Nell’annoso dibattito sulla mancanza di talenti e giocatori di primo livello sfornati dalle giovanili del Bal Paese per il professionismo cestistico, si inserisce un delizioso articolo di Simone Clerici che, per La Provincia, invece di perdersi in fumosi proclami, racconta un “come è andata a finire” sulla squadra Under 20 di Cantù che nel 2016 vinse lo scudetto con il must di Gerasimenko che innaffiava tutti di champagne, intervistando il suo allenatore Antonio Visciglia.
Aspetti. Ci sono mille aspetti da valutare. Innanzitutto ci sono tanti giocatori di A2 che potrebbero stare in A1, ma che preferiscono rimanere dove sono perché prendono più soldi. Poi possono subentrare anche scelte personali, come nel caso di alcuni nostri giovani di quell’Under 20 che si sono orientati sullo studio e hanno deciso di non intraprendere una carriera di giocatore itinerante. E poi c’è un altro aspetto: non si può pensare che finita l’Under 20, un giocatore sia già fatto e finito.
Maturazione. A 18 anni non diventano senior ma sono ancora dei bimbi cestisticamente parlando. Vanno fatti maturare col tempo. C’è poi chi per fare il salto di qualità ci mette due anni e chi cinque, anche a livello di struttura fisica. Ne parlavo tempo fa con Capobianco, e pensavamo a quanti sono arrivati in A a 25 anni perché prima dovevano formarsi. Gli anni tra le giovanili e i senior servono per fare il salto di qualità. Pensiamo che nella pallavolo italiana, che primeggia nel mondo, i campionati arrivano fino all’Under 23.
Da Abass (che non c’era in quell’under) a Zugno. Per noi è il fiore all’occhiello e un punto di riferimento. A differenza di Precida che ha del talento innato, Abass è stato uno che si è costruito con tanto lavoro. All’inizio con la serie A ha fatto fatica. A Milano giocava poco, però ha fatto esperienza. E così adesso è un protagonista. Ma è del ’93 ed è 4 anni avanti rispetto ai nostri under del 2016. Per ora nessuno di loro tranne Baparapè è arrivato in A ma non è ancora detto. Secondo me Zugno e Cesana possono farcela. E poi c’è un altro fatto.
Il coraggio delle società. Sfido a trovare quanti Under 20 giocano adesso in serie A. Quante società hanno la pazienza di aspettare e di non crocifiggere un allenatore se perde due partite. Perché allora dovrebbe rischiare per far giocare un giovane?