La storia non si ferma, avanza nel tempo fino a farsi presente e anche futuro, se ha radici solide. E quelle di Porsche sono così profonde che dopo 75 anni brillano fino alla superficie, anche perchè vanno oltre le date. E se è vero che le lancette dell’orologio del Marchio di Zuffenhausen si mossero per la prima volta, ufficialmente, l’8 giugno del 1948, la realtà è che l’idea, il concetto – canterebbe Gaber – di Porsche che all’epoca si sposò con la stessa idea di auto, nacque molto tempo prima.
Porsche e l'”auto del popolo”
Era l’aprile del 1931 quando il padre di tutti i bolidi di Stoccarda (Zuffenhausen è un quartiere di Stoccarda) Ferdinand Porsche fondò uno studio di progettazione e ingegneria in Austria che iniziò a collaborare con alcune aziende per la realizzazione – udite udite – di auto elettriche e ibride. Fino ad entare nelle grazie del Governo tedesco dell’epoca, guidato da un certo Adolf Hitler, col quale mr. Porsche studiò, era il 1934, la prima “auto del popolo”, la Volks (popolo) wagen (auto). E pare sia stato lo stesso Führer che 4 anni dopo chiese sempre a Porsche le specifiche per una vettura, un po’ meno del… popolo e ad alte prestazioni. Quello che successe subito dopo, purtroppo, lo sappiamo tutti, quindi c’è poco da meravigliarsi che quell’auto venne realizzata per entrare in produzione a distanza di 10 anni, a Gmünd in Kärnten, di nuovo in Austria dove nel 1944 era stata spostata la sede e fondata la Porsche-Werk Gmünd.
356 Roadster, la prima stradale
Era proprio l’8 giugno del 1948 quando Porsche, padre e figlio, Ferdinand entrambe, “Ferry” per tutti l’erede, vennero fotografati con la prima Porsche omologata per l’impiego su strada: cioè una 356 Roadster. La meccanica ricalcava nello schema di base l’impostazione della Volkswagen, cioè motore boxer quattro cilindri, raffreddato ad aria, posizione longitudinale posteriore a sbalzo ovvero con il monoblocco oltre l’asse posteriore e il cambio verso l’abitacolo. In due anni arrivarono a produrne 53, per poi nel 1951 trasferirsi appunto nel distretto di Zuffenhausen, mentre cresceva l’attenzione del pubblico per un modello offerto cabrio e coupé, per l’America anche Speedster. Come primo step si arrivò a produrne 10.000, per poi toccare le 50.000 nel 1962.
Da Le Mans alla Boxster
Nel frattempo, Porsche cominciò a correre nelle gare in pista e il primo successo alla 24 Ore di Le Mans arrivò nel 1951, anno in cui scomparve il patriarca. Due anni dopo vide la luce la 550 Spyder, una barchetta appositamente realizzata per le competizioni (110 cv con motore boxer 4 cilindri da 1.498 cc), l’auto tanto amata da Jameas Dean (e a bordo della quale ebbe il suo incidente mortale). I successi in parallelo tra prodotto e sport si tradussero in svolta reale nel 1963 quando Ferdinand Alexander Porsche, detto Butzi, lanciò la 911, ancora oggi autentico pilastro dei trionfi della Casa tedesca, appiglio vitale al quale Porsche si aggrappò anche durante la crisi di fine anni ’80, quando rischiò la bancarotta fraudolenta, sfornando nel 1996 la più abbordabile Boxster con cui si toccò quota 1 milione di Porsche nel luglio 1997 (fu una 911 per la polizia tedesca).
Una gamma di successo
L’elenco dei modelli e delle serie Porsche sarebbe infinito – dal primo turbo della 930 del 1975, alle storiche 917 (l’auto amata da Steve McQueen) e 959, fino alla più recente 992, passando per 924, 928, 968, 944, 964, 993, 996, 997 e 991 – ma è indubbio che il debutto della Cayenne nel 2002, bissato dalla Carrera GT l’anno successivo, poi dalla Panamera e soprattutto da Macan (2013), 918 Spyder (2013) e infine l’elettrica Taycan (2019) hanno regalato a Porsche una dimensione industriale di assoluto livello – culinata con la quotazione in Borsa del settembre dello scorso anno – con 40.000 dipendenti, capaci di produrre oltre 300.000 vetture all’anno, compreso il prototipo elettrico di hypercar Mission X che ha esaltato la cerimonia dei festeggiamenti per il compleanno n. 75 e inaugurato la mostra dedicata al Museo Porsche di Zuffenhausen per la gioia di tutta la dinastia.
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