Coach Meo Sacchetti
Ci sono allenatori che “passano” nelle città come qualsiasi Lunedì di ogni settimana, poi ci sono figure che ne incarnano lo spirito, ne fanno le fortune e quando li ritrovi invecchiati (vale anche per me) ti sembrano terribilmente attuali, semper viridis, in questo arido deserto che l’emergenza sanitaria ha di fatto costretto lo sport e la vita di tutti i giorni. Meo dice che le occasioni, quando passano, bisogna saperle coglierle.
Meo Sacchetti è stato dei giocatori di basket più celebri in Italia e un allenatore tra i più stimati del parterre. Pilastro della Nazionale che nel 1980 ha vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca e nel 1983 l’oro agli europei, Meo ha segnato la pallacanestro italiana giocando a Bologna, Torino e Varese. Poi, dopo un grave infortunio, la svolta e l’inizio di una straordinaria carriera da allenatore. Tra il 2014 e il 2015, conduce la squadra sassarese alla vittoria dei suoi primi trofei nazionali, conquistando la Coppa Italia (due edizioni consecutive), la Supercoppa e soprattutto lo scudetto, al termine di una emozionante serie finale di sette partite contro Reggio Emilia, (75-73 il risultato della settima e decisiva partita a favore dei sardi).
Un triplete forse irripetibile per una squadra provinciale e il primo grande trionfo del basket sardo, ma Meo Sacchetti è molto di più: personaggio spumeggiante, diretto nei modi e capace di sorprendere tifosi e addetti ai lavori con la sua schiettezza e simpatia. Il suo è un basket frizzante, fatto di corsa, tiro, fantasia, in cui i giocatori sono chiamati a esprimere liberamente le loro qualità. Nato ad Altamura in un campo profughi, la vita di Meo non è stata sempre facile; orfano di padre, Sacchetti ha dovuto farsi largo per trovare il proprio posto nel mondo della pallacanestro nazionale. Dal 1º agosto 2017 è il commissario tecnico della nazionale italiana maschile di basket, succedendo ad Ettore Messina. Il 22 febbraio 2019, a seguito del successo contro l’Ungheria per 75-41, riporta l’Italia a disputare il Mondiale: l’ultima partecipazione degli azzurri, peraltro ottenuta tramite Wild Card, risaliva al 2006, mentre l’ultima qualificazione ottenuta sul campo addirittura al 1998. In virtù di questo risultato, all’indomani della qualificazione, il presidente della FIP Giovanni Petrucci decide di rinnovare il contratto di Sacchetti fino al 2021.
Nel 2016 ha scritto il libro “Il mio basket è di chi lo gioca” edito da Add Editore
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Quali sono le occasioni che non dobbiamo farci sfuggire e le lezioni che dobbiamo imparare da questa lezione chiamata Covid-19?
Le lezioni ci servono sempre e bisogna ripartire dalla base dello sport; l’élite è importante per la vetrina, ma adesso dobbiamo cercare di dare continuità ai progetti che partono dai giovani che poi sono il nostro futuro. Anche la pallacanestro, come tutto il resto, patirà una contrazione delle risorse e la situazione non potrà che essere difficile
5° posto virtuale (una partita in meno) e vittorie importanti contro l’Olimpia Milano e la Virtus Bologna, è soddisfatto degli obiettivi (seppur parziali) raggiunti?
Sono molto contento perché non eravamo partiti bene: abbiamo cambiato in corsa alcune scelte riguardanti qualche giocatore e con l’arrivo di Ethan Happ abbiamo rimesso le cose a posto. Nonostante i tanti infortuni importanti, in un momento difficile, abbiamo tirato fuori il meglio perché, chi giocava poco, ha avuto la possibilità di mettersi in mostra e l’ha fatto- Fino al momento dello stop (che ho trovato giusto) il nostro campionato è stato più che positivo.
Come immagina Meo Sacchetti la Serie A 2020/2021?
Sarà un campionato di transizione in cui si vedrà chi potrà continuare ad alto livello e chi no; tutti vogliono partecipare in A1 e confrontarsi con i migliori, ma ci sarà una selezione naturale inevitabile a qualsiasi livello globale non solo nello sport.
La Nazionale italiana, giocatori con età media di oltre 30 anni, con i settori giovanili in affanno da anni, qual è la ricetta di Meo Sacchetti per un nuovo futuro della maglia azzurra?
Il problema della Nazionale è che i giocatori devono dimostrare il proprio valore a step; quelli bravi possono anche saltarne alcuni e, conosciamo le realtà di giocatori che dal settore giovane sono arrivati nelle leghe superiori, però la maggioranza deve procedere per gradi per diventare protagonisti. La Legadue e la Serie B possono diventare un ottimo bacino
Se le dico Torino, quali sono le prime cose che le vengono in mente?
A Torino ho conosciuto mia moglie, sono nati tutti i miei figli, e molte persone vissute in quel periodo sono diventati importanti nella mia carriera, Caglieris è uno di questi. La passione da quelle parti è sempre molto forte, ho bellissimi ricordi legati al PalaRuffini e a quel periodo.
Le piacerebbe tornare sulla panchina gialloblù?
Sto molto bene a Cremona, è logico che rimango legato a Torino (che ho allenato in Serie B) così come a Varese; non ho più avuto offerte legate ad un mio impegno in panchina e alla mia età non ho tantissimi anni di carriera davanti che mi permettono di pensare così a lungo termine.
Cosa pensa del nuovo progetto targato Reale Mutua?
Questo nuovo progetto ha riportato il basket che conta in città, ha riacceso quella passione rimasta scottata dalle vicende del fallimento e la cosa non può che farmi piacere. C’era la paura di perdere la cultura gloriosa dell’Auxilium che con Gianni Asti è rimasto ancora vivo. Chissà cosa succederà il prossimo anno e quali saranno le nuove regole d’ingaggio, ma per mantenere il giusto livello, bisognerà avere garanzie solide.