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    Roberto Carretero, ascesa e caduta di un talento

    Roberto Carretero

    Da campione del Roland Garros junior e del Masters Series di Amburgo a telecronista di successo. Ci racconta la sua storia nel libro “El tenis desde dentro. Del vestuario a la cabina: un viaje al corazón del tenis” (Magazzini Salani, 2025)
    Il nome di Roberto Carretero è tornato in prima linea, almeno per gli appassionati italiani, in occasione della recente impresa di Vacherot a Shanghai, vincitore di un Master 1000 come primo torneo in carriera, come qualificato e con il ranking più basso di sempre (204). Fino a quel momento in vetta a questa particolare classifica c’era appunto l’ex giocatore spagnolo, che nel 1996 e come 143 del mondo vinse il Masters Series di Amburgo inanellando, dopo aver superato le qualificazioni, una serie di schiaccianti vittorie (lasciando per strada solo 3 set) contro Jordi Arrese, Malivai Washington, Arnaud Boetsch, Gilbert Schaller, Yevgeny Kafelnikov e, in finale, contro il compatriota e amico Álex Corretja. Un exploit che lasciò perplessi anche i bookmaker più scafati, regalandogli un ranking vicino alla top 50, ma anche un pesantissimo zaino carico di grandi speranze e di enormi pressioni. La sua storia e soprattutto i motivi per i quali le grandi speranze si siano spente proprio sotto il peso delle enormi pressioni, oltre che per le innumerevoli lesioni e la poco accorta gestione della carriera, ce la racconta nel libro uscito proprio in concomitanza della vittoria di Vacherot, una assoluta casualità, per quanto sembri rispondere a una ponderata strategia di marketing.
    In realtà nel “giro” del tennis spagnolo il trionfo di Amburgo fu la cronaca di un expolit annunciato, perché Carretero, Rober per gli amici, classe 1975, era fin da ragazzino considerato un predestinato. Anche se giocò poco perché passò precocemente ai tornei pro, a livello juinor era fortissimo e lo testimoniano la vittoria al Roland Garros 1993 in finale con l’amico e compagno di percorso Albert Costa, che poi si vendicò qualche mese dopo nella finale dell’ Orange Bowl. Ottimo talento, fisico possente, due autentiche querce al posto delle gambe, rovescio a una mano, servizio liftatissimo eseguito con un esasperato “effetto molla” del corpo e, soprattutto, un dritto assolutamente devastante, che risulterebbe competitivo anche nel tennis attuale. Il fisico erculeo di cui era dotato era però estremamente fragile e le lesioni iniziarono a minare il suo percorso, a cominciare da un problema congenito alla spalla, senza dubbio peggiorato dal movimento macchinoso del servizio.
    C’è però un nemico più subdolo delle lesioni: la mente. E Rober in questo senso era, come lui stesso ammette con estrema sincerità, specialmente vulnerabile. Dotato di una forte personalità, molto carismatico, testardo, incline alle distrazioni extrasportive, difficile da gestire sia in campo che fuori… Il tipico cavallo pazzo insomma, che dopo Amburgo non ha saputo -e il suo entourage di allora non l’ha certamente aiutato- a mantenere i piedi per terra e continuare con umiltà il suo percorso di crescita e di consolidamento tennistico ed umano. Racconta che, dopo la finale di Amburgo, approdò a Roma e si trovò uno stuolo di fan e curiosi a seguirlo, dal primo allenamento fino all’esordio, in cui perse per un soffio al tie break del terzo set contro Philippousis. Arrivò a Parigi la settimana dopo come uno dei favoriti, ma inciampò ancora al primo turno, perdendo da Kucera in cinque set. Lui stesso dice che se avesse vinto quei due match, forse le cose sarebbero andate diversamente, invece quei fulmini a ciel sereno innestarono una spirale negativa di delusione, dubbi, sfiducia, aggravata dalla pressione per la gestione economica nonché dalle lesioni, e dalla quale sostanzialmente non riuscì mai ad uscire davvero, imboccando la strada di una carriera breve e in sordina. Vincerà da allora solo un paio di Challenger (Sopot e Wieden nel ’99), dopo i quali si trascinerà ancora con qualche sporadica apparizione, fino al ritiro definivo, nei quarti di finale di un satellite catalano nel 2002. Ma, come racconta lui stesso, prima ancora di esserne del tutto cosciente, partecipò agli ultimi tornei già come ex giocatore e il momento del ritiro ufficiale fu per lui una vera liberazione. “Cuando dejé el tenis -dice nella frase di apertura del libro- no solo se acabaron los sueños, también los problemas. Ahí volví a ser feliz” [Quando lasciai il tennis non terminarono solo i sogni, ma anche i problemi. In quel momento tornai ad essere felice].
     

