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    Malvaldi: “Il mio Toro piacerebbe anche ai vecchietti del BarLume”

    Marco Malvaldi, scrittore e chimico, noto tifoso granata, da cosa nasce, per uno come lei, nato a Pisa, il fascino del Torino?”Ma me lo chiedo spesso anche io. Avrei potuto nascere milanista, oppure interista, o magari tifare per la Fiorentina. Per la Juve no”.Tifare Torino è come stare con Ettore contro Achille: fin troppo facile come similitudine. Da scrittore quali altri esempi le vengono in mente?”Tifare Torino è come corteggiare una suora: possibile, per carità, e se ci riesci è il genere di cosa che racconterai per tutta la vita. Ma anche se rimedi un comprensibile due di picche, è una cosa da raccontare. Come facciamo noi. Fin troppo spesso”.Come ha cominciato a seguire il calcio? A che età? E ci ha mai giocato?”Ho cominciato come tutti, da bambino. Da bambino però tifavo per la Nazionale, principalmente. Mi ricordo ancora i mondiali del 1982, uno dei momenti più coinvolgenti della mia infanzia. Giocare ho giocato tanto, come tutti ai campetti di fronte alla chiesa, in piazza San Paolo, a Pisa. Sui campi veri ho giocato poco. In entrambi i casi, ero in porta. Credo la dica lunga su quanto so giocare a pallone…”Quali sono i suoi eroi calciatori? E perché secondo lei il calcio è così capace di produrre miti e memorie collettive?”Come detto, il mondiale spagnolo è uno dei miei momenti preferiti, e i miei eroi sono da quel punto di vista Gentile e Zoff. Il mio eroe torinese è Riccardo Maspero, credo che per i torinisti non ci sia bisogno di ricordare perché”.Chi è l’Artusi del Torino?”Senza dubbio Sergio Vatta, allenatore della primavera del Torino per un tempo immemorabile: c’è stato un momento in cui praticamente ogni squadra di serie A aveva in organico un giocatore della primavera del Toro, compresa la Juventus… Vatta era uno che si sforzava di fare il meglio con il materiale a sua disposizione”.Cosa sa del 1976 e del giorno dello scudetto di Radice? All’epoca aveva due anni: ha rivisto qualcosa di quel periodo?”Ho letto il bellissimo libro di Eraldo Pecci, Il Toro non può perdere. La mia storia preferita è quella di Luciano Castellini, il portiere dell’ultimo scudetto. Castellini era un emotivo, come me, e metteva di nascosto nella borraccia la birra mescolata con la gazzosa. Una volta Graziani la assaggiò per sbaglio e la sputazzò. Radice, sergente di ferro, arrivò e assaggiò anche lui. Luciano, questa è birra, disse. Ma prima che scattasse la punizione Claudio Sala si gettò ai piedi di Graziani: ‘Miracolo! Ciccio ha trasformato l’acqua in birra! Mister, è un presagio, quest’anno vinciamo lo scudetto’. E ho visto non so quante volte il gol di Pulici a Boranga”.La fine del Grande Torino, Superga, sono la Storia nella storia. Come la racconterebbe in un romanzo?”Non la racconterei, semplicemente. Oltre alla storia della squadra, e dei giornalisti e delle persone che erano su quell’aereo, c’è il dolore privato dei familiari e di tutti quelli che gravitavano intorno a quel mondo. Io sono uno scrittore umoristico, e mi sembrerebbe una mancanza di rispetto parlare di