oggi l’impianto di Melbourne è eccezionale. Non vogliamo portare l’evento all’estero, siamo felicissimi qua, ma se FITP non riesce a rispettare le clausole allora dovremo sederci al tavolo”.
    Da Torino, Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Gaudenzi: “Finals a Torino ottime, ma l’Italia rischia di perderle, le guerre di potere sono dannose. Un tennista rappresenta il proprio Paese anche quando gioca un torneo individuale”

    Andrea Gaudenzi, Presidente ATP

    L’Italia rischia seriamente di perdere le ATP Finals per la nuova legge del Governo Meloni che prevede l’ingresso statale nella gestione dell’evento. A dirlo è Andrea Gaudenzi, Presidente dell’ATP, in un’intervista concessa a La Stampa, nella quale viene tracciato un bilancio eccellente delle Finals a Torino, dove “si respira tennis ovunque”, ma allo stesso si mette in guardia da una lotta di potere che non porterebbe che brutte conseguenze. Gaudenzi ha affrontato anche altri temi, come il nuovo Masters 1000 in Arabia Saudita e le lamentele dei giocatori. Riportiamo i passaggi più salienti dell’interessante intervista.
    “Il giudizio globale delle ATP Finals a Torino è molto alto” afferma Gaudenzi, “non dimentichiamo che siamo partiti con il Covid: alla tensione per la scelta si aggiungeva quella legata alla pandemia. Da allora, però, è stato tutto un crescendo. Un voto? No, sarebbe riduttivo. Il valore aggiunto di Torino? Il modo in cui l’evento viene vissuto in città. Si respira tennis ovunque. E non lo dico solo io che di edizioni ne ho vissute molte meno di 55″.
    Questo il passaggio più importante dell’intervista. L’ATP ha confermato l’evento in Italia per altre 5 edizioni, ma è arrivata la sgradita novità della nuova legge dello sport secondo la quale il governo entrerà nella gestione delle Finals. Un partner che l’ATP non gradisce: “Noi abbiamo firmato un contratto con un soggetto privato che è la Federazione italiana tennis e padel. E abbiamo confermato le Finals per le conoscenze e competenze organizzative della federazione. Vogliamo continuare a fidarci ed affidarci a loro” afferma Gaudenzi. L’Italia quindi è rischio di revoca dell’assegnazione? “Sì, l’Italia potrebbe perdere le Finals” continua il Presidente ATP. “Le guerre di potere sono dannose, credo che il governo farebbe meglio a intervenire sulle infrastrutture degli impianti. Prendiamo il Roland Garros e il Foro Italico: fino a 20 anni fa più o meno gli impianti erano simili. Avete visto come si è trasformata Parigi grazie anche agli interventi statali? Identica cosa ha fatto lo Stato di Victoria a Melbourne per gli Australian Open”.
    La questione è sul tavolo da un po’ di tempo. ATP ha mandato una richiesta di spiegazioni alla FITP, mentre il Presidente Binaghi addirittura ha affermato di essere pronto a dimettersi. Gaudenzi risponde in modo secco: “La nostra posizione è chiara. Lascio a Binaghi il compito di trattare con il governo. Non tocca ad ATP farlo“.
    Altro tema “caldo”: l’annuncio del Masters 1000 in Arabia Saudita dal 2028, dopo l’ingresso del ricchissimo fondo PIF come partner commerciale. “Per il tennis, e non solo, quella è un’area geografica ed economica fondamentale” afferma Gaudenzi, “era giusto far salire a bordo investitori così importanti. Ora si tratterà di ottimizzare i calendari: ovvio che si dovrà giocare prima di marzo, quando cominciano Indian Wells e Miami”.
    Un passaggio è dedicato alle richieste dei giocatori, tra nuove regole contro le condizioni estreme (vedi Shanghai 2025) e i calendari. Ecco le risposte di Gaudenzi, in particolare a Rune, che urlò “l’ATP vuole un morto in campo prima di intervenire?”. “Ha ragione e proprio a Torino discuteremo come inserire dal 2026 gli indici di temperatura e di umidità come già fanno gli Slam e la WTA. Calendari ed esibizioni? Ascolteremo i tennisti, ma ci sono troppe sigle da armonizzare: ATP, gli Slam, la federazione internazionale. I tennisti sono freelance, ma sono disposti a collaborare. Però deve essere chiara una cosa: un Masters 1000 porta benefici economici anche ai tornei minori, le esibizioni che si moltiplicherebbero nelle eventuali finestre del calendario solo ai giocatori“.
    Curiosa la risposta di Gaudenzi in risposta a Zverev, uno dei tennisti che più di frequente si lamenta di palle, campi, ecc… “Il presidente dell’ATP è stato un giocatore che in carriera si è sempre lamentato moltissimo. Delle palle, della superficie, di ogni variabile al mio tennis quindi Zverev mi fa sorridere. Velocizzare la terra battuta e rallentare i campi veloci ha fatto bene al tennis. Prima sembravano sport diversi in base alla superficie. Ora però non esageriamo”.
    Questo parere di Gaudenzi sul no alla Davis di Sinner:  “Comprendo la sua decisione. Troppa retorica sulla maglia azzurra? Intanto un tennista rappresenta il proprio Paese anche quando gioca un torneo individuale. A me piaceva di più la vecchia formula della Davis, con le partite in casa e fuori. E comunque, se deve diventare come una coppa del mondo, allora che prenda almeno una cadenza biennale. Diventerebbe più attrattiva” conclude il Presidente ATP.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Il nuovo Masters 1000 in Arabia Saudita si giocherà a febbraio e non sarà obbligatorio