    La ritrovata felicità gli consente di intraprendere una “seconda vita” ricca di tutte quelle soddisfazioni che, nonostante le aspettative sue ed altrui, non era riuscito a trovare sul campo. Per un periodo si dedica con successo all’organizzazione di eventi, tennistici e non, apre un ristorante e poi, un po’ per caso, viene assunto come telecronista nell’area tennistica della piattaforma TV Movistar+, attività che svolge ormai da una ventina d’anni in tandem con il giornalista José Antonio Mielgo, con un suo stile che lo ha reso noto in Spagna e che, almeno agli inizi, rompeva gli schemi delle più paludate telecronache classiche. I commenti di chi il tennis lo conosce molto bene sono infatti trasmessi con un tono disinvolto, spontaneo, leggermente svaccato, e ti sembra quasi di sentir parlare un amico seduto con te davanti alla Tv con un boccale di birra in mano.
    La seconda parte del libro riporta una serie di interviste, o meglio di chiacchierate a braccio, con la sua spalla televisiva José Antonio Mielgo e con cinque ex giocatori ai quali, per un motivo o per l’altro, è particolarmente legato: Rafa Nadal, che non ha di sicuro bisogno di presentazioni, ammirato sopratutto per la sua straordinaria resilienza; Albert Costa, con cui è cresciuto tennisticamente e che, a differenza di Roberto, ha saputo gestire ottimamente la sua crescita fino a consolidarsi come un grande giocatore, top ten e campione del Roland Garros; Álex Corretja, amico e oggi collega telecronista, sempre ammirato e in qualche modo invidiato per la consistenza, l’ordine e la solidità dimostrati nella sua carriera, tanto da sfiorare la vetta del ranking e trionfare nel Master; Guga Kuerten, ex numero 1 e triplice campione del Roland Garros, che racconta come per i ragazzini sudamericani Costa e Carretero (che chiama affettuosamente “Carreta”) fossero considerati dei veri e propri miti e che il loro esempio contribuì decisamente alla sua crescita come giocatore; e, infine, un altro numero uno e campione Slam, Marat Safin, russo tennisticamente ispanizzato, che ci offre una visione del tennis e della vita di straordinaria e acutissima profondità. Chiude il libro un’ultima intervista a Mariano Montecillas, preparatore fisico che collaborò anche per un periodo con Roberto e che descrive molto bene come il concetto e la pratica della preparazione fisica siamo cambiati negli ultimi trent’anni, con un approccio più professionale e soprattutto individualizzato che consente la prevenzione di lesioni e una longevità sportiva prima impensabile.
    La storia di Roberto Carretero ha non poche affinità con quella di Carlos Cuadrado che abbiamo raccontato recentemente. Entrambi giovani talenti di belle speranze, vincitori del Roland Garros Junior, con due carriere che si spensero progressivamente soprattutto a causa di lesioni che forse la maggiore professionalizzazione attuale a livello di preparazione fisica, prevenzione e trattamento avrebbe potuto controllare e arginare. E anche, in entrambi i casi, la capacità di reinventarsi ottenendo nella seconda tappa della loro vita il successo (e la serenità) che non erano riusciti a trovare sui campi da tennis.
    Paolo Silvestri LEGGI TUTTO

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    Djokovic si racconta: “Mi definirei meticoloso. La mia miglior partita? La finale dell’Australian Open 2019”

    Novak Djokovic

    15-0 è un formato del sito ATP nel quale un tennista risponde a una “raffica” di domande con pensieri brevi, spontanei, sul tennis e non solo. In quel di Atene è stato Noval Djokovic a sottoporsi a questa intervista particolare (Q&A), nella quale si spazia tra la sua lunghissima e fortuna carriera ad aspetti più profondi della sua vita privata. Alcune risposte del serbo sono interessanti, la riportiamo integralmente.