quell’accadimento in maniera romanzata. Non ne sarei capace in nessun modo”.Meroni poteva giocare solo nel Torino?”No, avrebbe potuto giocare anche nel Manchester United. Però oltre non si va”.Quali sono i derby che ricorda di più?”Quello della stagione 1994-95, che fra l’altro si è giocato poco prima del mio compleanno, quello di andata, anche se abbiamo vinto pure quello di ritorno. E poi l’ultimo vinto, visto negli studi di sky accanto a Ciro Ferrara: ironia della sorte, uno dei pochi juventini che mi sta simpatico, è un gran signore. Non ho nemmeno potuto esultare troppo”.Non c’è troppa nostalgia nell’epica del Torino? I suoi vecchietti del BarLume che commento farebbero a tutti questi ricordi epici?”I vecchietti del BarLume seguono più che altro il ciclismo, il calcio è uno sport troppo ricco per loro. Però, senza dubbio, si dividerebbero e ci litigherebbero sopra. E farebbero bene, perché i miti servono per fare appassionare le persone, ma nessuno ha mai vinto una partita raccontando una bella storia”.E Belotti che fa il gallo ci starebbe bene con i suoi anziani? È davvero il simbolo del Torino?”Ora come ora sì. Segna, si sbatte e prova giocate difficilissime in momenti decisivi: come quella rovesciata, tentata in un momento cruciale per arrivare in Europa, un anno fa, contro il Sassuolo. Pochi l’avrebbero fatto, lui l’ha fatto due volte, e la seconda è anche andata bene”.Quale maglia, anche del passato, indosserebbe, con che nome e che numero, e perché?”Vorrei la maglia numero 10 di Abedì Pelé, uno dei grandissimi, arrivato in un anno disgraziato, ma che ci fece vincere il derby del 1995 insieme a Rizzitelli. Una classica partita contro la Juve, con tanto di rigore inventato – e parato. Ero allo stadio, mi ero dimenticato gli occhiali e ogni tanto me li facevo prestare dalla moglie di mio cugino…”.Lei ha detto: scrivere per lo stesso editore di Camilleri, Sellerio, è come giocare nel Torino.”È esattamente quella sensazione lì: giocare per la squadra della quale sei tifoso. Credo capiti a pochissimi. È un onore, è un colpo di fortuna. Di quelli da tenere stretti”.La parola tifoso e la sua etimologia cosa ci dicono di noi?”Che ci sono momenti in cui non ragioniamo. Scientemente. E va bene così, una vita fatta solo di razionalità ci condurrebbe alla depressione in maniera inesorabile. Bisogna sapere quando spengerla, e tenere bene presente gli effetti nefasti che questo può avere. Solo l’umorismo, secondo me, può aiutarci a effettuare la transizione inversa tornando persone razionali. Ci aiuta a tornare singoli, e staccarci dal contagio della massa di cui abbiamo scelto di fare parte poco prima. Cosa che deve avvenire anche quando qualche idiota, con la scusa del tifo, insulta”.Che cosa vorrebbe festeggiare in questa stagione da tifoso del Torino?”Faccio finta di non aver capito la domanda. L’anno scorso mi aspettavo l’Europa, ci siamo salvati per un pelo…”.Brutta partenza, sì. Cairo deve fare altri acquisti? Che giocatori servono?”Il Toro ha bisogno disperato di un regista, e soprattutto di coerenza. Non si prende un allenatore come Giampaolo se non si hanno i giocatori giusti”. LEGGI TUTTO

