LARUNS – Col il suo 16° posto nella generale a 3’42” da Roglic, Damiano Caruso è di gran lunga il miglior italiano del Tour. Per trovarne un altro in classifica bisogna scendere al 56° posto di Formolo. Da Bettiol in poi siamo già oltre l’ora di ritardo. Ma non è solo questo: il ragusano Caruso sta mostrando una volta di più le sue qualità di uomo squadra. In questa occasione è la spalla fondamentale di Mikel Landa nella Bahrain-McLaren. Entrambi, senza il 1’21” beccato nella tappa dei ventagli di Lavaur sarebbero molto più su in classifica. Intanto, però, in questo lunghissimo giorno di riposto c’è lo scoglio dei tamponi da scavalcare.
Ansia, Caruso?
“Un po’, ma giusta, sono consapevole di aver fatto tutto perbene, a mio giudizio la storia della bolla sta funzionando. Domani sapremo”.
Com’è andata con il tampone?
“L’abbiamo fatto al mattino presto, in una struttura simile a un museo, non era un ospedale ma c’erano comunque medici e infermieri, in pochi minuti avevamo finito”.
Si sente con la coscienza a posto insomma.
“All’inizio ero un po’ scettico, ma siamo molto attenti, dal personale a noi corridori, evitiamo anche contatti inutili. Lavorando tutti insieme e facendo tutto quello che si deve si riduce drasticamente il pericolo di contagio”.
Lei è solo in camera?
“No, dormo con Sonny Colbrelli. Ora a La Rochelle ci è andata male, ne abbiamo avuto una affacciata su uno scalo merci, alcuni compagni invece hanno la vista sul porto e sulla ruota panoramica. Scherzi a parte, siamo molto concentrati e non commettiamo errori, la mascherina fuori corsa la portiamo sempre”.
Il problema, forse, è proprio la corsa.
“Sui Pirenei c’è stato qualche problema, me ne sono reso conto vedendo delle foto e i filmati. Quando ero in salita ero talmente concentrato da non aver notato che tante persone non indossassero la mascherina correttamente, o non l’avessero affatto. Mi aveva impressionato sì la quantità di gente, come se niente fosse, come se il virus non esistesse. Ma è un modo positivo di reagire. Ancor di più sarebbe però applaudirci a distanza, con la mascherina messa bene”.
E se il Tour finisse così, per Covid?
“Non voglio pensarci. Ma non ho mai avuto paura di ammalarmi in corsa. Se l’avessi avuta, sarei rimasto a casa”.
Sarebbe un peccato per lei, ottimo 12° a Laruns, e per Landa, 5° nell’ultima tappa e ora 10° in classifica e in grande ascesa.
“Landa sta andando bene, peccato per il ventaglio di Lavaur. Siamo stati anche abbastanza sfortunati dall’inizio. Valls si è ritirato, Poels ha una costola incrinata. Landa sui Pirenei, comunque, ha dato la sensazione di esserci. Stiamo lottando. Io mi sento molto bene, è uno dei miei migliori Tour”.
Come definisce il suo ruolo?
“Io sono un operaio specializzato, ho il compito di stare accanto al capitano e di scortarlo il più possibile sulle salite dei grandi giri. L’ho fatto con Nibali, ora lo faccio con Landa. Lo faccio da sempre. Spazio personale ce n’è poco, è vero, ma ormai sono diversi anni che mi sono ritagliato questo ruolo. Mi diverte, quando sto bene in salita mi esalto e poi a sera vado a letto contento. Lo stress lo lascio a quelli che devono vincere il Tour. Per me è bello essere importante per il capitano”.
Ha qualcosa di antico, tutto questo.
“Nel ciclismo i Caruso ci sono sempre stati. Non li troviamo negli albi d’oro, è vero. Ma in questo sport c’è spazio se hai l’umiltà di capire chi sei e cosa puoi fare”.
Il 2 agosto ha vinto in Spagna, al Circuito de Getxo, la sua seconda corsa da professionista, sette anni dopo la prima. Perché ora non va fuori classifica, si getta in una fuga e prova a vincere una tappa?
“Perché Landa ha bisogno di me, e io ho il dovere di stare con lui”.
Che pensa della crisi di Aru?
“Gli ho mandato un messaggio ieri, dopo la tappa. Gli ho detto di resettare tutto e di rispondere al telefono solo ad amici e parenti. Ripartire dalle piccole corse, ritrovare il gusto del piazzamento: questo deve fare. E non pensare a quando vinceva ed era un idolo per tanti. Deve pensare al presente e al futuro, e a ricostruirsi piano piano”.
E se facesse un passo indietro e si ritagliasse un ruolo simile al suo, per un capitano?
“Non è facile, non è un ruolo che si inventa dall’oggi al domani. Bisogna averlo nella testa”.
Un giorno si ritirerà a Punta Secca, la spiaggia del commissario Montalbano, a pochi passi da casa sua, e metterà giù due ombrelloni? Ci pensa al futuro?
“Non ancora. Ho 32 anni, finché il fisico regge tengo duro e vado avanti. Al futuro penserò quando arriverà. Non penso ad altro che alla bicicletta. Se pure mettessi su un negozio di cioccolatini, ora, dovrei stargli dietro, e non ho tempo”.
E al Mondiale di Imola ci pensa? In azzurro ha corso una fantastica Olimpiade a Rio, nel 2016.
“Stamattina ho parlato con Cassani. Mi ha spiegato il percorso. Sarebbe stato meglio per me se fosse rimasto quello di Martigny. Questo mi pare più adatto a scattisti come Alaphilippe o Van Aert. Ma se dovessi essere chiamato, risponderò presente. Ci mancherebbe”.