    Qual è una frase che ti guida nella vita?Una delle mie preferite è: “Non esiste l’ascensore per il successo, devi salire le scale.”
    Qual è il miglior regalo che tu abbia mai ricevuto?Un dipinto fatto a mano di me insieme alla mia famiglia. È stato un gesto davvero speciale.
    Qual è un consiglio che daresti a tutti i bambini che inseguono i propri sogni?Prima di tutto, è importante credere nei propri sogni e non lasciare che nessuno te li porti via. I bambini hanno una straordinaria capacità di immaginare, di essere creativi e di vedersi già realizzati — nello sport o in qualsiasi altro ambito della vita. Bisogna semplicemente permettere loro di volare con le proprie ali, senza tarpargliele. Lasciarli essere se stessi, perché l’immaginazione dei bambini è qualcosa di incredibile.
    Qual è la lezione più grande che hai imparato dall’essere padre?La lezione più grande è imparare a essere presente. Non fare multitasking quando sei con i tuoi figli, perché loro richiedono la tua piena attenzione, qualunque cosa tu stia facendo. I bambini ti insegnano questo più di ogni altra cosa: essere nel momento, saper perdonare e andare avanti.
    Qual è il tuo piatto preferito?Dipende dai periodi, ma ho un debole per i dolci… quindi direi una acai bowl.
    Qual è la miglior partita che tu abbia mai giocato?La partita più memorabile a cui abbia partecipato è la finale dell’Australian Open 2012 contro Nadal, la più lunga finale di uno Slam nella storia.E naturalmente la finale di Wimbledon 2019 contro Federer. Ma se parliamo del miglior livello di tennis che io abbia espresso, direi la finale dell’Australian Open 2019, sempre contro Nadal. L’ho battuto in tre set e ho giocato un tennis straordinario.
    Hai passato più settimane da numero 1 al mondo di chiunque altro. Che sensazione si prova a stare in cima?È una sensazione fantastica, ma può anche essere un po’ solitaria. Ti senti come il “bersaglio” di tutti. È il massimo traguardo che si possa raggiungere in qualunque sport. Da bambino sognavo di vincere Wimbledon e diventare numero 1 del mondo, e quando ci arrivi, capisci che restarci è una sfida diversa. Da inseguitore diventi il giocatore da battere. È bellissimo, ma può portare anche un po’ di pressione. Il segreto sta tutto nella mentalità: devi continuare a creare, a migliorare, a inseguire nuovi obiettivi. Se pensi solo “sono il numero 1 e tutti vogliono togliermi il posto”, ti carichi di stress inutile.
    Qual è stata la chiave principale del tuo successo?Dedizione. Passione e dedizione. L’amore per questo sport è ciò che mi spinge a essere così devoto e costante in tutto ciò che faccio.
    Chi è il giocatore più sottovalutato che tu abbia mai affrontato?Wawrinka. Penso sia molto sottovalutato, considerando che ha vinto tre Slam. La gente spesso dimentica quanto ha ottenuto. Ha conquistato più di quanto abbia fatto oltre il 90% dei giocatori nella storia del tennis. Quindi direi lui.
    Se potessi allenare il giovane Novak, che consiglio gli daresti?Gli direi di giocare sul lungo periodo, di avere pazienza e fiducia nel processo. E soprattutto di divertirsi lungo il cammino. Bisogna trovare un equilibrio tra la vita privata e quella professionale: lavorare duro, sì, ma senza perdersi nel percorso. Goditi la giovinezza, perché il tempo non torna indietro.
    Se potessi prendere un colpo da un altro giocatore, quale sceglieresti?Il servizio di uno dei “giganti” del circuito: Karlovic, Isner o Opelka. Mi andrebbe bene quello di chiunque superi i due metri!
    Se potessi giocare una partita storica che non fosse una tua, quale sceglieresti?Probabilmente una delle epiche sfide tra Borg e McEnroe. Mi sarebbe piaciuto essere sugli spalti, o magari provare a giocare con una racchetta di legno, giusto per sentire la differenza. Avrei sicuramente faticato a generare topspin, ma amo la storia del tennis e mi affascina vedere come il gioco si sia evoluto, tecnicamente e tecnologicamente, negli ultimi cinquant’anni.
    Hai avuto lunghe rivalità con Federer e Nadal, e ora con Alcaraz e Sinner. Come le confronteresti?Sono rivalità molto diverse. Con Roger e Rafa ho condiviso la maggior parte della mia carriera — oltre 20 anni di battaglie. Con Carlos e Jannik è tutto più recente: abbiamo 15 anni di differenza, quindi le nostre sfide sono solo all’inizio. Ma è bellissimo vedere la nuova rivalità tra Sinner e Alcaraz: stanno giocando partite straordinarie e il tennis ha bisogno proprio di questo.
    Se dovessi descrivere Novak Djokovic con una sola parola?Userei la definizione di Nick Kyrgios: meticoloso.
    Se potessi cambiare un solo risultato nella tua carriera, quale sarebbe?Nessuno. Perché credo che tutto accada per una ragione.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Musetti sceglie Perlas come “super coach”. Funzionerà?

