TORINO – Quel giorno non immaginavo che di lì a pochi anni avrei conosciuto il mondo della Formula 1 dall’interno, come inviato di Tuttosport. Quel giorno ero un tifoso come tanti altri, come loro ero attonito di fronte all’enormità della tragedia. Alle 13.52 dell’8 maggio 1982 la vita di Gilles Villeneuve era stata spezzata da un incidente nelle prove di qualificazione del Gran Premio del Belgio a Zolder. La Ferrari del canadese si era ritrovata di fronte, all’improvviso, la March di Jochen Mass, nell’impatto la 126 C2 era volata per aria, urtando le barriere, il pilota scaraventato fuori dall’abitacolo.
Allora non sapevo chi fosse veramente Gilles, l’ho scoperto più tardi, grazie ai colleghi che lo avevano conosciuto, da Mario Poltronieri a Pino Allievi, da Franco Lini a Nestore Morosini e nei loro ricordi la figura del pilota passava in secondo piano, soverchiata dall’uomo. Innamorato della velocità, sempre pronto qualsiasi sfida, però con l’onestà come stella polare, a guidarlo in ogni sua scelta. Schiettezza e lealtà, per lui, erano il solo modo di essere concepibile, un’indole che certo non gli aveva facilitato la carriera.
Anche in quegli anni, in cui l’ambiente del paddock era più familiare, erano doti rare, quasi fuori posto, e i tifosi percepivano il suo carattere dall’esterno, senza rendersene conto, amando l’Aviatore anche per il suo modo di essere uomo oltre che pilota. A capire un po’ di più il vero Gilles mi ha aiutato la frequentazione nell’arco della sua carriera con un altro pilota che non era mai sceso a compromessi con l’onestà: Michele Alboreto.
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