Ha dovuto aspettare il Massiccio Centrale, ma al quattordicesimo tentativo la Spagna fa centro. A Mende, in una giornata designata per i fuggitivi, c’è l’arrivo solitario di Omar Fraile. Lo spagnolo della Astana vince perché è quello che gestisce meglio le energie tra i 32 che monopolizzano la gara. Conti sbagliati di un niente da Jasper Stuyven e Julian Alaphilppe, arrivati a pochi secondi. Epilogo di una giornata dalle scontate corse parallele: nell’altra, quella per la maglia gialla, il Team Sky fa il bello e il cattivo tempo. Controllo fino alla salita finale, che è anche la più dura, poi Thomas e Froome scattano entrambi, denotando – apparentemente – di andare d’amore e d’accordo. In attesa della resa dei conti, i due scavano un altro piccolo solco nel divario con Bardet e Landa, mentre non molla un metro Tom Dumoulin. Chi invece guadagna qualche secondo è Primoz Roglic: lo sloveno che da ragazzo faceva il salto con gli sci potrebbe meditare cose grosse sui Pirenei.
Tappa che alterna fasi emozionanti ad altre più blande. Percorso perfetto per andare in fuga: non durissimo, ma abbastanza duro da sconsigliare le squadre di riferimento nel buttare energie in vista del finale. Quattro GPM, i più indicativi il Col de la Croix de Bethel e soprattutto l’insidiosissima Cote de la Croix Nueve: 3 km, ma una pendenza media del 10,2%. Il picco è ad un tiro di schioppo dal traguardo di Mende: qui, nel 1995 vinse Laurent Jalabert, uomo sensibile a fughe e classiche, mentre 20 anni più tardi deflagrò una accesa rivalità nel ciclismo francese. Pinot e Bardet (al quale queste strade non sembrano propizie) più che galletti sembravano pollastri, l’esperto Cummings lo capì al volo e li impallinò.
L’idea di attaccare non è originalissima, come detto viene a 32 uomini. Thomas, Froome e compagnia bella possono stare tranquilli – il meglio piazzato, Damiano Caruso, è dietro quasi quaranta minuti – e lasciano fare. Ma nel lotto c’è parecchio sangue blu. Tra gli altri ci sono Gilbert, Alaphilippe, van Avermaet, Sagan, ma anche Monsieur 60.000 km al Tour (traguardo abbattuto ieri) Sylvain Chavanel e un po’ d’Italia con Damiano Caruso. Negli ultimi 40 km, tra salite e momenti di appannamento, regna una discreta confusione, tattica e di situazioni.
Prova a sparigliare le carte sulla la Croix de Bethel Gorka Izagirre, ma chi lo fa concretamente è Jasper Stuyven. Elemento da prendere con le molle per chi ha memoria accettabile. Basta pensare a quando vinse la Kuurne-Bruxelles-Kuurne con una azione solitaria che sembrò al limite dell’incoscienza. Nel giorno in cui il Belgio fa festa nazionale, celebrando il giuramento sulla Costituzione di Leopoldo I nel 1831, è lui a tenere alto il nome del ciclismo belga. Vuole imitare gli otto connazionali che hanno vinto il 21 luglio: il primo (1913) Marcel Buysse, non poteva ovviamente mancare Merckx (1974).
Stuyven va come un treno, gli inseguitori vanno come una carrozza. Ma è una sensazione ingannevole. Philippe Gilbert fa il gregario ad Alaphilippe e qualche risultato lo ottiene. Ma per il ribaltone è necessaria la Croix Nueve: quasi sempre dritta, dà poche possibilità di recupero. Styuven di colpo si ingobbisce: Fraile lo prende e lo stacca, Alaphilippe (che si muove bene ma tardi) lo aggancia. Pochi metri, ma dopo la vetta è solo discesa. E la Spagna al quattordicesimo tentativo si prende la prima vittoria.