    Lorenzo Musetti (foto Patrick Boren)

    Musetti & Tartarini, più Perlas: funzionerà? Nella off-season il team del top 10 di Carrara si arricchirà dell’esperienza, qualità e carisma del coach spagnolo. Uno che da anni frequenta il tour e dovunque si è fermato ha lasciato il segno. Guidare due talenti così diversi come Moya e Costa a vincere uno Slam, portando il bel Carlos anche al n.1 del ranking (seppur per pochissimo) non da tutti, anzi è roba da pochi eletti. Solo quando conosci alla perfezione le complesse geometrie e “meccaniche divine” che regolano il nostro amato tennis puoi riuscirci, e allo stesso tempo devi riuscire ad entrare nella testa e nel cuore di chi segui, toccando le corde giuste per farti ascoltare. Perlas ha lavorato anche con Fognini per un periodo, e viene spontaneo pensare che la vicinanza tra Lorenzo e Fabio possa aver contato qualcosa nella scelta di Musetti. La voce che ci fosse un nuovo innesto nel team del toscano c’era da tempo, e anche il nome di Perlas era trapelato, in “ballottaggio” con quello di un altro illustre connazionale, ma in questi casi è sempre bene andare coi piedi di piombo e attendere conferme prima di lanciarsi. Ieri la conferma è arrivata e sarà curioso vedere come José si inserirà nel team, quante settimane lavorerà con Musetti e anche come sarà la gestione di questo nuovo “triangolo tennistico”.
    Solo il campo darà il suo responso, vedremo se Lorenzo cambierà passo dal punto di vista mentale dove ancora c’è ampio margine di crescita, soprattutto nella gestione dello stress pre e durante la partita, in modo consentirgli di giocare sempre più libero da tensione e sciolto nelle esecuzioni e scelte, cancellando del tutto quelle fasi di attendismo che ogni tanto tornano a farsi vive e lo zavorrano. Tartarini ha lavorato benissimo nell’ultimo periodo, riuscendo a razionalizzare non poco il gioco di Lorenzo spogliandolo di orpelli tanto belli quanto un po’ barocchi e non efficienti a farlo performare, senza tuttavia impoverire affatto la sua qualità e magia di tocco. Il servizio poi ha cambiato passo e quando funziona a dovere tutto il suo gioco si impenna perché oggi “Muso” entra forte col primo diritto di scambio e comanda, e da lì un bell’andare. Ma c’è ancora enorme spazio per migliorare, nella selezione dei colpi, nell’autostima, nel tenere mentalmente e riuscire farsi scivolare la negatività di quando la giornata non è delle migliori e sente meno la palla. In questo l’esperienza e “durezza” di Perlas potrebbe essere molto importante. Tuttavia c’è un punto di domanda che, appreso il nome di José qualche giorno addietro, mi fa riflettere.
