Ci sono degli argomenti “noiosi” che interessano i tifosi solo quando colpiscono negativamente la loro squadra del cuore. Come quello del “diritto sportivo”. E’ il caso del Basket Ravenna, che in un ipotetico ranking di ammissione in serie A da una posizione #1 per quanto fatto vedere in campo nell’ultima stagione di A2, si è vista scivolare al #5 dietro non solo alla Torino cooptata al piano di sopra, ma anche a Verona, Udine e Napoli.
Sono 128 anni che si gioca a pallacanestro, da quando sono state fissate le regole. Regole che non sono mai state immutabili. Anzi, a cominciare dall’interferenza – nata per limitare il dominio quasi assoluto sul gioco di Wilt Chamberlain – il cambiamento delle regole ha portato ad uno sport più fruibile, alzandone il livello sotto tutti gli aspetti.
Gioco forza, negli anni, la definizione di diritto sportivo ha subìto affronti, anche pesanti, da chi in definitiva non voleva far altro che alzare il livello della qualità del gioco sotto diversi profili: atletico, organizzativo, economico.
Sotto tutti questi aspetti potremmo scrivere un lunghissimo capitolo sulla NBA: ma ci basta guardarne i risultati positivi sotto gli occhi di tutti. Piaccia o meno, tra la Coppa dei Campioni FIBA e l’attuale EuroLeague il confronto non andrebbe a premiare il passato.
Ne è un esempio, nel suo piccolo, anche la parabola di Legabasket negli ultimi cinque anni. Dove si è potuto vantare un incremento di pubblico, anno dopo anno, basato esclusivamente sul fatto che retrocedevano o sparivano società con piccolo bacino di utenza e salivano sul proscenio della massima divisione squadre più “consistenti”.
Se il presidente di Ravenna vuole conoscere il ranking per salire in serie A, anche in considerazione del fatto che non esista, ma sia stato inventato come giustificazione per l’occasione nei suoi confronti, gli consigliamo di non insistere. Il merito sportivo sarebbe la meno considerata voce e ne potrebbe uscire un’umiliazione cocente che la sua passione per la pallacanestro non merita.
Lo ha capito la ACB che, per non perdere definitivamente le quattro squadre di EuroLeague Real Madrid, Barcelona, Baskonia e Malaga, lo ha modificato in maniera stringente per le squadre che salgono dalla LEB Oro e per tutte quelle di Liga Endesa, rendendo quello spagnolo in pochissimi anni il più competitivo dell’Europa intera. Anche nelle squadre di media classifica, che dominano le coppe europee.
E ha fatto comprendere anche ai cervelli più duri e riottosi come la supremazia di quello italiano in decenni ormai lontani fosse conseguenza di proprietari appassionati o condizionati dalla politica che gettavano i soldi dalla finestra e del contratto televisivo di De Michelis.
Ci spingiamo fin da adesso ad affermare che, se la NBA procedesse ad una variazione di calendario posticipando la partenza della stagione regolare a dicembre, la pallacanestro italiana dovrebbe slittare di conseguenza anche per traslare l’attuale contemporaneità con il calendario del calcio di serie A e recuperare spazi nei palinsesti televisivi adesso inimmaginabili.
Adesso la palla tocca a Umberto Gandini e al coraggio che i presidenti dei club di serie A non hanno il coraggio di avere. Fissare come nuove tavole della legge quali saranno le regole per iscriversi al massimo campionato e procedere sulla strada che ne renda compatibili le proprie società all’iscrizione, ben sapendo che delle 18 di oggi, già diventate 15 dopo le evidenze di questi giorni potrebbero scendere a 12.
Perchè se non cambiano passo quel ranking che esclude Vianello esclude anche tanti di loro.