MODENA – È stata il miglior opposto della storica Champions League vinta dalla Pomì Casalmaggiore nel 2016. Dopo una vita a calcare il taraflex, è passata al beach volley. Da due anni Margareta Kozuch ha intrapreso una nuova vita sportiva, fatta di nuovi ritmi e nuove soddisfazioni, con un occhio di riguardo alle tematiche ambientali e allo sviluppo sostenibile.
Nel gennaio 2019 esce la notizia che la nuova coppia del beach volley tedesco sarebbe stata Laura Ludwig e Margareta Kozuch. Ci descrivi il lavoro insieme a Laura che vi ha portato alla vittoria della medaglia d’oro alle Rome Beach Volley Finals? “Dopo aver ricevuto la chiamata di Laura ed aver deciso di intraprendere questa avventura, ci siamo ritrovate prima ad Amburgo e poi a Tenerife con lo scopo di lavorare intensamente e velocemente sugli aspetti fondamentali per poter trovare l’armonia del team, sia come giocatrici sia come persone. Per quanto riguarda l’affiatamento personale non avevamo dubbi che ci fosse armonia e chimica tra di noi poiché ci conosciamo da quando abbiamo 14 anni. Per settarci professionalmente abbiamo dovuto fare un po’ più di fatica, abbiamo affrontato periodi difficili, pesanti e dubbiosi, ma nonostante tutto siamo sempre entrate in campo con la voglia di fare meglio. A Vienna si sono visti i primi miglioramenti, abbiamo sfiorato le semifinali contro Agatha/Duda. Il nostro peggior nemico era la costanza, non riuscivamo a mantenere constante il nostro rendimento. Si vedeva la preparazione tecnica, si vedeva che c’eravamo ma eravamo troppo altalenanti. Da quel momento fino alle Finals di Roma abbiamo lavorato ancora più duramente, senza mollare, fiduciose e consapevoli che la strada che stavamo seguendo fosse quella giusta. A Roma siamo riuscite a mantenere la lucidità, la fiducia e la costanza nei momenti cruciali dei match. In semifinali e finale poi, finalmente, abbiamo dimostrato al 100% il nostro livello”.
I tanti volti di Margareta Kozuch
Come hai maturato la scelta di lasciare il volley indoor e passare al beach volley? “È una sensazione strana perché non sento di aver lasciato l’indoor. Ho preso una decisione diversa rispetto a quella fatta per vent’anni. Ho salutato la pallavolo dei palazzetti in un momento d’oro, avevo appena vinto la Champions League con Casalmaggiore, una squadra e delle compagne eccezionali. La verità è che avevo anche giocato cinque mesi con un dolore alla spalla che non mi dava certezze per il futuro, non sapevo se sarei riuscita a portare a termine un’altra stagione per altri otto-dieci mesi, compresa la preparazione. L’idea era quella di andare a giocare in Asia, disputare un campionato corto per testare la tenuta della spalla. Poi è arrivata la proposta riguardante il beach volley e seguendo un po’ il mio cuore e l’intuito ho deciso di provare questo nuovo percorso. Naturalmente questa scelta non significa voltare completamente le spalle al volley indoor; non so cosa mi riserverà il futuro. Per il momento sono concentrata sul presente e sul beach volley ma le porte all’indoor non sono assolutamente chiuse. Il beach volley è molto pesante, ha tanti alti e bassi, ma mi offre grandi possibilità di crescita, di mettermi in gioco, di conoscere me stessa sotto diversi aspetti e situazioni”.
Cosa ti piace del beach volley? “Il beach volley mi piace molto per lo stile di vita che ti offre. Sono sempre in giro, sempre all’aperto anche quando non c’è il sole; mi è persino capitato di giocare sulla neve. Poi attenzione, non è detto che quando ci sia il sole la situazione sia migliore, perché giocare sotto 40° è bello faticoso. Mi piace anche stare a contatto con la natura; poi una volta terminato il nostro allenamento possiamo fermarci e guardare gli altri team che si allenano”.
Ci sono le differenze tecniche e fisiche rispetto alla pallavolo? “A livello strutturale, abbiamo un team che è stato creato proprio per noi. Abbiamo una grande libertà che è quella di prendere tutte quelle decisioni fondamentali per la creazione del nostro progetto. Abbiamo più responsabilità, ma è proprio questo il bello. Per quanto riguarda l’aspetto di gioco, è totalmente diverso dall’indoor, a partire dall’assenza di cambi. Si lavora in maniera molto diversa perché siamo solamente in due, con due ruoli totalmente diversi. In campo dobbiamo trovare la quadra per creare il puzzle perfetto con le nostre caratteristiche. Rispetto all’indoor la tecnica è ovviamente diversa, cambia il modo di muoversi, di attaccare, di saltare, di battere. Dobbiamo tenere conto del vento e di tutti quegli aspetti che non sono previsti nella pallavolo e che nel beach volley non dipendono strettamente da noi”.
Al centro la vittoria di Rona 2019, la Champions a Casalmaggiore, la nazionale con Guidetti, l’incontro con Piccinini
Quanto è importante l’approccio mentale? “Devo dire che il beach volley è uno sport molto mentale. La forza mentale è molto importante, noi lavoriamo con una psicologa e con un team che ci aiuta ad essere molto coscienti e presenti rispetto a ciò che viviamo fuori e dentro dal campo. Ci aiutano ad analizzare l’approccio a situazioni di pressione, confusione, dubbio e felicità”.