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    L'Italia sbiadita del ciclismo, senza fenomeni a cui aggrapparsi

    Ride and smile è il motto dell’Unione ciclistica internazionale. Per l’Italia, però, da ridere c’è ben poco. Anche se questo Mondiale ha portato il pesantissimo oro di Filippo Ganna nella cronometro, il 10° posto di Caruso nella prova in linea come miglior risultato azzurro sulle strade di casa sembra davvero poco. Vero è che il percorso non si adattava agli azzurri e che il migliore di loro sui violenti strappi da Liegi del percorso iridato di Imola, Diego Ulissi, ha avuto problemi di stomaco nei momenti decisivi. Perfetto, fosse stato al massimo della forma, sarebbe stato Gianni Moscon: ma, appunto, al massimo della forma non era ed è rimasto a casa. Ciclismo LEGGI TUTTO

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    Coni, Bach: “Legge sport non rispetta Carta olimpica. A rischio medaglie a Tokyo”

    ROMA- “Siamo molto preoccupati riguardo la situazione e il funzionamento del Coni. E questa preoccupazione sta crescendo. Abbiamo scritto una lettera al ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, rappresentando la seria preoccupazione perché vediamo che con questa legge il Coni non è conforme alla Carta Olimpica. In questo momento vediamo un rischio impattante sulla preparazione degli atleti olimpici dell’Italia per le Olimpiadi di Tokyo: questo può significare meno chance di medaglie per l’Italia”, parole (durissime) del presidente del Cio Thomas Bach sulla riforma dello sport in iter di discussione da mesi ormai. Bach ha parlato a lungo in una conferenza stampa in occasione dei Mondiali di ciclismo a Imola dove erano presenti anche Giovanni Malagò e Francesco Ricci Bitti.Il Cio potrebbe sospendere il comitato olimpico italiano, gli azzurri non potrebbero gareggiare alle Olimpiadi sotto la bandiera tricolore ma solo l’egida del Cio. Niente inno di Mameli. Inoltre il Cio ha promesso quasi un miliardo a Miano-Cortina 2026, e questa cifra potrebbe tornare in discussione. “Siamo molto preoccupati sulla non funzionalità del Coni, che non è conforme alla Carta olimpica. Questo significa che siamo anche molto preoccupati per la preparazione e l’organizzazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Capisco che ora il Coni sta cercando un’altra soluzione, per riuscire a soddisfare i requisiti minimi, quindi essere in accordo con la carta olimpica e soddisfare. Il segretario generale del Coni ha bisogno di essere messo in condizione di lavorare nel pieno delle sue funzioni.Ora invece il segretario generale è soggetto alle istruzioni di società esterne al Coni”. Così il presidente del Cio Thomas Bach, riferendosi alla situazione del Coni in relazione all’ente pubblico Sport e Salute. Anche in passato il segretario generale (Carlo Mornati) dipendeva da Coni Servizi, che tuttavia era società operativa del Coni, mentre Sport e Salute è indipendente dal Coni e a rischio, secondo il numero uno dello sport mondiale, c’è anche l’operatività in diversi settori strategici: “Anche il marketing – sottolinea Bach – impatta sui cerchi olimpici e non può dipendere da società esterne. Speriamo che una soluzione venga raggiunta molto presto, perché Tokyo non aspetta e Milano-Cortina non aspettano”, ha spiegato ancora Bach, mai così pesante sulle inadenpienze del governo italiano. “Al momento c’è un incontro programmato (con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, ndr) per il 15 ottobre, ma molto amichevolmente dico che oggi non ci sono le condizioni per farlo. Al momento non abbiamo ricevuto una risposta dal ministro riguardo le preoccupazioni che avevamo espresso in precedenza”, così ancora Bach. Il ministro nei giorni scorsi aveva garantito che col Cio era tutto a posto. Dalle parole di Bach, non sembra affatto.Mercoledì 30 Spadafora incontrerà i partiti di Maggioranza per un ennesimo vertice: Pd e Italia Viva contestano alcuni punti della riforma che rischia di arenarsi. Lo stesso giorno vertice al Coni coi presidenti di Federazione, sempre più infuriati.  LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, l'ItalSicilia all'assalto del Mondiale. Caruso: “Siamo l'anima allegra della squadra”

