Archiviata la campagna d’Arabia – tre settimane nel deserto tra l’ultima sessione di test, il GP Bahrain e quello saudita –, la Ferrari si ritrova in cima alla classifica dei costruttori «con più punti di Mercedes e Red Bull messe assieme», precisa Mattia Binotto, e i due piloti davanti a tutti nel Mondiale. Si è presa quattro podi su sei, una vittoria su due, due bonus del giro veloce su due, 78 punti su 88 disponibili. In tutto questo c’è anche molto di Carlos Sainz, nonostante non sia ancora del tutto a suo agio con la F1-75. Ci si può stare, no?
Gli eventi si sedimentano soffocando la memoria, ma non ne serve troppa per ricordare quale fosse l’obiettivo della Ferrari solo due settimane fa: «Ridurre il ritardo da Mercedes e Red Bull, vincere qualche gara, fare podi con regolarità e partecipare alla lotta per il vertice». Non sembrava poco e ora che l’Arabia Saudita (anche un po’ rabbia saudita per il successo sfumato di poco) ha confermato l’assoluto spessore della doppietta iniziale di Sakhir, si può dire che la Ferrari – questa squadra, questa macchina, questo Leclerc – siano da Mondiale. Nel senso che abbiano tutte le capacità e i mezzi per andare a prenderselo.
Il silenzio di John Elkann
L’unica nota stonata è finora relativa al silenzio assordante del presidente John Elkann, rimasto muto dopo l’exploit al debutto e dopo la conferma di una competitività che non poteva essere data per scontata. Ciò finisce per dare l’impressione di un top-management preso in contropiede e rimasto basito dal successo come se si aspettasse il suo contrario, e di certo non è così. Non è così, giusto?