Martedì prossimo, a margine della partita di Eurolega contro il Maccabi Tel Aviv, l’Olimpia Milano ritirerà la maglia numero 11 in suo onore. Sotto i riflettori quindi Dino Meneghin che parla con Tuttosport nell’intervista di Dario Nardella.
Maglia. È un onore e un privilegio. Un qualcosa che abbiamo costruito tutti insieme in tanti anni di gioco.
Messina per tornare grande in Europa. Ci proverà come tutti quelli che si sono succeduti su quella panchina prima di lui e che erano i migliori È un compito difficile, ma Ettore ha dalla sua le capacità, il carisma e la personalità per dare a tutti i suoi giocatori la giusta dimensione sia italiana, sia europea. Un compito difficile, perché le squadre avversarie sono delle corazzate. Le somme però si tireranno a fine anno e sono sicuro che tutti faranno un grandissimo lavoro per accontentare il palato fino dei tifosi milanesi e anche per rispetto agli investimenti del gruppo Armani.
Milano come l’Anas. Per ora Milano è come l’Anas, ha il cartello lavori in corso. Ci sono squadre come Bologna con Teodosic, Venezia, Sassari anche Brindisi che possono ambire al titolo. Tutto si deciderà come sempre nei playoff è lì che bisognerà dimostrare di essere la squadra più forte.
Maccabi. Quella di poter celebrare questa cerimonia contro il Maccabi è stata una mia richiesta. Questo perché con questa società c’è un legame di stima che dura dal 1966, quando giocai per la prima volta a Tel Aviv. C’è un feeling particolare con la società, con il presidenteShimon Mizrahi. È un qualcosa di nostalgico, il sistema Maccabi mi ha sempre affascinato.
Ricordo più bello. In realtà i miei ricordi più belli sono due: il primo scudetto nel 1981-82 quando ero appena arrivato da Varese. Mi ruppi il menisco, soffrii, ma recuperai e vincere fu la conferma delle possibilità di quella squadra. L’altro è la partita di ritorno contro l’Aris Salonicco del 1986 (Milano perse l’andata in Grecia di 31 punti e vinse di 34 a ritorno in quell’annata che poi si chiuse con il successo nella Coppa Campioni del 1987). in campo non c’erano 12 giocatori, ma eravamo in 10 rnila. Quella è la partita che rappresenta lo spirito combattivo dell’Olimpia.