MODENA – Archiviata anche la Del Monte Coppa Italia maschile e in attesa del rush finale della stagione regolare dei due massimi campionati italiani, salta all’occhio una tendenza di questa stagione, mai così pronunciata in passato. Alcune squadre, sia maschili che femminili, affrontano la P1 (Palleggiatore in partenza in zona 1) in modo diciamo “non classico”, cercando soluzioni alternative. Il lungo break subito da Modena nel quinto set contro Cisterna (da 8-7 a 8-15) proprio in P1 rende ancora più famigerata questa fase, tanto da essere un vero e proprio spauracchio per tecnici, scoutman e chiaramente giocatori.
Proviamo a sviscerare l’argomento, perché può diventare così problematica e se ci sono benefici nel cambiare sistema di cambio palla in questa rotazione.
La P1 e perché è “strana” – L’anomalia di questa rotazione rispetto alle altre cinque è essenzialmente nelle zone d’attacco dei laterali. L’opposto, che solitamente attacca dal lato destro del campo (zona 2 o 1 a seconda che sia in prima o in seconda linea) agisce dal lato sinistro (zona 4). Viceversa lo schiacciatore (usualmente da zona 4, ora da zona 2). Detta così, non sembrerebbe un gran problema. Eppure, se più di un coach adotta nuove pratiche, evidentemente lo schiacciare da posti non usuali crea difficoltà.
C’è tanta differenza tra l’attaccare da zona 4 e da zona 2? – Sicuramente ci sono fattori tecnici che intervengono nel rendere diverso attaccare su un lato o un altro della rete. Provenienza della palla, con conseguente adattamento della rincorsa in primis. Detta in modo brutale, chi attacca da zona 2 deve “infilarsi” bene sotto la palla e nel caso di una alzata proveniente da lontano la rete deve quasi farsi passare “alla cieca” il pallone sopra la testa per ritrovarselo nella posizione corretta. Bisogna quindi prodigarsi in buoni “adattamenti” con la rincorsa per effettuare un buon attacco. Da zona 4 è tutto un po’ più semplice, perché naturalmente si va con la rincorsa verso il pallone che rimane sempre sul lato destro del corpo anche in caso di alzata dal centro del campo lontano dalla rete. E’ più facile quindi aggiustarsi con il braccio in caso di errata valutazione ed effettuazione della rincorsa.
Ma detta così il problema sembra essere solo dello schiacciatore che attacca da zona 2. Ma in realtà le difficoltà più grandi paiono averle gli opposti ad attaccare da zona 4. E quindi, se tecnicamente in teoria è più semplice, perché sono meno efficienti?
I “danni” della specializzazione e la mancanza di abitudine – Premesso che, al di là degli aspetti meramente tecnici, l’attaccare da zona 4 e da zona 2 è diverso anche per il fatto di avere prospettive diverse del campo (cosa non banale e non da sottovalutare: vi siete mai chiesto ad esempio se i palleggiatori palleggiassero fronte a zona 2 e spalle a zona 4? Sarebbe la stessa cosa?), probabilmente la discrepanza di efficacia tra le due zone per gli attaccanti è dovuta ad abitudini consolidate nel tempo. Da quando a pallavolo esiste la specializzazione dei ruoli, molti giocatori fin dalle giovanili hanno effettuato più azioni, in tutti i fondamentali, in determinate zone del campo a scapito di altre. E non soltanto per quanto riguarda l’attacco. Basti pensare alla staticità delle posizioni in difesa (palleggiatori e opposti in zona 1, schiacciatori in 6, Libero in 5), oppure a muro, perfino nelle zone di ricezione (gli schiacciatori quasi sempre in zona 5 per allenare ricezione-attacco). Messi in altri contesti i giocatori sembrano pesci fuor d’acqua. Eppure si tratta dello stesso fondamentale. Quindi la mancanza di abitudine perpetrate nel tempo accentua le differenze di resa dei fondamentali, in questo caso dell’attacco.
Nello specifico della P1, sicuramente la maggior parte del tempo negli allenamenti, sia che il focus sia sulla fase sideout, sia nella fase break point, gli opposti agiscono nel lato destro del campo e gli schiacciatori su quello sinistro. Vengono così a mancare quelle sicurezze nei colpi d’attacco quando la squadra è nella “famigerata P1”.