    IMOLA – Nove giri, 258 km, 5 mila metri di dislivello. Ma come si fa selezione sul percorso del Mondiale di Imola? La gara delle donne ha dato segnali contrastanti: Anna Van der Breggen è partita sulla seconda delle due salite del circuito, quella di Cima Gallisterna, ma non nell’ultimo giro, bensì nel penultimo. 40 km di fuga e il trionfo in solitaria con 1’20” sulla coppia Van Vleuten-Longo Borghini, argento e bronzo. Potrebbe andare così anche tra i maschi. Difficile. Ma non impossibile. L’Italia non conquista l’iride nella gara in linea dal 2008. Anche allora si correva in casa, a Varese e fu doppietta azzurra: 1° Ballan, 2° Cunego. “L’unico risultato buono in un Mondiale è vincerlo”, dice il ct Cassani. I favoriti di Imola però non indossano la maglia azzurra: Van Aert, Kwiatkowski, Alaphilippe, Roglic e Pogacar compagni di squadra in una Slovenia stratosferica, e poi Fugslang, Valverde, Hirschi, Dumoulin. Nibali viene dietro tutti loro, ma è Nibali e, come dice Cassani, “può sempre inventare il numero del fuoriclasse”. Da Cima Gallisterna all’arrivo ci sono 12 km tra falsopiano e discesa. Là serviranno gambe stratosferiche e sulla salita bisognerà aspettare l’attimo esatto dell’attacco. “Ad attaccare presto”, come ha ricordato anche Elisa Longo Borghini “ti bruci”. Damiano Caruso, il regista azzurro, miglior italiano dell’ultimo Tour de France (10° nella classifica finale, uno spettacolare 7° posto nella cronometro della Planche des Belles Filles), ha guardato in tv con attenzione la corsa in linea femminile. Impressioni, anche se dall’hotel del ritiro azzurro, a Riolo Terme? “Percorso durissimo, che farà selezione da solo. Ma l’azione buona potrebbe partire da molto lontano. Non possiamo escludere, che so, anche a 100 km dall’arrivo. Organizzarsi dietro sarebbe complicato”. Quali sono le indicazioni tattiche, quindi? “Dobbiamo arrivare numerosi, noi azzurri, nei momenti chiave. Non abbiamo una punta di assoluto riferimento, quindi dobbiamo lavorare molto di squadra. Capire i momenti, studiare gli avversari. E attenzione: forse non sarà utile fare gara dura. Perché la gara sarà dura già da sola”. Ciclismo LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Mondiali: Nibali sogna di imitare Adorni. Senza favoriti,occhio a van Aert ed agli sloveni

    IMOLA – Imola si prepara a vivere la sua domenica mondiale, la seconda della storia dopo quella, davvero straordinaria, vissuta 52 anni fa. Quel lontano primo settembre 1968 trionfò l’enfant du pays Vittorio Adorni, che coronò con la maglia iridata una fuga di 90 km. Domenica, nella prova in linea Elite, sarà difficile riproporre una situazione analoga, perché il ciclismo del terzo millennio è assai più equilibrato e meno impavido. Tutti si conoscono, si temono e si marcano a uomo. Il gioco di squadra prevale in uno sport individualista per eccellenza.Un percorso lunghissimo, con quasi 5 km di dislivelloResta il fatto che i corridori (partenza alle 9,30) dovranno affrontare una gara lunghissima, su un percorso che misura 258,2 km e propone circa 5 mila metri di dislivello. Un’enormità. Il circuito, lungo 28,8 km, è caratterizzato da due salite impegnative (Mazzolano: lunga 2,7 km, al 6,1% e punte massime al 13%; Gallisterna: lunga 2,7 km, al 6,4% e punte massime del 15%). La partenza e l’arrivo sono stati fissati sull’asfalto della pista dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari, che verrà affrontato per 4,2 km in ogni giro (l’anello misura 5.900 metri).Gara impegnativa, poco adatta agli scalatori puriLa prova che chiuderà questo strano Mondiale al tempo della pandemia, che l’Uci ha assegnato in extremis all’Italia, dovrà scegliere il successore del danese Mads Pedersen, che un anno fa trionfò nello Yorkshire. La lista partenti è ampia e variegata, lo è anche il lotto dei favoriti. Ma questa non è una novità. Il percorso è duro e impegnativo, ma probabilmente poco adatto agli scalatori puri, che avrebbero preferito salite più lunghe. La doppia ascesa in ogni giro del circuito iridato è adatta ad atleti esplosivi, di quelli che si fanno valere nelle classiche del nord.Non c’è un vero favorito: fari su Pogacar, Roglic e Van AertI primi nomi che saltano all’occhio sono quelli degli sloveni Tadej Pogacar e Primoz Roglic, rispettivamente primo e secondo al recente Tour, che arrivano dalle strade francesi con una condizione di forma invidiabile. Attesissimo anche il belga Wout Van Aert, che avrà al proprio fianco l’olimpionico su strada Greg Van Avermaet. Occhio al polacco Michal Kwiatkowski, già campione del mondo, e a Michael Matthews, ma solo se la gara non sarà subito dura. Il francese Julian Alaphilippe ha preparato l’assalto alla maglia iridata al Tour de France e spera in un exploit. Lo stesso vale per Alejandro Valverde, che a 40 anni è ancora fra i più combattivi. Anche il danese Jakob Fuglsang, che quest’anno ha vinto il Giro di Lombardia, si candida. Altri nomi caldi sono quelli di Maximilian Schachmann (Germania), Richie Porte (Australia), Tom Dumoulin (Olanda), George Bennett (Nuova Zelanda), Ilnur Zakarin (Russia), Sepp Kuss (Usa).L’Italia spera in Nibali e UlissiL’Italia, invece, si affida all’esperienza di Vincenzo Nibali, che negli ultimi anni ha perso esplosività, ma soprattutto a Diego Ulissi, recente vincitore del Giro del Lussemburgo. Scalpitano Gianluca Brambilla, Andrea Bagioli e Fausto Masnada. La speranza per gli azzurri è di vivere un mondiale da protagonisti. E, perché no, sognare di rinverdire un successo che manca da ormai 12 anni, dal trionfo di Ballan a Varese. Si era in Italia, come oggi. Chissà… Sognare, dopotutto, non costa nulla. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Mondiale donne: assolo di Van der Breggen. Dominio Olanda, bronzo per Elisa Longo Borghini