    Andrea Gaudenzi, Presidente ATP – Foto getty

    Con l’ufficialità dell’introduzione di un nuovo Masters 1000 a partire dal 2028, il mondo del tennis si prepara a una profonda trasformazione. La decisione, frutto dell’accordo tra la ATP e l’Arabia Saudita, rappresenta un punto di svolta nella storia del circuito e apre un dibattito acceso sul destino della “gira sudamericana” di febbraio, tradizionalmente disputata sulla terra battuta.
    Il presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi ha illustrato, in un’intervista a The National News, le linee guida della riforma. L’obiettivo è una ristrutturazione complessiva del calendario, in cui i Masters 1000 assumano un ruolo ancora più centrale. Secondo quanto trapelato, la società Surj Sports, attraverso il fondo sovrano saudita PIF, avrebbe stanziato un ingente investimento destinato alla ricompera delle licenze di tornei ATP 250 e ATP 500, con l’intento di ridurre il numero di eventi minori e fare spazio al nuovo torneo di alto livello.
    Il nuovo Masters 1000 saudita dovrebbe disputarsi su una settimana, con un tabellone da 56 giocatori, e — come Montecarlo — non sarà obbligatorio. Sebbene la data non sia ancora ufficiale, la volontà della ATP è di collocarlo nel mese di febbraio, il che creerebbe un evidente conflitto con la tradizionale leg sudamericana. “La nostra preferenza è che si giochi in febbraio, ma è un mese molto affollato. Ci sono limitazioni e avremo bisogno della collaborazione di Tennis Australia per riuscirci”, ha spiegato Gaudenzi.
    L’idea del presidente è quella di far convivere due circuiti paralleli: una tournée in Medio Oriente, con Doha, Dubai e il nuovo Masters 1000 saudita, e una in Sud America, sulla terra battuta, con Rio de Janeiro e Buenos Aires come tappe principali. Resta incerta la posizione del torneo di Santiago del Cile.
    “Il nostro obiettivo è che in febbraio convivano due giri: uno in Medio Oriente e uno in Sud America”, ha aggiunto Gaudenzi, lasciando intendere che serviranno modifiche anche agli eventi di gennaio, probabilmente anticipando o riducendo la loro durata.
    Tuttavia, questa visione comporta rischi evidenti per i tornei minori. Eventi consolidati come Rotterdam, Montpellier, Dallas, Delray Beach e Acapulco potrebbero essere i principali sacrificati, mentre la presenza di un Masters 1000 in Arabia Saudita renderebbe improbabile la partecipazione dei top player alla “gira sudamericana”, a causa delle differenze di superficie e del montepremi nettamente superiore offerto in Medio Oriente.
    In prospettiva, le settimane di tornei in America Latina rischiano quindi di sopravvivere in una posizione marginale, sostenuta soprattutto da tennisti locali e giocatori fuori dalla top 50 mondiale.
    “Abbiamo bisogno di tempo per studiare il modo migliore di procedere”, ha concluso Gaudenzi, consapevole che la sua riforma segnerà una nuova era per il tennis mondiale — una transizione delicata tra tradizione e modernità, con l’Arabia Saudita sempre più al centro della scena.
    Francesco Paolo Villarico LEGGI TUTTO