Le Alternative – La moda attuale è affrontare la P1 facendo in modo che schiacciatore e opposto riescano ad attaccare dalla propria zona che mai come in questo caso definire “di comfort” sia giusto. Per far sì che ciò accada, S1 riceve al centro o a sinistra (invece che sul lato destro) per poi andare attaccare da zona 4. L’opposto, non interessato in ricezione, partendo da zona 4 si proietta per prepararsi ad attaccare da zona 2.
Questo sistema è stato “sdoganato” da Mazzanti alle scorse Olimpiadi con l’Italia. A Tokyo anche la Turchia (quando Karakurt non era in campo) ha adottato questo metodo. In questa stagione c’è stato un proliferare di P1 giocate in questo modo. Nel femminile Perugia (da quando c’è Diop titolare), Trento, Cuneo. Al maschile Vibo Valentia, Milano (quando c’è Romanò in campo), Cisterna.
Gli svantaggi in questa novità sono essenzialmente due. Il primo è che l’opposto, per raggiungere zona 2, deve fare parecchi metri (o passando vicino alla rete o dietro i ricevitori) e quindi arriva al traguardo non in condizioni ottimali. Il secondo, se S1 è in mezzo in ricezione, è il “traffico” nelle rincorse che si genera nel centro del campo specie su una battuta sui 4-5 metri tra S1 e S2.
La P1 ha sempre rappresentato un piccolo/grande problema nel volley moderno, e qualche tecnico aveva già provato alternative. Il Messaggero Ravenna di Kyraly e Timmons degli anni novanta affrontava la P1 proprio come si fa adesso. Bernardi quando allenava Perugia, aveva inventato un sistema con Leon (S2) che attaccava da zona 5, Atanasijevic correva in zona 2 e Lanza (S1) che giocava combinazioni vicino al centrale.
La Provocazione: e se si effettuasse il doppio cambio “al contrario”? – Nel già citato break subito da Modena, Giani ha provato a stoppare l’emorragia di punti subiti inserendo Ngapeth (in quel momento fuori) su Abel Aziz. Chiaro intento di avere uno schiacciatore più avvezzo da zona 4. Un’altra soluzione, ovviamente praticando sostituzioni in caso di stallo, potrebbe essere quella di trasformare la P1 in una P4. Come? Operando un doppio cambio (secondo palleggiatore e secondo opposto). Solitamente il doppio cambio (celebre quello Martinelli-De Giorgi per Tofoli-Zorzi dell’Italia di Velasco) si utilizza quando il regista è in prima linea per continuare ad avere tre attaccanti davanti. In questo caso, inserendo il secondo palleggiatore sull’opposto (che è in zona 4) e il secondo opposto sul regista titolare (che è in zona 1) si andrebbe a giocare una P4 normale. Con attacco a due è vero, ma S1 potrebbe tranquillamente attaccare da zona 4 e il secondo opposto la seconda linea. Chicco Blengini anni fa, quando allenava Vibo Valentia, più volte sperimentò questa soluzione in allenamento (non vide mai la luce in match ufficiali, anche per l’infortunio dell’opposto titolare Klapwijk).
La Fatal P1 nella storia – Detto che, ovviamente, non è che le partite si perdano sempre in P1 e le altre rotazioni siano immacolate, tutt’altro, però ci sono stati match storici in cui questa rotazione è risultata fatale. Due in particolare, di tanti anni fa, sono famose perché emblematiche.
La Coppa delle Coppe del febbraio 1992 vede in finale due italiane, il colosso Milano contro Montichiari. Si arriva al quinto set, e il regolamento di allora prevedeva che anche il tiebreak terminasse a quota 17 (non col doppio vantaggio). Si arriva 16 pari, batte Montichiari. Qui gli ultimi punti del match, andate a scoprire in che rotazione è Milano e come è finita…
Altro episodio famoso (tristemente per noi italiani) è la finale olimpica di Atlanta 1996. Anche qui si arriva al quinto set dopo una lotta estenuante tra i campioni di Velasco e l’Olanda. Sul 15-14 gli azzurri hanno anche il match point, ma Van der Goor lo annulla. Poi…