    IMOLA – Ormai è quasi una consuetudine. Il mondiale di ciclismo femminile si risolve con una cavalcata delle olandesi. Lo scorso anno Annemiek Van Vleuten aveva dato alla sua azione solitaria connotati da ciclismo d’altri tempi. Passa un anno e Anna Van Der Breggen si adegua, recitando alla perfezione il copione da dominatrice. Nel penultimo dei cinque giri del circuito di Imola, quando mancano 41 km all’arrivo, sul punto più duro della seconda salita (Gallisterna, punte del 15%), strazia il plotone con una accelerazione micidiale. Fa subito il vuoto, poche centinaia di metri ed appare immediatamente evidente che il gradino più alto del podio è già assegnato. Un trionfo, che bissa quello già ottenuto a cronometro ed arricchisce una bacheca ricca in questa stagione anche del titolo europeo. Statisticamente, imprtesa nell’impresa: è la seconda donna a vincere il titolo nella prova in linea dopo aver vinto la cronometro. Prima di lei ci era riuscita un monumento del ciclismo femminile, la francese Jeannie Longo. “E’ stata una gara molta dura, difficile fare la differenza, non pensavo di fare il bis il tracciato era differente rispetto a Quello di Innsbruck. Non me l’aspettavo. Sono molto felice, è incredibile. Un’ottima stagione”, commenta l’olandese. Domina l’Olanda, squadra di straordinario talento. Tante dive che, contrariamente a previsioni maliziose ma non prive di fondamento, non si sono fatte guerra. L’Italia, non così forte comunque, era l’avversaria più accreditata per contrastare le olandesi. E a conti fatti le azzurre hanno fatto bene. Si puntava su Elisa Longo Borghini, che ha risposto con una medaglia di bronzo. Poteva andar meglio, ma le sono mancati due dettagli. Il primo, il più importante: non essere riuscita a tenere sull l’attacco di van der Breggen. Il secondo, il guizzo nella volata a due per il posto d’onore: partiva nettamente battuta con van Vleuten, se la è giocata oltre le previsioni perdendo di un soffio. Onore comunque alla sua avversaria, in gara nonostante la frattura del polso al recentissimo Giro d’Italia. Il quarto posto di Mariane Vos completa il quadro a tinte orange sul circuito di Imola. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Mondiale: storico Ganna, per la prima volta l'Italia è oro nella cronometro

    Le basi, almeno nell’immaginario collettivo, per una impresa storica, Filippo Ganna le aveva poste nella cronometro che aveva chiuso la Tirreno-Adriatico, dominata a quasi 57 di media. Basi poi pienamente consolidate lungo i 31,5 km del percorso di Imola; l’Italia del ciclismo per la prima volta nella storia si aggiudica una cronometro mondiale grazie al piemontese. Medaglia d’oro: ci erano andati vicino Andrea Chiurato nella prima edizione (nel 1994) e Adriano Malori nel (2015), ma si erano fermati solo all’argento. LEGGI TUTTO