    Perlas è un coach di valore, indiscutibile la sua conoscenza e impatto su ogni giocatore allenato. Ma… è sempre stato qualcosa di diverso dalla canonica figura del super-coach, come è per esempio Cahill per Sinner. Darren, il più grande ammiraglio della storia moderna della disciplina, lo ripete a ogni intervista: l’allenatore è il “Vagno”, è lui che guida gli allenamenti, cura nel dettaglio la parte tecnica, accompagna quotidianamente il lavoro di Jannik; io sono più un gestore, osservo, parlo con Sinner di tennis ma anche di vita, controllo che tutto sia eseguito per il meglio e fornisco un punto di vista diverso. Un lavoro più sull’aspetto umano che tecnico, per elevare al massimo il lavoro di tutti gli altri con la sua enorme esperienza. Un gestore, un direttore d’orchestra sapiente che lascia ad ogni violino la libertà di esprimersi e controlla che sia in sintonia con tutti gli altri per arrivare alle armonie migliori possibili. Perlas finora in carriera è stato tutt’altro: è stato “il” coach. Quello che, di fatto, è sempre stato Tartarini per Musetti. José è un grandissimo allenatore, è uomo di campo, è persona che sa parlare forte e chiaro ed ha idee molto precise del tennis e del gioco. Ha carisma ed esperienza, ma è un coach pieno, fatto e finito, più che una persona che osserva e aggiunge qualcosa al lavoro di tutti gli altri, come è appunto Cahill o è stato Becker per Djokovic, altro esempio lampante e che funzionò benissimo; o anche Ivanisevic sempre per il serbo quando c’era ancora Vajda.
    Il dubbio è che possano crearsi sovrapposizioni di ruoli. La eventuale presenza di voci diverse a guastare la comunicazione al giocatore non sempre è un fattore positivo, perché il tennis è disciplina complessa e gestire un top 10 lo è ancora di più. Eccellente aver un dialogo, un confronto e sottoporre idee, ma il rischio è che possano crearsi malintesi e tensioni, come per esempio accadde nel team Medvedev con l’ingresso di Gilles Simon. Ovviamente questi sono scenari, la speranza per Musetti è che i rapporti tra i membri del team siano limpidi, definiti, e che ognuno riesca a collaborare alla perfezione con gli altri, in modo che Perlas sia uno straordinario valore aggiunto e pietra angolare su cui costruire novità, rafforzare i punti di forza e cancellare debolezze. Al momento lo non sappiamo, ma magari Tartarini dopo una vita spesa a fianco di Lorenzo sente l’esigenza di passare qualche settimana in più a casa e quindi un Perlas, coach “totale”, diventa perfetto; oppure José, con la sua esperienza, sarà bravissimo a ritagliarsi un ruolo ideale per aggiungere novità e positività a tutti, abbassando il livello di tensione che spesso nel corso degli incontri di Musetti è assai alta.
    Perlas rappresenta una scelta importante per un tennista forte e in evoluzione come Musetti. I due inizieranno a lavorare a dicembre, il tempo non è molto prima degli Australian Open. Non resta che attendere le prime parole del giocatore su questa scelta – che ovviamente non tarderanno ad arrivare visto che la notizia è uscita – e soprattutto il responso del campo. Nel 2026 c’è da confermare la top 10, migliorare ulteriormente tennis e atteggiamento, e soprattutto tornare a vincere un torneo, magari uno di quelli “pesanti”.
    Marco Mazzoni  LEGGI TUTTO

