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Editoria: “Dal Buio all’Oro”, un viaggio, una vita sottorete di Bruno, con Bruno

Londra, 12 agosto 2012, ore 14.00… circa. 

Io c’ero sulla tribuna stampa dell’Earls Court Exhibition Centre a quell’incredibile Russia-Brasile, una finale vinta due volte, persa due volte, dove a vincerla per ultima fu la Russia di Alekno e del suo vice Sergio Busato da Resana, provincia di Treviso, (“Se avessimo perso 0-3 ci avrebbero dato dei cretini, come perdere provando la mossa Muserskiy opposto con Mikhaylov in posto 4. Ci avrebbero dato dei cretini… Tanto valeva provare”), dove a perderla per ultima, segnando molti verdeoro nell’intimo, fu il Brasile.

Una finale incredibile, con Ary Graça, oggi presidente FIVB, allora “solo” presidente della Confederazione Brasiliana di Volley che a metà del terzo set con il suo Brasile avanti 2-0 e a un passo dall’oro lascia la tribuna delle autorità per recarsi a bordo campo. Pronto per la festa. 

Non so dove si sia recato il presidentissimo nei restanti set di quella finale incredibile, ricordo però il volto del libero Sergio in campo, incredulo per quello che stava accadendo. Così come i suoi compagni, tramortiti dal cambio tattico e dai suoi effetti. 

Da fuori è più facile leggere quello che sarà perché l’inerzia di una partita da spettatore neutrale la leggi, la percepisci. Anche se non nego che in una qualsiasi finale tra Brasile e Russia, il mio favore e la mia simpatia va sempre, tutta, per i verdeoro.

Il Brasile nel finale del terzo set di quella partita aveva perso la finale. Quarto parziale e tie break furono solo un necessario proforma regolamentare.

Quello che da fuori non ho mai percepito, anche perché Bruno, dopo quella partita se ne tornò due stagioni in Brasile al nuovo club di Rio, che peraltro ebbe vita breve,  è lo stato d’animo del ragazzo. Ne allora, ne mai perché all’agonismo trasmesso in campo, a volte anche eccessivo, a quella sua faccia trasformata su ogni pallone,  all’esterno dal campo, in pubblico, ha sempre avuto un sorriso per tutti. O quasi. 
Ricordo perfettamente anche di averlo fatto incazzare parecchio – qualche anno fa – per questioni legate al suo rapporto poco fluido con Stoytchev, ma questa è un’altra storia.

Bruno nel libro “Dal buio all’oro”, da oggi in libreria, edito da Rizzoli, firmato dalla coppia Giampaolo Maini e Davide Romani,  si racconta. Racconta la sua carriera sportiva in quello che è un lunghissimo articolo giornalistico in cui celebra i suoi tanti anni di pallavolo sul campo e nell’immediato perimetro all’esterno, anche se concede pochissimo della sua vita privata.

Bruno, riservatissimo nel suo, nelle oltre 200 pagine del racconto apre al malessere post Londra, un momento ai più – così in profondità – sconosciuto. Un malessere che in molti atleti forse è diffuso, ma che tra ricerca di risultati, relazioni esterne, addetti stampa, agenzie di comunicazione, sponsor e società spesso viene nascosto o taciuto. Spesso, purtroppo, per deflagrare con risultanze inspiegabili ai più.

Tutto ha inizio – anche il racconto – alle 15.21 di quel 12 agosto, con l’ultima palla di quella finale. Quel buio interiore però si illumina a Rio2016 quando il Brasile – forse una squadra meno performante di quelle viste nel recente passato – basta però per mettere sotto l’Italia nella finalissima e chiudere il cerchio. Bruno vince l’oro olimpico a casa sua. Una trama che forse nessuno sceneggiatore avrebbe mai potuto anche solo tratteggiare.  

Alla fine, letto in un fiato, resta la consapevolezza che quel “buio” dopo Londra sia stata una pagina nella maturazione del campione che è Bruno Mossa De Rezende. Un male “quasi necessario”, me lo si conceda, per poi assaporare con maggior consapevolezza l’apice massimo di ogni sportivo, la vittoria dei giochi olimpici.

