Ineludibile, ineluttabile, leggendario, irripetibile: quattro aggettivi che comunque non sono sufficienti per spiegare la grandezza di Rafa Nadal al Roland Garros, lui che, nel bilancio di 22 Slam in bacheca, ha vinto il Major parigino quattordici volte, che ha un bilancio di 112 vittorie e soltanto tre sconfitte in diciassette partecipazioni al torneo e che è senza ombra di dubbio il più dominante di sempre nella singola disciplina, ossia il tennis che si gioca sulla terra rossa, qualsiasi sia lo sport che si voglia prendere come riferimento per un eventuale paragone. In finale al Roland Garros, il maiorchino ha sconfitto il norvegese Casper Ruud, in una partita mai veramente in discussione, andata in archivio senza stravolgimenti di pronostico, con il punteggio di 6-3, 6-3, 6-0 in due ore e venti minuti di gioco. Di quel Nadal che progressivamente era andato sempre più in affanno fisicamente in semifinale contro Zverev, neanche l’ombra domenica pomeriggio sul Philippe Chatrier, il giardino di casa, la terra rossa che gli è sempre stata amica e sopra la quale non ha mai perso una finale. Nulla ha potuto Ruud, con il proprio ordine tattico e il dritto coraggioso: il norvegese ha sofferto soprattutto sulla diagonale di rovescio, vero punto debole con il quale non è riuscito a trovare la potenza e la profondità giuste per impensierire Nadal e costringerlo a prendersi rischi.
Ruud tradito dalla tensione?
E poi, chissà che il granitico Casper, il quale sembrava già felice soltanto di potersi dare una possibilità contro il proprio idolo, non abbia pagato un po’ di tensione soprattutto nel primo set. Una situazione naturale per chi non aveva mai affrontato Rafa in carriera e si è trovato di fronte a lui nel posto peggiore possibile per sfidarlo. Nadal ha esitato soltanto sul 2-0 in apertura, nel momento in cui ha concesso un immediato controbreak a Ruud. Il maiorchino, però, ha subito rimediato nel game successivo, difendendo il vantaggio fino al 6-3 in 49 minuti.
Soltanto nel secondo set il norvegese ha accennato una reazione, strappando per primo – e a zero – il servizio a Nadal nel quarto game. Un’onta troppo grave perché Rafa non la cancellasse con un parziale di cinque giochi consecutivi, per incamerare un altro 6-3, questa volta in 54 minuti. Parziale di giochi consecutivi che poi è salito a dieci includendo anche il terzo set, rapidamente scivolato sul 5-0 in favore di Rafa, come preludio di una partita che non aveva più molto da raccontare. E così anche Ruud, lentamente, si è arreso all’inevitabile, senza neanche più poter evitare il 6-0 finale, ingiusto probabilmente per un percorso nel quale il norvegese aveva guadagnato il primo quarto di finale, la prima semifinale e la prima finale in uno Slam tutte in sette giorni. Impossibile non pensare che Casper avrà altre chance e quasi sicuramente in futuro non avrà davanti un titano costruito con la stessa argilla di cui è fatto il Philippe Chatrier.
Rafa “Roi” di Parigi a 17 anni dalla prima volta
Diciassette anni fa, nel 2005, con il pantalone a pinocchietto che tanto andava di moda negli anni Duemila, i capelli lunghi e il volto senza rughe di chi ha 19 anni e una vita davanti, forse neanche Rafa pensava che il proprio viaggio a Parigi sarebbe stato così epico. Diciassette anni dopo, nel 2022, Nadal è ancora qui, con lo sguardo forse un po’ più stanco, ma con la sfida, raccolta anno dopo anno, di non essere più lui il “piccolo di casa” nel circuito ATP, ma di essere diventato il “papà” di una nuova generazione, che però non sarà mai come lui. Nel mezzo, talento, lavoro, abnegazione, sofferenza, resilienza. E una storia d’amore irripetibile nel tennis.