La fretta che affligge la società moderna è il vero male del secolo. Tutto e subito, colpa dell’incredibile sviluppo tecnologico che ci ha portato a fare mille cose tutte insieme e pretendere che ogni questione si possa fare, gestire ed ottenere con un click, scorrendo un dito su di uno schermo o via dicendo. Tutto poi deve essere eccezionale, grandissimo, incredibile. O arrivi al n.1 o niente, non c’è la via di mezzo. Si è perso il gusto dell’attesa e, nella vita come nello sport, la serena accettazione che non si possa vivere di superlativi; anche che la maggior parte delle volte si perde perché banalmente c’è qualcuno più bravo di noi, che ha lavorato meglio o possiede abilità superiori. Immagini te stesso al massimo perché senti di averne le qualità e il contesto intorno ti fa credere che la scalata sia lì a un passo, che non manchi proprio niente per farcela. Invece, non accettare i propri difetti è quel che ti fa cedere giù, sempre più in basso… Questo preambolo è necessario per inquadrare nel tennis l’accettazione della difficoltà nel maturare e raggiungere risultati importanti, anche quando si è animati da un talento vero, colpi incredibili e un potenziale notevolissimo. È quello che ha vissuto sulla propria pelle Denis Shapovalov, talento considerato epocale ma scivolato nell’ombra per colpa di problemi fisici e soprattutto una grave difficoltà nel crescere dal punto di vista personale, della mentalità e nella gestione dello stress che è implicito nel tennis. Il canadese è salito agli onori della cronaca per il bellissimo successo all’ATP 500 di Dallas, il suo più importante titolo in carriera, terzo in assoluto dopo Stoccolma 2019 e Belgrado 2024. Sono passati ben 5 anni dal primo alloro in Svezia, alla fine quella stagione, e il secondo in Serbia, alla fine dell’anno da poco andato in archivio. In questi cinque anni di mezzo ne è passata di acqua sotto ai ponti e il buon Denis ha vissuto qualche momento di grande spolvero, come la semifinale a Wimbledon 2021, ma anche e soprattutto una serie infinita cadute rovinose, bruttissime, figlie di ataviche debolezze tecniche e mentali. Dopo i gravi problemi fisici al ginocchio che hanno penalizzato il suo ultimo anno e mezzo, “Shapo” sembra rinato. Soprattutto, è un po’ cambiato.
Già a Belgrado 2024 si era visto uno Shapovalov più calmo. Sereno forse ancora no, ma decisamente meno su giri, privo quell’attitudine un po’ “bullesca” che tanto lo ha penalizzato e obnubilato, rendendolo incapace di capire il contesto intorno a se, cosa stessa facendo l’avversario e quindi tarare giusto un minimo i suoi fendenti per applicare un briciolo di razionalità alla sua smisurata esuberanza. Questa settimana a Dallas si è avuta la conferma di quanto Denis stia migliorando nella gestione delle emozioni e nella selezione dei suoi colpi. Certamente il fisico è tornato in grande spolvero e le sue gambe formidabili sono tornate a generare tantissima spinta, ma è nella misura e lucidità ad aver fatto un deciso passo in avanti. Non puoi battere 3 top10 in un torneo (Fritz, Paul e Ruud) in match belli tirati se non riesci a tenere i nervi più saldi e giocare colpi non solo spettacolari ma anche efficaci al momento giusto. L’evidenza viene in finale, ieri sera vs. Ruud: 13 Ace nel primo set, molti tirati in momenti chiave. Il “classico Shapo” (o “sciupo” come bonariamente in passato l’ho ribattezzato in diverse brutte sconfitte…) lì avrebbe tirato a 300 all’ora per scappare emotivamente dal momento duro, o la va o spacca. Invece stavolta no, contro il tosto norvegese ha piazzato diversi Ace con un servizio controllato e preciso, come tanti sono stati i diritti calibrati con spin e quel mezzo metro di margine rispetto alle righe che sempre gli era mancato. Non ha perso il suo essere show-man, l’attacco un po’ spericolato e la spallata di rovescio a tutto braccio, ma quelli sembrano non esser più la base del suo gioco.