Un libro che è un cammino comune. Perché l’ho visto quel ragazzino che a 5 anni diceva a Renan che lui era bravo ma Kiraly restata il più forte del mondo, l’ho visto bimbo correre al palaPanini quando suo padre arrivò ad allenare la Panini nell’anno sbagliato, quello post saccheggio. Quel PalaPanini dove Bernardo e Vera Mossa, forse un po’ contro pronostico in quegli anni, vinse la Coppa Italia con Perugia femminile.  

L’ho visto a Katowice nella finale di World League 2006, dove c’era Ricardo titolare ed MVP della finale, era la stagione del suo debutto in nazionale e della rottura successiva tra Ricardo e Bernardo; l’ho visto al suo primo arrivo a Modena con Bagnoli che quasi lo strappo via dai microfoni della stampa per la voglia di quella prima cena a due; l’ho visto festeggiare a Roma il Mondiale 2010 con i verdeoro che ballavano in campo al ritmo della parola “tricampeão”, come l’Italia (sin lì), in Italia.

C’ero anche quando tornò al PalaPanini la seconda volta, e la terza. C’ero nel giorno della trasmissione televisiva modenese con tutta la squadra contro Stoytchev, uno degli errori riconosciuti di Bruno, anche se forse l’errore più grande per la piazza modenese fu quando sostenne che non aveva ancora deciso cosa avrebbe fatto l’anno dopo quando in realtà era già entrato nell’orbita Lube; c’ero a Rio quando ha vinto l’oro, quando suo padre, il Ct del Brasile in sala stampa interruppe il discorso in portoghese, o inglese e, vedendomi, passare all’italiano per mandare un ringraziamento ad Angelo Lorenzetti per quello che aveva fatto con Bruno nelle precedenti stagioni. 
C’ero anche al recente bronzo mondiale dove Bruno ha vissuto la prima stagione, da quando è Bruno, in staffetta con un altro regista, fino a tornare nella finale e dare un vitale contributo per il bronzo.  

La storia dell’ex Bruninho è più luce che buio, anche se quel buio, come ci hanno insegnato anche gli accadimenti degli ultimi gironi, non deve mai essere trascurato. Nel suo modo di essere il ragazzo ha dimostrato comunque di saper vincere anche quella partita, con estrema lucidità. Accettando di farsi seguire, di aprirsi con chi era giusto che si aprisse.

Il resto è il Bruno che conosciamo tutti e che tutti hanno potuto applaudire almeno una volta per la sua rappresentazione totale dell’essenza dello sportivo. Anche con i suoi eccessi.

Nel libro mi sono appuntato alcuni momenti della vita del regista gialloverde che secondo me ne tracciano il profilo, sin dalla tenera età. Come detto, a 5 anni c’è l’incontro con Velasco in un evento in cui sono invitati mamma Vera Mossa e papà Bernardinho. Racconta che mise le cose in chiaro con il Ct italoargentino presentandosi così: «Io sono Bruno, il miglior under 5 del Brasile»
Quindi l’incontro con Renan, quello che anni dopo diventerà il suo Ct: «Renan, tu sei forte, ma il migliore è Karch Kiraly».
Nei primi passi a minivolley in quel di Sumirago, dove giocò la mamma, Bruno racconta di essere stato allenato nientemeno che da Franca Bardelli, mamma delle sorelle Bosetti e moglie di Giuseppe Bosetti…  
Si leggono poi le critiche alla FIVB pensando ai giocatori di volley: “Ci spremono come atleti e come persone”; quindi la promessa (di Lorenzetti, trasmessa da Bruno) ad Ngapeth di una serata milanese come incentivo per vincere una partita contro Trento; c’è il racconto dello scudetto perso contro Trento per un eccesso di “odio”, il “Piove, allora vinciamo” mantra brasiliano, la gestione dei ‘casini’ del “fratello” Ngapeth a Modena, i confronti con l’altro leader della allora Lube Juantorena, l’incredibile speech motivazionale di patron Giulianelli prima dello scudetto vinto dai cucinieri a Perugia,  il covid in Brasile, il calcio di Leal a Travica e lo sguardo motivazionale dello schiacciatore cubano che in gara 5 non arriva, fino all’aiuto di Marco Meoni… 

E’ in libreria, 252 pagine al prezzo di copertina di € 18,00, edito da Rizzoli. Vale la pena averlo nella propria biblioteca di letteratura sportiva.


Fonte: https://www.volleyball.it/feed/

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