La recente nomina di Rafael Nadal come nuovo ambasciatore della Federazione di Tennis dell’Arabia Saudita ha sollevato un polverone in varie parti del mondo. Le accuse di ‘sportswashing’ rivolte al regno del Golfo Persico sono state numerose e le dichiarazioni di elogio di Rafa verso il paese hanno scatenato diverse reazioni.
In un contesto globale in cui il tennis cerca nuovi orizzonti, l’ingresso di figure di calibro mondiale come Nadal nel panorama sportivo saudita rappresenta un punto di svolta significativo. Eppure, questa mossa non è stata priva di critiche. Il concetto di ‘sportswashing’, ovvero l’uso dello sport come strumento per migliorare l’immagine pubblica di un paese attraverso eventi sportivi di alto profilo, ha acceso un dibattito acceso tra gli appassionati e gli addetti ai lavori.
In un mondo del tennis sempre più globalizzato, la figura di Nadal come ambasciatore dell’Arabia Saudita solleva questioni importanti su sport, etica e politica. Mentre alcuni vedono questa mossa come un’opportunità per il cambiamento, altri restano scettici. Ciò che è certo, è che il dibattito su sport e ‘sportswashing’ continuerà ad animare le discussioni nel mondo dello sport e oltre.
Per la prima volta, Rafael Nadal ha affrontato pubblicamente la questione, offrendo una prospettiva ponderata e riflessiva su un annuncio che ha sorpreso molti. Parlando nel programma “El Objetivo” su La Sexta, con Ana Pastor, Nadal ha espresso le sue motivazioni per accettare il ruolo di ambasciatore e la possibilità che la sua presenza possa contribuire positivamente a un cambiamento sociale e sportivo in Arabia Saudita.
Nadal ha sottolineato di non credere che l’Arabia Saudita abbia bisogno di lui per “lavare” la sua immagine, ma piuttosto ha visto nel paese un potenziale per l’apertura e il progresso. Ha riconosciuto che ci sono aspetti che necessitano di miglioramento e che il paese è indietro in molti ambiti, ma ha espresso la speranza che la sua collaborazione possa favorire una positiva evoluzione nei prossimi anni. Nadal ha anche lasciato aperta la possibilità di ammettere un errore nella sua decisione, qualora gli obiettivi di progresso non venissero raggiunti.
“Non ritengo che l’Arabia Saudita abbia bisogno di me per ripulire la propria immagine. È una nazione che si è aperta al mondo, dotata di un notevole potenziale, il che rende naturale l’interesse globale verso di essa. Esiste la percezione che tutto possa essere acquistato con il denaro e che ora anche Rafa abbia ceduto al richiamo finanziario… comprendo che le persone possano pensarla così, riconosco che vi sono aspetti che necessitano miglioramenti immediati, senza alcun dubbio, e che il paese sia arretrato in numerosi settori. Di recente, l’Arabia Saudita ha iniziato un processo di apertura: se non dovesse realizzare il progresso che ritengo necessario nei prossimi 10, 15 anni… beh, ammetterò di aver commesso un errore grave. Sono convinto di poter mantenere la libertà di operare secondo i valori in cui credo e che considero corretti per me. Qualora ciò non dovesse avvenire, sarò il primo a riconoscerlo nella prossima intervista, a distanza di tempo, ammettendo di aver sbagliato.”
Questa mossa si inserisce in un contesto più ampio di coinvolgimento del tennis mondiale in Arabia Saudita. Grandi nomi come Djokovic e Alcaraz hanno già partecipato a eventi nel regno, contribuendo a dipingere un’immagine positiva del paese nel panorama tennistico globale. L’impegno di Nadal come ambasciatore va oltre il semplice aspetto sportivo, proiettando la visione di un tennis saudita in cerca di evoluzione e progresso.
L’inclusione di Nadal, insieme a quella di altre stelle del tennis, nel ‘6 Kings Slam’, un evento storico al di fuori del circuito ATP che promette premi in denaro mai visti prima, segna un ulteriore passo verso l’integrazione dell’Arabia Saudita nel circuito tennistico mondiale. Resta da vedere come queste iniziative influenzeranno il panorama del tennis globale e se porteranno ai cambiamenti sperati, tanto sul campo quanto fuori.
Francesco Paolo Villarico