  • in

    Gaudenzi: “Il tennis deve unirsi per non rischiare una guerra come nel golf. Dal 2028 probabile Masters 1000 in Arabia Saudita (il decimo)

    Andrea Gaudenzi nella foto – Presidente dell’ATP dal Gennaio 2020

    Andrea Gaudenzi, presidente dell’ATP, ha lanciato un appello all’unità del tennis in un’intervista esclusiva all’AAP durante gli Australian Open, sottolineando la necessità di un organo di controllo centrale mentre lo sport accoglie la crescente influenza saudita.
    “Il tennis deve unirsi”, ha dichiarato Gaudenzi. “Attualmente stiamo duplicando CEO, operazioni e sforzi. Potremmo essere molto più efficienti.” Il presidente ATP stima che i diritti media globali del tennis valgano circa 800 milioni di dollari, una cifra che potrebbe raddoppiare o triplicare nei prossimi 5-10 anni con una gestione più intelligente.
    “Abbiamo un’enorme opportunità perché siamo globali”, ha spiegato. “Abbiamo uomini e donne, e siamo probabilmente uno degli sport femminili più forti. Abbiamo grandi stelle, grandi atleti, grandi tornei, ma siamo decisamente sotto-monetizzati. Al momento rappresentiamo solo l’1,3% del mercato dei media sportivi, che vale circa 60 miliardi di dollari nel 2024.”
    Sulla questione Arabia Saudita, Gaudenzi ha adottato un approccio collaborativo: “Abbiamo gestito molto bene la relazione. Abbiamo fatto l’accordo con le NextGen Finals, PIF è sponsor del nostro ranking, le WTA Finals si giocano in Arabia Saudita. Non è un segreto che stiamo discutendo la possibilità di un decimo Masters 1000 con loro.”
    Il presidente ATP ha confermato che un eventuale Masters 1000 in Arabia Saudita non inizierebbe prima del 2028, ma ha elogiato l’approccio saudita: “Sono sempre venuti da noi con la chiara intenzione di essere una forza positiva, lavorando con l’istituzione e investendo nello sport per aiutare, non per destabilizzare.”
    “Possono creare qualcosa di unico”, ha concluso Gaudenzi. “Hanno le infrastrutture, assumono esperti e trattano molto bene i giocatori. L’ospitalità è stata straordinaria. Personalmente, credo che faranno un ottimo lavoro.”
    Francesco Paolo Villarico LEGGI TUTTO

  • in

    Caso Sinner, il presidente ATP Gaudenzi: “Nessun trattamento di favore. Sopravvivremo anche se Sinner verrà squalificato”

    Andrea Gaudenzi nella foto – Presidente dell’ATP dal Gennaio 2020

    Il presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi ha respinto con fermezza le accuse secondo cui Jannik Sinner avrebbe ricevuto un trattamento preferenziale nel suo caso di doping, dichiarandosi fiducioso che il tennis sopravviverà anche se il numero 1 al mondo dovesse ricevere una lunga sospensione.
    In un’intervista esclusiva con AAP, Gaudenzi ha insistito sul fatto che il caso Sinner è stato gestito “secondo le regole” e che, proprio come Novak Djokovic – che si è lamentato della mancanza di trasparenza verso i giocatori – anche lui non era stato informato prima che scoppiasse la controversia.
    Sinner è arrivato a Melbourne per difendere il suo titolo agli Australian Open con il suo futuro avvolto nell’incertezza, dopo che l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) ha impugnato la decisione per essere risultato positivo due volte a uno steroide anabolizzante lo scorso marzo.
    L’Agenzia Internazionale per l’Integrità del Tennis (ITIA) ha stabilito che Sinner non aveva colpe, accettando la spiegazione del 23enne secondo cui la sostanza proibita sarebbe entrata nel suo sistema involontariamente attraverso un massaggio del suo fisioterapista, che avrebbe utilizzato uno spray contenente lo steroide per trattare un taglio al dito.
    “Credo sinceramente che ci siano state molte informazioni errate su questa vicenda, il che è spiacevole”, ha dichiarato Gaudenzi prima dell’inizio dell’Australian Open di domenica. “Sono sicuro al 100% che non c’è stato alcun trattamento preferenziale.”Il presidente ATP ha anche sottolineato come il caso sia ancora in corso, con la WADA che ha presentato appello, e Sinner potrebbe ancora ricevere una sospensione fino a due anni se riconosciuto colpevole. “È un peccato per lo sport”, ha ammesso Gaudenzi, “ma sopravvivremo. Il tennis è un prodotto molto forte.”
    Gaudenzi ha concluso invitando tutti ad essere pazienti e ad attendere l’esito del procedimento, ricordando come il tennis abbia sempre superato momenti difficili, compreso il ritiro di grandi campioni come Federer, Nadal e prossimamente Djokovic.
    Marco Rossi LEGGI TUTTO

