Per 21 tappe, eh già anche le crono individuali e a squadre, e forse anche nei giorni di riposo, si è vista davanti la maglia bianca con l’orca sulle spalle: sul petto tanto nero, al centro la scritta Sky Ocean rescue. Messaggio di forza, non solo finanziaria (aiuta certo) ma soprattutto di grande sagacia tattica per gestione di tanti campioni. Il Tour ha incoronato per la sesta volta (pazzesco) il team britannico (Wiggins, 4 volte Froome, Thomas) ma con tanta Italia dentro. Bici (Pinarello), completi (Castelli), selle (FiziK), borracce e rulli (Elite), caschi (Kask): ecco molta italianità e identità tecnica presente. Complimenti. Luke Rowe e Gianni Moscon hanno tirato per tanti e tanti chilometri, sono stati micidiali nel macinare strada. Erano i primi che intervenivano, che gestivano le prime fasi, che ponderavano le prime fughe e i primi recuperi. Una fatica improba, gambe che hanno mulinato davanti a tutti, mantenendo un ritmo pazzesco. Ecco il ritmo è stato come sempre la mossa vincente: mettere alla frusta tutti, e per tutti vuol dire quasi a impedire ogni tipo di scatto per i top player. Castroviejo, Kiawtowski e Poels hanno fatto il resto quando la strada si alzava, dalle prime rampe fino a quasi alla fine. Il quasi alla fine va invece al giovanissimo Egan Bernal, 21 anni, al primo Tour. Chiamato per fare esperienza e chissà per essere… una punta aggiunta. Caduto subito e ricaduto anche male dopo. Prima tappa e poi il pavé della Roubaix. Ma il giovane Bernal sulle salite, sulle montagne, ha dato una dimostrazione di sicurezza e di maturità che ha del micidiale. Il futuro del team è assicurato. Non dimenticate questo nome: BERNAL. Il Tour sarà suo tra pochissimo. E non solo quello.
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