Foto FIPAV
Di Redazione
Hanno fatto sognare migliaia, anzi milioni di tifosi negli anni novanta. La famosa “generazione di fenomeni” che di Mondiali ne ha vinti tre consecutivi, e sono proprio loro, i protagonisti di quegli anni a parlare della rassegna iridata, di scena in Italia e Bulgaria (finale il 30 settembre a Torino), al “Corriere dello Sport”.
Pasquale Gravina gioca a fare il presentatore. Poi, però, si emoziona anche lui. Nonostante i nomi che chiami sul palco, in occasione della “vernice” che precede Italia-Giappone organizzata dallo sponsor Dhl, siano quelli di tanti compagni di battaglia. Ci sono praticamente tutti gli eroi dei tre Mondiali vinti consecutivamente nel 1990, 1994 e 1998. Tutti i componenti della leggendaria “generazione di fenomeni”, prendendo in prestito un brano degli Stadio. «La chiamano tutti così, io preferisco parlare di generazione fenomenale – precisa l’ex centrale azzurro – Il fenomeno puro e semplice, a volte, è legato alla fortuna, al caso. Qui, invece, no».
Al di là delle etichette, è il numero uno dello sport italiano Giovanni Malagò a mettere d’accordo tutti: «Il prossimo 19 dicembre, verrete insigniti del Collare d’Oro del Coni. Colmiamo questo vuoto del passato. Meglio: saniamo, dopo anni, questa ferita».
Ancora emozione, ancora applausi. E stavolta non c’è spazio per quei continui paragoni tra gli eroi che fecero l’impresa negli anni 90 e la Nazionale odierna. «I paragoni servono a riempire i giornali. Ma non trovo siano corretti, né per noi né per loro», chiosa Lorenzo Bernardi, giocatore del secolo Fivb.
E se la generazione… fenomenale avesse avuto dalla sua i social network? Risponde Luca “Bazooka” Cantagalli: «Wow, il delirio. Ma io non li invidio mica. Una volta, dopo un pre-Mondiale, non riuscimmo a uscire dal Palaeur tanta gente c’era. Siamo felici per ciò che siamo riusciti a ottenere e ci auguriamo per loro la stessa cosa».
«Io conosco bene Zaytsev e Maruotti – ricorda Samuele Papi – A quest’ultimo ho anche fatto da riserva nel 2010, a 37 anni. Dovranno tutti cercare di mettere da parte l’ambiente e pensare esclusivamente alla pallavolo».
Dello stesso avviso l’oramai giornalista Andrea Zorzi: «Hanno la possibilità di vincere, ma per passare dalla possibilità alla realtà l’atleta deve pensare esclusivamente al gesto».
«Anch’io una volta ho giocato all’aperto – rivela invece Paolo Tofoli – Nel 1985, a San Siro, prima di una partita dell’Inter».
A proposito: outdoor giocò anche la Nazionale di Velasco. «Un’amichevole contro gli Stati Uniti – riferisce Gravina – Sospendemmo quando da pallavolo passammo alla pallanuoto, per colpa dell’umidità».
«Se è per questo abbiamo giocato anche in palazzetti con 40 gradi e senza aria condizionata – interviene Andrea Sartoretti – e posso assicurare che quando sei in campo pensi solo a servire, ricevere, alzare e schiacciare. I problemi, in questo Mondiale così equilibrato, saranno altri: bisogna giocare bene dall’inizio e, dalla seconda fase, mettersi in testa che sarà una battaglia».