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LBA – Fortitudo Bologna, Claudio Vandoni ricorda Gazzoni Frascara

LBA - Fortitudo Bologna, Claudio Vandoni ricorda Gazzoni Frascara

L’ex allenatore della Fortitudo Bologna Claudio Vandoni è stato intervistato da Damiano Montanari per Stadio. Ecco le sue parole.

Fortitudo. Ringrazio tutti. Mi è stata data l’opportunità di vivere una esperienza che può capire solo chi si trova in quella situazione. Sebbene fosse una Fortitudo ancora in crescita, aveva già tutta l’energia e la passione che la contraddistingue. Ricordo il mio compleanno, festeggiato il 19 agosto in ritiro a Lizzano in Belvedere, e la mia ultima partita da head coach coincisa con la sconfitta a Udine. Ho vissuto quei sette mesi in maniera totale.

Bologna. Quando uscivo dal Paladozza amavo camminare per la città, cercando di carpirne i segreti. Sono riuscito a sentirla mia.

Gazzoni Frascara. Vorrei porgere le mie condoglianze alla moglie di Giuseppe Gazzoni Frascara, Grazia, che ho conosciuto: lei è stata presidentessa dell’AIRC, associazione a cui ho sempre dato un contributo. Ricordo l’organizzazione della manifestazione ‘Le arance della salute’ del 2014. Alla presentazione incontrai il dottor Gazzoni, parlammo di sport ma non solo. Mi chiese dove avremmo allestito la postazione di vendita delle arance e si congedò. Il giorno dopo andai là in prima linea, con tanti personaggi del mondo del basket bolognese come Nino Pellacani, Maurizio Ragazzi, Vincenzo Ritacca e i miei amici Renato Albonico e Gigi Serafini. Per la Fortitudo era presente Andrea Iannilli. Gazzoni arrivò nel pomeriggio, e senza esitare disse ‘Compro tutte le cassette di arance che sono rimaste’. Le pagò, le caricò da solo in macchina, ci salutò e andò via. E’ stato un gran signore.

Leucemia. A 38 anni mi diagnosticarono una leucemia. Anzi, fui io a capirlo. Avevo studiato Medicina e la semplice anemia di cui parlavano non mi convinceva. Andai da uno dei più importanti ematologi di Roma, che mi sottopose a un paio di terapie. Inizialmente sembravano funzionare, poi risultarono inutili. Mi misero con le spalle al muro, dicendomi di valutare, tra le ipotesi, anche di avere un certo tempo da vivere. Era iniziato il countdown. A salvarmi fu Larry Brown, lo avevo conosciuto nel mio viaggio professionale a UCLA, Los Angeles, quando lavoravo per il Settore Tecnico della FIP. Mi parlò di una cura sperimentale a base di arsenico. Mi informai per farla arrivare in Italia, incontrando però il veto delle case farmaceutiche. Fu mia madre, che era Dama di San Vincenzo e prestava servizio a Città del Vaticano, a riuscire a fare arrivare la cura in una farmacia vaticana. Nessuno della mia famiglia, a parte lei e mia sorella Cristiana, sapeva del mio problema. Mi sottoposi a cicli terribili con pesanti effetti collaterali, prima a Villa Stuart a Roma poi alla Clinica Settembrini a Perugia. Al martedì firmavo sotto la mia responsabilità per potere tornare dai miei cari in modo che non si insospettissero. Sono andato avanti così per circa due anni, poi sono guarito.

Insegnamenti. Avere vinto la leucemia mi ha insegnato due cose. La prima è apprezzare le cose a cui prima non davo il giusto peso, perchè ero molto farfallone. La seconda è che non ho paura di niente. Ringrazio Dio perchè ogni giorno è guadagnato. So di essere anziano e immunodepresso, ogni giorno mio figlio Lorenzo si raccomanda di riguardami ma a me non interessa. Voglio vivere al massimo la mia vita.

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