Le ragazze di oggi, quelle che hanno vinto l’argento agli ultimi mondiali, devono tantissimo della loro forza e del loro entusiasmo ad una giocatrice e ad una donna come Sara Anzanello. Che è stata la prima a gioire per le giovani protagoniste del 2018, anche se le sue condizioni purtroppo stavano peggiorando. Fino all’epilogo più triste.
Sara ci ha lasciato e adesso tutti ricorderanno, come è giusto, il titolo mondiale del 2002 con una fantastica Nazionale, con Piccinini, Togut, Lo Bianco, Leggeri, Cardullo e altre ragazze vincenti. Poi ancora le due vittorie in Coppa del Mondo, l’argento Europeo, le tante medaglie nel Grand Prix.
Tutto vero e tutto meritato. Eppure non è questa la cosa più importante di Sara Anzanello. Più importante è stata la sua straordinaria voglia di vivere, di giocare a pallavolo come una splendida manifestazione della vita stessa. Una voglia di vivere messa alla prova nel 2013 da una terribile forma di epatite contratta in Azerbaijan dove si era trasferita per giocare.
Un trapianto di fegato fu allora la salvezza e diede inizio ad un lento, faticoso ma determinato recupero. Sara ha messo lì tutta la sua forza, ha murato la malattia, lei che giocava da centrale, l’ha schiacciata per riprendersi la speranza. Partendo dalle piccole cose quotidiane come mangiare e camminare.
C’è riuscita, è tornata anche a giocare a pallavolo. La sua storia sportiva è diventata un modello di vita, una storia di tenacia e caparbietà. Le compagne la soprannominavano il Grande Puffo, per scherzare sui suoi 192 centimetri che terminavano con una testa bionda. Grande e forte come il suo sorriso. Non si è mai arresa in 278 partite con la maglia azzurra e non l’ha fatto nemmeno ora, il male ha solo avuto la meglio nel tie break decisivo.
Ora, le ragazze di oggi, e tutti noi, possiamo seguirne l’esempio. La vita è per il 10 per cento cosa ti accade e per il 90 per cento come reagisci. Era la frase in cui Sara Anzanello si riconosceva ed è quello che possiamo fare per ricordarla.