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LBA – Oscar Schmidt “Io che non ho più paura della morte”

LBA - Oscar Schmidt "Io che non ho più paura della morte"

A San Paolo c’è in quarantena forzata – il Brasile è salito alla ribalta come paese del Sudamerica più colpito dalla pandemia del Covid-19 – Oscar Schmidt, 62 anni, il primo eroe cestistico di Kobe Bryant quand’era bambino e seguiva il padre Joe nelle province d’Italia.

Su Il Mattino, nell’intervista concessa a Francesco De Luca ricorda: “Disse in un documentario che era un mio tifoso: provai un emozione fortissima. Che anno disgraziato: prima quell’incidente che ci ha portato via Kobe e sua figlia, poi questa tragedia.”

Paura del coronavirus. “Io non ho paura dal giorno in cui mi diagnosticarono un tumore al cervello. Sono stato operato, ho affrontato le cure, sono tornato alla vita di tutti i giorni accanto a Cristina. Quel male mi ha cambiato in meglio: ha cancellato le mie angosce, non ho più neanche la paura di morire. Dio, se vuole, può portarmi dov’è lui. Ecco perché sono sereno davanti a questo virus. Un virus di merda, scrivilo.

Brasile e coronavirus. Oggi il mio Paese si sta comportando da Paese di primissimo livello. Si gira con le mascherine, è possibile muoversi per andare in farmacia e al supermercato. Viene ingigantito ciò che accade in Brasile, come gli stadi trasformati in ospedali da campo per l’emergenza sanitaria. Il presidente Bolsonaro ha sostituito il ministro della Salute, però il governo sta lavorando benissimo: ci sono i posti letto,ci sono i respiratori e questo conta.

Il vero problema è un altro e il governo lo ha capito. Quelli che ogni giorno escono per guadagnare i soldi necessari per sfamare la famiglia? Loro non possono fermarsi e adesso il governo li sta aiutando con un sostegno. Speriamo che passi presto anche per queste persone, le più bisognose.

Motivatore. Alla fine degli anni’ 90, quando tornai dall’Italia. Pensavo solo al basket, allenamenti e partite. Un giorno mi invitano all’evento di uno sponsor. Entro in palestra e vedo poche persone. Allora, tutto qui? Mi accompagnano altrove, quello sponsor aveva riunito i suoi 8mila dipendenti per ascoltarmi. Andai a braccio, si dice così? E fu un successo. Si sono intensificati i contatti e i clienti, è iniziata una nuova carriera, anche perché non è che avessi guadagnato chissà quanto in quella da cestista.

Cosa le manca? Non poter abbracciare i miei figli, poi mi rendo conto che è quello che manca a tutti i genitori del mondo. E allora mi mancano le giornate al bar dove siamo in venticinque e io sono il più giovane, o le partite di calcio. Oggi è così. Dobbiamo avere fiducia in noi stessi e nei medici. Stanno sperimentando cure in attesa dei vaccini, si adopera anche in Brasile la clorochina che può provocare tachicardia. Se la danno a un ammalato può morire. Ma può morire anche se non gliela danno.

Le manca l’Italia? Molto, penso spesso agli anni di Caserta, anche in questi giorni. È un pezzo di vita, di amicizie forti che hanno resistito al tempo. Sono passati trent’anni dal mio ultimo campionato in quella squadra, eppure a Caserta resiste il club degli Oscariani, tifosi appassionati oggi come allora. E sono queste le gioie della vita.

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