Tanto e bene sembra aver lavorato Janko Tipsarevic, al suo fianco da un po’ di mesi. Il serbo è sempre stato tennista solido, in grado di contenere l’estro nella praticità, arrivando a risultati eccezionali in rapporto dal suo tennis. “Lui conosce cosa sto passando e cosa sento nel corso dei match, può guidarmi molto nel tornare al massimo livello. Ho sofferto tanti problemi fisici e di altro tipo, sono animato solo dalla voglia di tornare al massimo del mio potenziale, se ero arrivato in top10 non era stato per caso, sento di potercela fare di nuovo” aveva affermato il canadese lo scorso gennaio in Australia all’inizio dell’anno. Un focus superiore, che lo rende propositivo ma meno distruttivo. Questa era forse la parola che meglio descriveva il suo malessere agonistico in passato: una negatività che lo portava a non prendersi mai la responsabilità per i propri errori e problemi, trovando sempre un’ottima scusa per non fare un salto di qualità. Solo accettando i propri difetti e ascoltando chi ti è a fianco forse ce la puoi fare. È inutile riguardare i filmati delle proprie sconfitte esaltandosi per 3-4 giocate da Highlights se non cogli i motivi che ti hanno portato a sbagliare troppi colpi e gestire male emozioni e tattica, venendo sconfitto. Probabilmente Denis ha finalmente capito i veri motivi dei suoi problemi agonistici, e in campo lo si nota meno agitato, più calmo e pensante.
Nel tennis la maturazione è un percorso del tutto personale, difficile e non privo di insidie. Shapovalov nella settimana di Dallas ha affermato di sentirsi molto tranquillo, con il suo team, la fidanzata e anche un piccolo cane con il quale si è messo a giocare prima dei match, ricavandone serenità. Forse la serenità era anche quel che gli mancava, troppo animato da una smania di arrivare che finiva per bloccarlo. “Questo successo non è solo mio, ma anche della mia squadra. Tutti hanno fatto un grande sforzo affinché potessi competere di nuovo al massimo e sentire fiducia nel mio ginocchio per esibirmi al mio miglior livello. Ci sono stati momenti in cui dubitavo di poter continuare a essere un tennista, quindi questo titolo significa molto per me perché ho attraversato un periodo in cui era impossibile giocare a tennis senza soffrire” ha affermato dopo il successo in Texas. “È chiaro che devo basare il mio tennis sull’essere aggressivo e conquistarmi il punto, ma sto cercando di essere più intelligente nella selezione dei colpi. Accumulare fiducia è vitale affinché ciò accada e la vittoria di questa settimana contro Fritz mi ha fatto capire che sono in grado di battere ancora i migliori”. Difficilmente in passato Denis affermava cose del genere, piuttosto si lagnava per qualcosa o assicurava che avrebbe battuto tutti a furia di pallate. Non è così che si vincono i tornei.
C’è stato un altro passaggio nella finale di Dallas che rivela alla perfezione il “nuovo” Shapovalov. Tiebreak del primo set, lo gioca benissimo, aggressivo e in spinta. Commette un errore banale col diritto, ma rimedia subito servendo da campione e portandosi avanti 6 punti a 4, a due set point. Serve, attacca col diritto ma il passante del rivale è deviato dal nastro e perde il punto. Ecco, Denis 1.0 avrebbe bestemmiato contro tutte le divinità possibili invocando una sfiga atavica che lo perseguita proprio nei momenti cruciali, avrebbe perso focus e si sarebbe incaponito, con rabbia alle stelle, tirando tre pallate senza senso, ovviamente fuori, perdendo così il tiebreak, il focus sull’incontro e venendo irrimediabilmente sconfitto. Invece stavolta il Denis 2.0 non ha battuto ciglio, è tornato in risposta e si è preso il punto, il tiebreak, decollando quindi come un Concorde verso il meritato successo. Non c’è un altro sport come il tennis nel quale sia così decisivo accettare e gestire la frustrazione. Se Shapovalov finalmente ci riesce, beh, abbiamo ritrovato un grande talento ed è una bellissima notizia. Non è mai troppo tardi per maturare e svoltare. Ognuno ha i suoi tempi e modi. Denis forse c’ha messo un bel po’ e serviranno altre conferme prima di “cantare vittoria”, ma l’imperfezione è parte della bellezza di ciascuno di noi, è quello che ci rende unici e affascinanti. Proprio come quei colpi impossibili del canadese, quelli che fanno sognare…
Marco Mazzoni