in

Demonizzare i nostri campioni fa male solo a noi stessi

“L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo”. Così Treccani definisce la parola Cultura. Ancora: “l’idealizzazione, e nello stesso tempo la scelta consapevole, l’adozione pratica di un sistema di vita, di un costume, di un comportamento, o, anche, l’attribuzione di un particolare valore a determinate concezioni o realtà, l’acquisizione di una sensibilità e coscienza collettiva di fronte a problemi umani e sociali che non possono essere ignorati o trascurati”.

Cultura equivale a pensiero, a riflessione. A quello che ci eleva sulle cose e ci pone come esseri sociali, consapevoli, con conseguenti comportamenti e azioni. Cultura nella vita, e Cultura Sportiva.

Già, la Cultura Sportiva. Quanto ne avremo bisogno… a tutti i livelli, dal mondo Pro a quello di base. Lo sport può essere scuola di vita, palestra per fisico e mente. Deve esserlo, ha un valore ancor più importante in questa società così mutevole, volubile e disgregata, dove la gente si isola nelle false certezze dell’hi-tech e perde umanità. Lo sport invece aggrega, ti insegna a stare al mondo e nel mondo. Insegna comportamenti e modelli, insegna ad esser un individuo sano nel corpo e nella mente, pronto a relazionarsi e vivere le proprie azioni sociali in modo consapevole. Insegna il valore del rispetto e dei ruoli, a spingerci a dare del nostro meglio per vincere e, soprattutto, il rispetto. Insegna a vincere e deve insegnare a perdere, cosa quest’ultima ancor più importante in un contesto sociale che premia solo il migliore, dimenticando o peggio deridendo tutti gli altri.

Perché questa introduzione sociologica su di un sito di tennis? Perché ultimamente nel nostro mondo sportivo è in corso una campagna di demonizzazione dei nostri migliori atleti, tennisti inclusi. Uno sport al contrario quello del criticare a tutti i costi, del creare casi che non esistono pur di far parlare, cliccare, discutere all’infinito sugli s-t-r-a-m-a-l-e-d-e-t-t-i social.

Il diritto di critica è parte inviolabile della libertà personale e di stampa, sempre deve essere tutelato. È fondamentale che ci sia, altrimenti saremo in un regime. Ma… c’è un abisso tra la critica costruttiva, quella che si basa su fatti oggettivi e che porta i lettori a pensare, a farsi un’opinione, e quella che invece ha come unico scopo il demonizzare una persona senza che questa abbia realmente compiuto azioni riprovevoli, buttando in un calderone infuocato di tutto e di più pur di trovare il modo per screditare il soggetto (o i soggetti) in questione. Atleti che tra l’altro hanno “fatto il proprio dovere” (per dirla nei termini degli inquisitori) più e più volte negli anni scorsi, che hanno regalato grandi emozioni nelle rassegne più importanti delle proprie discipline, fatto sognare tifosi, raggiunto grandi risultati con lavoro, rispetto e impegno. Esempi totalmente positivi di sport e di vita. Critiche quindi pretestuose, totalmente fuori fuoco, che nuocciono non tanto al soggetto quanto all’ambiente e/o alla squadra stessa. Allo sport in toto.

Chi opera questo tipo di campagne sbaglia doppiamente. In primis perché demonizzare qualcuno ha quasi sempre l’effetto opposto: finisci per creare nella maggior parte di chi ti legge una reazione contraria, visto che una larga fetta di chi riceve tali informazioni ha – per fortuna – una discreta capacità di pensiero e capisce immediatamente che tutto quest’ambaradan è un architettura che si regge sul nulla. Per secondo, sbaglia perché può innescare il dubbio in chi è meno attrezzato per valutare, portandolo a seguire la corrente dei colpevolisti, incancrenendo una visione già distorta di partenza e magari stimolando alcuni di loro ad armare guerre social inutili e dannose, che finiscono per amplificare una faccenda sbagliata in partenza e inquinare ancor più acque agitate. Ma c’è un errore e un problema di fondo. Quello della Cultura Sportiva.

Perché creare delle campagne così dure contro un campione dello sport che non ha fatto praticamente niente di nuovo e soprattutto niente di male? Basta conoscere le basi dello sport per capirlo. Siamo in un mondo libero, per fortuna. Si può scegliere di cambiare rotta, allenatore, fidanzarsi con chi si ama, non sentirsi più parte di un progetto per visione diversa di principi, o disertare una competizione per mille motivi. Oltretutto in una competizione a squadre mai si perde per colpa dell’assenza di un singolo, chi ha fatto sport può confermarlo assolutamente. E perché allora montare casi, campagne di stampa e social così dure e ripetute? Non c’è cultura sportiva che possa spingere a questo, ma esattamente l’opposto. Eppure succede da tempo, sempre più spesso.

Tornando per un secondo al nostro amato tennis e restando alla stretta attualità, i nostri amici spagnoli non hanno potuto disporre in Davis di Carlos Alcaraz la scorsa settimana, e hanno perso malamente, in casa, di fronte al proprio pubblico. Una brutta batosta. Non c’è stato un solo media nazionale che si è azzardato a criticare con durezza la scelta del n.2 del mondo. Oltre i Pirenei la faccenda è stata trattata come meritava, analizzando i perché di una sconfitta patita in campo e non per le assenze, e quelle assenze sono state ben spiegate. Questo modo di trattare le cose dimostra conoscenza dello sport e delle sue dinamiche storiche ed attuali. È rispetto della persona, è esempio di divulgazione sportiva basata su Cultura Sportiva. Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo tanto da imparare…

Marco Mazzoni


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


Tagcloud:

Djokovic apre agli sponsor di scommesse per i giocatori: “Serve più equilibrio nella divisione dei guadagni”

Ferrari, Sainz ottimista per Suzuka: “Potrebbe arrivare un buon risultato”