  • in

    Gaudenzi: “Calendario? I giocatori intanto potrebbero giocare meno esibizioni”

    Il campo dell’UTS di Londra

    Il Presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi puntualizza un aspetto importante sull’annoso dibattito del calendario troppo lungo: le tante, anzi crescenti esibizioni disputate da molti tennisti. L’ha fatto nel corso dell’intervista a L’Equipe, della quale abbiamo già riportato il suo pensiero in merito alle palle da gioco, che dal prossimo anno saranno gestite in modo centralizzato per molti eventi consecutivi, e via via sempre di più. Con la speranza di coinvolgere in questo progetto di razionalizzazione anche gli Slam, che sono indipendenti dalla decisioni dell’ATP. Relativamente al fatto che la stagione si troppo lunga, questo il pensiero di Gaudenzi.
    “Il tennis non è come nel calcio o nel basket, dove gli atleti vengono assunti da un club e giocano di conseguenza. I nostri giocatori sono lavoratori indipendenti che possono decidere il proprio programma”.
    “Sì, è vero che la classifica li obbliga a giocare, ma dipende soprattutto dai tornei più importanti, gli Slam, i Masters 1000 e le ATP Finals. Abbiamo deciso di rafforzare i Masters 1000, ma in questo nuovo formato se raggiungi la finale giochi solo una partita in più rispetto a quello precedente”.
    “Inoltre, alcuni giocatori scelgono di fare molte esibizioni fuori dal tour. Questo non si vede in altri sport. La domanda è: vuoi investire nel circuito o fuori dal circuito? Accorciare la stagione? Sì, ma allora bisogna ridurre il numero dei tornei ATP 250. Pertanto i giocatori possono anche decidere di giocare meno esibizioni e decidere di dedicare più tempo al riposo”.
    Un punto di vista che sottolinea aspetti importanti, e che lo stesso Jannik Sinner in una dichiarazione di quest’anno condivide (“Possiamo anche decidere di non giocare”). Sembra difficile che si possa fare un passo indietro sulla quantità di tornei top, e alla fine i tornei 250 sono importantissimi per quell’insieme di ottimi giocatori che non stazionano nei piani alti del ranking, per dar loro la opportunità di giocare, guadagnare punti e salire in classifica. Non sono invece necessarie le molte esibizioni che tanti tennisti disputano, come in questi giorni l’UTS a Londra, quelle negli Stati Uniti (con Alcaraz presente tra gli altri) e quella di Las Vegas appena prima di Indian Wells, la stessa Laver Cup o il ricchissimo Six Kings per citarne solo alcune. Un’esibizione può essere un momento di svago e usata come allenamento, ma è singolare che spesso a criticare la lunghezza dell’annata siano proprio gli stessi tennisti di vertice che affollano il proprio calendario staccando assegni pesanti con varie comparsate molto ben retribuite…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Questione palle, Gaudenzi: “Dal 2025 inizia una gestione centralizzata”. Ma non in tutta l’annata