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    ITIA: sanzionati Marrero e Jaziri per violazioni sulle wild card

    Malek Jaziri nella foto

    L’ International Tennis Integrity Agency (ITIA) ha annunciato di aver sanzionato lo spagnolo David Marrero (oggi 45enne, ex n.5 al mondo in doppio nel 2013) e il tunisino Malek Jaziri (41enne, oggi capitano della squadra di Coppa Davis della Tunisia ed ex n.42 ATP in singolare nel 2019) per violazioni in merito alla assegnazione di wild in doppio. Marrero è stato condannato per aver contrattato a pagamento una wild card per accedere a un torneo in quattro occasioni tra il 2022 e il 2023, e Jaziri per aver concorso in una queste insieme allo spagnolo. Questo il comunicato di ITIA, pubblicato sul portale ufficiale dell’Agenzia, in merito alle sanzioni.
    “I due tesserati hanno accettato delle sanzioni per aver violato le norme del Tennis Anti-Corruption Program (TACP) relative all’assegnazione delle wild card. Il tennista spagnolo David Marrero ha ammesso di aver pagato o offerto denaro in cambio di wild card per sé e/o per il proprio compagno di doppio in quattro diverse occasioni tra il 2022 e il 2023. Marrero è stato squalificato per due anni e sette mesi e multato di 15.000 dollari, dei quali 10.000 con pena sospesa. Il periodo di ineleggibilità è iniziato il 21 ottobre 2025 e terminerà il 20 maggio 2028”.
    “Il tunisino Malek Jaziri invece è stato sospeso per nove mesi e multato di 5.000 dollari (2.500 con pena sospesa) dopo aver ammesso il proprio coinvolgimento in una violazione delle regole sulle wild card in collaborazione con Marrero. La sua squalifica decorre dal 28 ottobre 2025 e si concluderà il 27 luglio 2026”.
    “Durante i rispettivi periodi di ineleggibilità, Marrero e Jaziri non potranno giocare, allenare o partecipare — in qualsiasi veste — a tornei o eventi di tennis autorizzati o sanzionati dai membri dell’ITIA (ATP, ITF, WTA, Tennis Australia, Fédération Française de Tennis, Wimbledon e USTA) o da qualsiasi federazione nazionale affiliata”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Torna la “battaglia dei sessi”: Sabalenka sfiderà Kyrgios il prossimo dicembre

    Nick Kyrgios

    Nick Kyrgios finalmente torna in campo, contro… Aryna Sabalenka! La sfida tra un uomo e una donna su un campo da tennis è da sempre un tema molto discusso. Ovviamente la differenza fisica tra i due sessi è schiacciante a favore degli uomini, ed è stato dimostrato più e più volte in varie esibizioni. Oltre alla leggendaria e prima “battaglia tra i sessi” che nel ’73 oppose Billie Jean King a un 55enne Bobby Riggs (per la cronaca vinse la leggendaria campionessa statunitense), negli anni furono organizzate alcune partite tra uomini e donne, incontri che hanno sempre riscontrato un certo interesse proprio per la loro intrinseca stranezza. Jimmy Connors nel ’92 rifilò un 7-5 6-2 a Martina Navratilova, ma forse l’incontro più bizzarro fu quello organizzato nel corso degli Australian Open 1988, quando Karsten Braasch, all’epoca 203 ATP, accettò la sfida di due giovanissime sorelle Williams che, affacciandosi sul tour WTA, erano solite rilasciare alla stampa alcune sparate ad effetto per attrarre l’attenzione, e stavolta avevano affermato di essere in grado di battere un uomo. Il tedesco rifilò prima un 6-2 a Venus e quindi 6-1 a Serena, addirittura fumandosi una sigaretta a un campo di campo…
    Forse non ci sarà da fumare stavolta, ma di sicuro i media non si faranno scappare l’occasione di vedere la bizzarra sfida tra Kyrgios e Sabalenka, lanciata per il prossimo 28 dicembre presso la Coca Cola Arena a Dubai.

