Bianco e volta, rosso e nero, yin e yang, strum und drang, due facce della stessa medaglia, due opposti che si sono sempre toccati, “topponi” di diritto e “slice” di rovescio, attacco e prudenza, coraggio e calcolo, slancio e intelligenza. Francesca Schiavone compie 40 anni. Ha smesso da due anni, non prima però di essersi tolta il gusto di vincere un “late show” a Bogotà nel 2017.
Senza di lei forse non ci sarebbero state le “altre” del tennis azzurro. Senza di lei, chissà, non si sarebbero sedimentate le qualità che hanno portato il nostro Paese e il nostro movimento tennistico femminile a vincere quattro Fed Cup. E’ sempre stata una guerriera, Francesca. Ha combattuto contro chiunque, contro ogni cosa. E ogni cosa ha sconfitto, compreso un tumore, anzi due, il suo e quello di sua madre. La osannavano e nello stesso tempo le dicevano di tutto, a cominciare da quel suo look in campo, da monello di strada, con colori smorti come il rosa pallido con cui entrò in campo al Roland Garros un anno dopo il trionfo, ossia nel 2011, per poi perdere contro la cinese Li Na, vestita con gonnellino rosso fuoco. Qualche anno fa si stufò di venir chiamata, e riconosciuta, come la “leonessa”. Non le andava più giù. Ma quello era: la regina della foresta, con quelle sue appendici colte o terra terra che alternava dando sempre un’idea diversa di sé.