    Andrea Gaudenzi, presidente ATP

    Dal 2025 l’ATP inizierà a gestire in modo centralizzato le palle utilizzate nei tornei per venire incontro alle ripetute (spesso veementi) lamentele dei giocatori, da tempo assai insoddisfatti della tenuta e qualità complessiva delle sfere da gioco. L’ha affermato il Presidente ATP Andrea Gaudenzi in una chiacchierata col quotidiano francese L’Equipe, nella quale afferma che “abbiamo preso questa decisione l’anno scorso e la applicheremo progressivamente dal 2025. Ad esempio, useremo le stesse da Monte Carlo a Roma”. 
    Tuttavia non sarà una vera e propria rivoluzione, con una sorta di “palla unica” che accompagnerà i tornei da gennaio a novembre, per due motivi. Il primo è che l’ATP non ha alcuna giurisdizione sugli Slam; il secondo è che “i tornei hanno sottoscritto dei contratti con i produttori e bisognerà aspettare che si concludano” afferma Gaudenzi 
    Sasha Zverev recentemente aveva offerto una spiegazione tecnica assai convincente del perché le palle sono così contestate da dopo la Pandemia di Covid-19. In pratica i tennisti hanno notato che le palle perdono più rapidamente la pressione interna, come se agli impatti – decisamente robusti – con le corde diventassero molto rapidamente permeabili all’aria, mentre dovrebbero essere pressurizzate con una ottima tenuta; inoltre il feltro che le ricopre è da tempo di una qualità inferiore rispetto al passato e sempre con gli impatti con le corde tende a perdere consistenza, rendendo la palla più grossa e floscia. Un riscontro empirico rilevato anche da molti osservatori, che avevano fotografato una palla del tutto nuova e poi dopo pochi minuti di gioco, con un’evidente differenza ed un usura quasi immediata.
    Sarà interessante quindi vedere se dall’anno prossimo, progressivamente all’introduzione della stessa palla in più settimane consecutive, i giocatori troveranno benefici sia per la qualità del gioco che per la questione infortuni, parimenti importante. Carreno Busta per esempio ha accusato senza mezzi termini le palle per la ricaduta del grave infortunio subito. Inoltre diventa a questo punto decisivo anche il comportamento degli Slam: Roland Garros, per esempio, sarà diposto ad adottare la stessa palla che i tennisti troveranno nella stagione su terra battuta, per dare continuità al gioco e alle sensazioni dei giocatori?
    È corretto rilevare che da sempre il tennis, nella sua lunga stagione, ha vissuto di palle diverse a seconda dei contesti. Il vero nocciolo del problema quindi, probabilmente, più che in un produttore “unico”, è che le palle abbiano una qualità complessiva superiore, che le renda più vicine a quello che erano in passato. Sempre ci sono stati tennisti che non amavano un certo tipo di palla in relazione al proprio gioco; ma da alcuni anni ormai tutti si lamentano, quindi è sicuramente un problema di fondo sulla qualità dei materiali di produzione, più che la difformità stessa.
    Nell’intervista Gaudenzi ha continuato ad insistere sul tema della governarce e necessità di maggiore integrazione tra le sette grandi realtà che regolano il tennis professionistico, ITF, ATP, WTA e i quattro Slam. “Solo una maggiore integrazione può far perdurare il tennis. Oggi ognuno di questi sette organismi prende decisioni nel proprio interesse il tennis nel suo complesso ne risente. Per questi noi spingiamo per la massima unione”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Gaudenzi pensa al futuro: “Vorrei tornare alle finali Masters 1000 al meglio dei 5 set”

    Andrea Gaudenzi nella foto – Presidente dell’ATP dal Gennaio 2020

    Andrea Gaudenzi, presidente dell’ATP, sta valutando cambiamenti significativi per il tennis del futuro. In un’epoca di transizione dopo l’era di Federer, Nadal, Djokovic e Serena Williams, il dirigente italiano propone di riportare le finali dei Masters 1000 al formato dei cinque set.
    La proposta di Gaudenzi“Ne ho parlato con Roger Federer durante l’ultima Laver Cup. Concordavamo sul fatto che i migliori match della nostra storia si sono sempre giocati al meglio dei cinque set”, ha dichiarato Gaudenzi al giornalista Lorenzo Ercoli. “La possibilità di tornare ai cinque set per le finali Masters 1000 esiste, ma dovrebbe essere una nostra decisione”.Il cambiamento non sarebbe immediato, ma risponde a una preoccupazione precisa: “Non possiamo permettere che tra 30 anni nessuno ricordi le partite più importanti disputate nell’ATP”. Gaudenzi ha evidenziato come il tennis, nonostante il miliardo di spettatori, monetizzi solo l’1,3% nei media.
    La proposta rappresenterebbe un ritorno al passato, considerando che fino al 2008 le finali Masters 1000 si giocavano al meglio dei cinque set. Il cambio fu introdotto per preservare il fisico dei giocatori, specialmente con tornei ravvicinati.Questa iniziativa si aggiunge ad altri cambiamenti già implementati, come l’estensione a due settimane dei Masters 1000, dimostrando la volontà dell’ATP di innovare mantenendo le tradizioni che hanno reso il tennis uno sport unico.
    Francesco Paolo Villarico LEGGI TUTTO