La storia d’amore tra Jasmin Repesa e l’Italia s’arricchisce di una nuova suggestiva tappa. Il tecnico croato, che da noi ha vinto due scudetti (Fortitudo Bologna nel 2005 e Olimpia Milano nel 2016), ha allenato in cinque città diverse prima di approdare in questa stagione in Sicilia, a Trapani, che da oggi si sposta a Bormio per il ritiro, per lanciare il guanto di sfida alle grandi del basket tricolore.
Repesa, senza l’Italia non sa proprio stare?
«Qui da voi sto benissimo, lo sapete. Questa volta però non sono arrivato via mare come è accaduto a Pesaro, quando partii dalle coste croate per sbarcare nelle Marche e firmare per la Victoria Libertas. È andato bene anche un aereo. Per convincermi ci è voluto poco, sono stato travolto dell’entusiasmo del presidente Antonini, che mi ha presentato un progetto chiaro: creare una base solida e una grande squadra, anche se neopromossa, per puntare al massimo».
Magari l’avrà convinta il suo pupillo Basile, che ha fatto della Sicilia la sua casa.
«Baso devo ancora sentirlo, lo farò molto presto. So che si è stabilito a Capo d’Orlando. Come dargli torto? Questi posti sono meravigliosi. Trapani è a misura d’uomo, si conoscono tutti e sembra di stare in famiglia. Il mare, il calore del sole e della gente, la cucina favolosa. E le grandi ambizioni di un club che vuole cambiare gli equilibri della serie A. Abbiamo messo insieme un gruppo molto interessante».
Usa il plurale. Allora è vero che la squadra la fa anche Antonini?
«Ognuno ha i suoi ruoli e le sue competenze. Il presidente è un vincente, come non assecondare la sua sete di vittoria? Ma alla fine sui giocatori decido io, con i miei collaboratori dell’area tecnica. Come Andrea Diana, che ora è mio assistente ma ha portato Trapani alla storica promozione in A».
Un percorso strano quello di Diana, quasi fosse un gambero.
«Ero stato contattato dal club dopo la sconfitta nella finale di Coppa Italia di A2 a Roma. Ero rimasto colpito, affascinato ma avevo declinato l’offerta perché impegnato come dt delle nazionali croate. Intanto era stato scelto Andrea che ha fatto benissimo. Poi il mio telefono è squillato e il presidente mi ha detto: Jasko, l’appuntamento era solo rimandato, vieni a fare grande Trapani. Non so stare senza il campo, senza allenare. E mi piacciono le grandi sfide, Eccomi».
Uno staff da Eurolega?
«Mi provochi con la domanda? Certo che l’Europa nella sua massima espressione è un obiettivo. Come rompere il duopolio di Milano e Virtus. E noi siamo pronti a provarci. Abbiamo un Palazzetto ammodernato e pronto a grandi sfide, che proprio il presidente ha ristrutturato. Il club si sta rafforzando in ruoli chiave. Antonini dice scudetto? Apprezzo il suo entusiasmo e lavoreremo per arrivare più in alto possibile. Ogni tassello va sistemato alla perfezione. Ora dovremo consolidarci, vincere il più possibile e iniziare a guardare sempre oltre l’obiettivo già raggiunto. Intanto il 7 e 8 settembre ospiteremo un torneo di altissimo livello con il Partizan di Obradovic, i Ryukyu Golden Kings e Tortona».
La città come sta rispondendo?
«L’entusiasmo lo tocco con mano. Devo fare un po’ il pompiere, ma hanno ragione. Sono stati venduti 3500 abbonamenti, roba da top club. Ora però servono i fatti. Vorrei che la mia squadra, di cui sono soddisfattissimo, esprimesse un basket in cui i trapanesi e tutti i siciliani possano riconoscersi e di cui andare fieri: brillante, aggressivo, spettacolare. Questa è la mia promessa».
Chissà che strada facendo non incroci la strada di suo figlio Dino.
«È un ottimo coach, preparato. Quest’anno allenerà al Cedevita Zagabria. Presto sarà pronto per un grande club europeo, magari in Italia. Intanto mi ha regalato un nipotino. Mi piace sentirmi chiamare nonno, ma non sono pronto per la pensione».
La scorsa stagione è stata segnata anche da tanto dolore.
«Ho la Fortitudo nel cuore, è cosa nota. Prima la scomparsa, inaspettata, di Ruben Douglas. Viene ricordato per il canestro dello scudetto del 2005. Io l’ho nel cuore come un ragazzo solare strappato troppo presto alla vita. E poi Abele Ferrarini, storico massaggiatore della Effe. Abele era tutto. Amico, professionista, confidente. Un gentiluomo sempre disponibile. Ci mancherà, mi piacerebbe dedicargli un trofeo».