Nel 2016 hai contribuito attivamente alla vittoria della prima storica Champions League per la Pomì Casalmaggiore. In finale avete battuto nettamente una corazzata come il Vakifbank Istanbul e tu sei stata premiata come miglior opposto. Cosa ci racconti di quella Finale? “Posso dire che questa domanda mi piace molto? Quella stagione per me è stata magica, ho ancora la pelle d’oca quando ne parlo. Ho incontrato persone meravigliose e stretto rapporti profondi con chi già conoscevo. La squadra aveva un grandissimo potenziale, ma in Champions League non eravamo sicuramente tra le favorite. Ci tengo a soffermarmi molto su quello che abbiamo creato come gruppo, un legame davvero particolare, non si può spiegare a parole. Un legame che coinvolgeva tutti, dalla squadra allo staff passando per i tifosi e tutta la città di Casalmaggiore. Intorno a noi c’era un’atmosfera magica che ha portato tutta la squadra, alla prima palla giocata durante le Finali, la sicurezza di vincere la Champions League. Ricordo ancora la pelle d’oca appena partita la prima battuta, sapevo che avevamo già vinto. È inspiegabile, pazzesco. Mi emoziono ancora nel ricordarlo perché è stato un qualcosa di molto intenso, che va oltre il lavoro, lo sport, il vincere o perdere. È una vittoria che ci siamo regalate e che mi è stata regalata; auguro a tutti di poter vivere la mia stessa esperienza, non importa in che ambito, se sportivo o familiare. Spero che in mezzo a questo fiume di parole si possa percepire quanto mi batta ancora forte il cuore ricordando quel periodo”.
In una tua passata intervista hai dichiarato di essere anche molto attenta alle tematiche ambientali. Come credi che il mondo della pallavolo e del beach volley possano aiutare lo sviluppo sostenibile? “Io credo che ognuno di noi possa migliorare, ma ciò che mi auguro è che diventi sempre più semplice vivere una vita sostenibile. Io, con fatica, da tanti anni, sin da quando giocavo a Busto Arsizio, ho sempre cercato di utilizzare acqua in vetro invece di quella in plastica. Non solo perché la plastica non sia la soluzione ottimale per l’ambiente, ma anche perché mini particelle di plastica contaminano l’acqua contenuta nelle bottiglie e, di conseguenza, il nostro corpo poi le deve gestire. È importante che vengano effettuati tutti i controlli dovuti che certificano che l’acqua sia buona, specialmente a chi fa tanto lavoro fisico. Tutta la parte riguardante la nutrizione per noi atleti è molto importante, poiché sudando molto abbiamo bisogno di reintegrare con molta acqua. Ovviamente la sostenibilità ambientale tocca anche l’ambito del vestiario. Ancora non è stata trovata una soluzione circa i vestiti che indossiamo e che fanno bene alla pelle che è il nostro organo più grande. Personalmente, quando posso evitare di usare la plastica lo faccio, sebbene viaggiando sia molto difficile. Io credo che lo sport possa essere un grande strumento di diffusione di messaggi di questo tipo e un ottimo elemento attraverso il quale migliorare ed evolvere in questo senso”.
Ci racconti cos’è Sport For Future? “È un’organizzazione di cui faccio parte, nata in Germania un anno fa, con l’intento di coinvolgere lo sport e nello specifico gli atleti in progetti orientati allo sviluppo sostenibile. Sport For Future, oltre ad aiutare lo sviluppo sostenibile, ha anche come obiettivo quello di indagare cosa sta succedendo in ogni sport e quali sono le potenzialità del presente, ma anche del futuro, di cambiare le tendenze attuali. Io spero di poter dare un aiuto anche attraverso la mia immagine”.
Kozuch, un vita sottorete…
Qual è stata la più bella esperienza in ambito pallavolistico della tua carriera fino ad ora? “Ovviamente in vent’anni di pallavolo le esperienze sono state diverse. Forse inizierei dal mio primo allenamento, al quale ho partecipato per accompagnare una mia amica. In realtà, io non volevo andarci, ma poi mi sono detta: “Cosa mi costa?”. Mi sono presentata in palestra e, in quel preciso momento, ho capito che volevo fare quello, senza nemmeno pormi la domanda se realmente lo volessi fare; non ce ne è stato bisogno. È in quel momento che ho iniziato attivamente la mia carriera. Nel tempo, ci sono stati ostacoli, situazioni diverse, tanti club, la Nazionale, ma ciascun momento è stato fondamentale per farmi diventare quella che sono ed acquisire l’esperienza. Ho imparato a conoscere me stessa, a dare l’esempio migliore che potessi dare e a farmi ispirare dal mondo esterno e dalle altre persone”.
In quale altro settore, che non sia quella sportivo, ti vedresti bene e con che ruolo? “Credo di essere fortunata perché ho fatto diventare la mia professione ciò che amo, dal profondo del cuore. Ad ora potrei dire di avere tanti progetti e di voler intraprendere tanti percorsi. In realtà, in futuro, avrò bisogno di un momento per riflettere, in silenzio e in maniera più chiara e lucida, su ciò che vorrò fare veramente. Mi piacerebbe rimanere nello sport con un ruolo di aiuto e sostegno verso gli atleti, gli allenatori. Mi affascina molto anche la medicina naturale; mi piace stare con in bambini, creare un qualcosa che possa portare benessere all’ambiente, a coloro che mi circondano e a me. Io credo che questa sia la chiave: se facciamo quello che realmente ci fa essere felici, possiamo poi trasmettere il nostro benessere e felicità agli altri. Non ho ancora bene idea di quale sia la destinazione finale, ma questa è sicuramente la direzione giusta per me e per far nascere progetti futuri”.