    Da un po’ di tempo girava la voce di una possibile esibizione tra Sabalenka e Kyrgios, e lo stesso Nick aveva affermato di voler continuare a giocare ma “non necessariamente sul tour ATP”, viste le sue condizioni fisiche precarie tra polso e ginocchio, operati più volte e non al 100%. Vedremo che ne sarà di questa sfida, di sicuro impatto mediatico alla ripresa delle attività dopo la breve off-season.
    Intanto rileviamo che l’amico di sempre Kokkinakis, anche lui lungo degente ma in fase di recupero dopo l’ennesima operazione – stavolta ai muscoli pettorali – ha affermato ad ABC News Australia la sua probabile partecipazione al doppio degli Australian Open 2026 proprio insieme a Kyrgios. I due trionfarono nel torneo 2022, in una finale tutta “Aussie”, uno degli happening di quell’edizione del torneo insieme alla vittoria di Ash Barty.
    Mario Cecchi LEGGI TUTTO

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    Sinner vince anche in tv: 1 milione 214 mila spettatori per la finale del Masters 1000 Parigi

    Jannik Sinner (Foto Patrick Boren)

    Grande interesse anche in tv per Jannik Sinner al Masters 1000 di Parigi. La finale di domenica pomeriggio che ha visto l’azzurro trionfare su Felix Auger-Aliassime ha ottenuto ottimi dati di ascolto. Infatti, secondo quanto riporta Sky Sport, la partita di Sinner in onda ieri dalle 15 su Sky Sport Uno “ha raccolto 1 milione 214 mila spettatori medi complessivi in total audience, con 2 milioni 166 mila spettatori unici e il 9,8% di share tv. La differita in onda su TV8 dalle 17.15 ha registrato 968 mila spettatori medi complessivi, 2 milioni 807 mila spettatori unici e il 7,1% di share tv”.
    Molto positivi anche i dati di ascolti per la semifinale di Sinner contro Zverev al sabato pomeriggio. “Il match – dalle 17 su Sky Sport Uno – ha registrato 889 mila spettatori medi complessivi in total audience, 1 milione 466 mila contatti unici e il 7,7% di share tv”.
    Dati di ascolto molto importanti che quasi sicuramente saranno superati la prossima settimana con le ATP Finals di Torino, con i campo i migliori otto tennisti del 2025 e, ovviamente, Jannik Sinner. In doppio sarà presente anche la coppia italiana Simone Bolelli – Andrea Vavassori.
    Mario Cecchi LEGGI TUTTO

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    Escude su Alcaraz: “Sicuro di chiudere il 2025 da n.1, avrà abbastanza ‘fame’ negli ultimi tornei dell’anno?”

    Carlos Alcaraz a Parigi (Foto Patrick Boren)

