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Anthony Lamb e la G League: un esempio e un monito da seguire

Quella di Anthony Lamb non è soltanto un’edificante e bella storia di formazione, tangenziale allo star system Nba, emblematica di come si possa salire dal basso sconfiggendo pure i fantasmi della depressione e l’infanzia nell’indigenza. Ci racconta un mondo solo in apparenza marginale. Un mondo che incide parecchio e ancor più lo farà in futuro su tutto ciò che non è Nba. Perché la G League dove ora si pescano stranieri restringe il bacino entro il quale scegliere. Lo dice Lamb, del resto: all’Europa penserà eventualmente a fine carriera. O a sogno finito. Basta fare di conto: le 30 franchigie Nba possono avere sotto contratto 15 giocatori ciascuna. Più due contratti two way (semplificando, giocatori che possono distribuire la loro stagione tra Nba e G League per un totale di 90 gare) che ora diventano 3 ciascuna.

La G League come valore per l’Nba: far crescere singoli talenti

La scorsa stagione le franchigie hanno inoltre effettuato 58 chiamate per 49 giocatori dalla G League. Altro numero da sommare ai


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