    Carlos Alcaraz ha numeri da record nel 2025. Otto titoli, tra cui due tornei del Grande Slam (Roland Garros e US Open), più tre Masters 1000, tre ATP 500 per un bilancio stagionale di 67 vittorie e 8 sconfitte (89,3%), il migliore in carriera. Difficile non aver la pancia “piena” dopo una stagione faticosa e mai così ricca di successi e costanza di rendimento. Questo secondo Nicolas Escude è il fattore che ha portato il 22enne di Murcia al black out improvviso a Parigi indoor, insieme a condizioni che proprio non gradisce. Per questo il francese si chiede se Alcaraz avrà alle Finals di Torino e alla Final 8 di Davis Cup abbastanza “fame” da riuscire a rendere al meglio delle sue possibilità. Ne ha parlato intervenendo a Eurosport France, un commento che riportiamo.
    “Abbiamo visto un Alcaraz quasi apatico a Parigi, si lamentava delle sensazioni in campo e discuteva a lungo con il suo team dopo aver perso il secondo set,” riflette Escude. “È andato contro tutto ciò che ha fatto negli ultimi mesi. È sorprendente. Ma al momento, il suo rapporto con questo torneo resta complicato. Senza togliere nulla a Norrie, che ha giocato la sua partita. Non ha regalato molto, ha tremato un po’ nel penultimo turno di servizio, ma ha chiuso molto bene.”
    Escude solleva qualche dubbio sulla “fame” agonistica del sei volte campione Slam in questa fase della stagione, tra stanchezza e la soddisfazione per i grandi risultati raggiunti. “È riuscito a rompere il digiuno indoor a Rotterdam, anche se non è stato il miglior Alcaraz,” commenta Nicolas, “non direi che abbia un blocco mentale nei confronti dei campi al coperto. Non ci credo. Il suo gioco può adattarsi molto bene anche a queste condizioni, soprattutto perché oggi i campi indoor sono un po’ più lenti rispetto al passato quando erano i più veloci dell’anno. Se riesce a trovare più stabilità, come ha dimostrato a New York per due settimane, l’indoor non sarà più un problema per lui. Possiede tutte le qualità per rendere al massimo su qualsiasi superficie. Piuttosto la domanda è la seguente: quanto desidera davvero questo finale di stagione? È praticamente certo di chiudere da numero uno. Avrà abbastanza fame per andare a prendersi i titoli che ancora gli mancano? Faccio fatica a capire in che stato mentale e fisico arriverà a questi ultimi due tornei. È l’unico piccolo punto interrogativo” conclude Escude.
    Mario Cecchi LEGGI TUTTO

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    Arnaldi e coach Petrone si separano

    Arnaldi e Petrone il giorno della vittoria in Davis Cup a Malaga

    Con la fine della stagione 2025 arriva al capolinea anche la collaborazione tra Matteo Arnaldi e coach Alessandro Petrone. L’annuncio arriva dal coach del sanremese, attraverso un post social che riportiamo.
    “Con la fine della nostra quinta stagione insieme, anche la nostra avventura giunge al termine. Siamo partiti dal basso — dai futures e 930 ATP— siamo arrivati in alto: top 30 al mondo, i centrali dei Grandi Slam, la Coppa Davis 🏆. Ma al di là dei numeri e dei tornei, abbiamo condiviso un percorso straordinario: esperienze, emozioni, prime volte, alti e bassi, vittorie e sconfitte. Tutto questo resterà per sempre, come ricordi indelebili.
    Sono estremamente orgoglioso di averti accompagnato in questa parte della tua carriera e ti ringrazio per l’impegno, la dedizione, la passione e la professionalità che metti ogni giorno in ciò che fai.
    Grazie ad ogni membro di un Team incredibile, di professionisti e amici, che abbiamo costruito insieme — @civasss @diegosilva_fitness_coach @_filippoferraris_ @f.aldino7 @miasavio — senza di voi nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.Grazie al @sanremo.tennis.team (la nostra casa), a @topseedmanagement per il supporto a 360° ed infine alla @_federtennis per averci aiutato e sostenuto in questo progetto.
    Non mi resta che augurare ad entrambi un futuro pieno di successi e soddisfazioni, dentro e fuori dal campo.Sai che farò sempre il tifo per te.
    Con affetto ❤️”

    Arnaldi ha vissuto insieme a Petrone i momenti più belli della sua carriera, con la scalata nel ranking che l’ha portato fino al n.30 del mondo il 12 agosto del 2024 e brillare nella Davis Cup, quando fu decisivo nella finale di Malaga. Il 2025 invece è stato meno soddisfacente per il ligure: ha iniziato l’anno da n.38 e l’ha terminato alla posizione n.66, con buoni risultati ad inizio anno, con i quarti al 500 di Dallas e poi la semifinale a Delray Beach, e soprattutto i quarti di finale al Masters 1000 di Madrid, battuto da Draper dopo aver superato Djokovic e Tiafoe. Dopo aver battuto Auger-Aliassime a Parigi all’esordio (e sconfitto da Cobolli al secondo turno), poche le soddisfazione per Matteo. Vedremo se continuerà a lavorare con Matteo Civarolo o arriverà un nuovo innesto nel suo team.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO