Dopo due quinti posti olimpici con l’Argentina (nel 2012 e nel 2016) Facundo Conte è impaziente di giocare a Tokyo 2020. Un cognome importante quello che porta sulle spalle; un figlio d’arte che con sacrificio e dedizione, ma soprattutto tanto allenamento, sta dimostrando di valerlo tutto.
Campione della Superliga brasiliana con il Funvic, lo schiacciatore argentino, classe ’89, questa stagione è passato al Sada per continuare a vincere in vista dell’importante appuntamento che lo attende la prossima estate.
Nel corso della tua carriera, ti è mai pesato o ti hanno fatto pesare l’essere figlio d’arte?
“Wow, iniziamo questa intervista con una domanda bella tosta (ride). Sì, per tanto tempo mi è pesato; essere figlio di uno dei migliori giocatori di tutti i tempi non è stata un’impresa facile, ma col tempo e tanto volley ho capito che è stata una fortuna e un onore poter carpire i segreti dello sport che ho amato sin da quando ero piccolo. Ho capito che il volley mi faceva sentire vivo. Ciò ancor più interessante è stato scoprire che la pressione maggiore, da sempre, proveniva da dentro me stesso. Tutt’oggi sto provando a gestire questa pressione interna, perché voglio lasciarmi andare e divertirmi, proprio come quando ero un bambino e, in campo, mi sentivo più vivo che mai”.
La scorsa estate con la nazionale argentina hai conquistato il pass olimpico per Tokyo 2020. Come ci si prepara ad un appuntamento così importante?
“Sono davvero contento di avere l’opportunità di giocare un torneo così bello come quello olimpico per terza volta. Col tempo, la squadra sta migliorando tantissimo, c’è un buon mix di giocatori esperti e giocatori più freschi. Siamo tutti molto motivati. La preparazione continua sulla strada che abbiamo intrapreso, ogni allenamento ci serve per imparare sempre di più e, partita dopo partita, miglioreremo anche il nostro gioco. Sono contento di esser parte di una squadra che lotta sempre, fino alla fine. Abbiamo tanta fame, credo che potremo disputare un bellissimo torneo assieme”.
La qualificazione olimpica ha portato tante emozioni ma anche numerose critiche dovute ad un gesto considerato irrispettoso e razzista. Tu hai subito porto le tue scuse tramite i social, ma come hai reagito alla squalifica?
“Prima di tutto voglio ribadire che mi dispiace che il gesto sia stato percepito così negativamente. Il nostro gesto, come quello di tanti altri nella pallavolo e in altri sport, non aveva assolutamente scopi razzisti. Eravamo talmente contenti per la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020 che abbiamo scherzosamente preteso di essere giapponesi. Ribadisco, niente a che fare con qualunque discorso razziale o culturale”.
Cosa ti ha fatto più male di questa vicenda?
“Mi è dispiaciuto esser stato giudicato razzista, specialmente dopo aver giocato ed essermi divertito tanto in Cina per due stagioni. Ci sono rimasto male perché gente che conoscevo ha pensato realmente che io avessi intenti offensivi. Mi sembra molto triste che ancora nel 21º secolo si parli di razzismo. Dovremmo essere tutti più aperti e capire che, in realtà, le nostre differenze dovrebbero farci aprire sempre di più invece che separarci. Non dobbiamo rifugiarci in quel già conosciamo giudicando ciò che è diverso da noi e dalla nostra cultura”.
La scorsa estate è stata un po’ turbolenta anche dal punto di vista dei rapporti con la Federazione argentina. Ci racconti cosa è successo?
“La situazione con la Federazione ha permesso al gruppo e alla famiglia della pallavolo di rafforzarsi ancora di più, quindi alla fine ciò che è successo è stato qualcosa di molto positivo e sono orgoglioso di essere parte di questo movimento. Riassumendo, non siamo d’accordo col rapporto che la Federazione ha con i giocatori e, fondamentalmente, anche del lavoro che si sta facendo. In Argentina, vediamo un miglioramento nei confronti di tutti gli sport tranne che nella pallavolo. Nei confronti della nostra disciplina vengono prese decisioni sbagliate che non permettono al movimento di fare un salto di qualità ed offrire ciò che realmente potrebbe dare. Ricordo che mio padre, ai sui tempi, come tantissimi altri giocatori nel corso della storia del volley argentino, ha dovuto “lottare” contro la Federazione per far valere i propri diritti. Purtroppo non siamo ancora riusciti a fare in modo che la Federazione sia dalla parte dello sport; non riusciamo ad ottenere risposte e la comunicazione è zero”.
Qual è la situazione attuale?
“La Federazione è già stata ristrutturata due volte perché, per come era impostata, non funzionava e danneggiava lo sport. Oggi la Federazione sta prendendo le stesse decisioni sbagliate e allontanando di fatto i giocatori, di qualsiasi categoria e livello. Noi amiamo il nostro sport e credo che il volley dovrebbe essere in mano al volley. Vorremmo tanto che i nostri dirigenti amino questo sport e lo facciano crescere, vorremmo che non lavorassero solo col volley, ma per il volley”.
I ritmi imposti dagli appuntamenti sia con la maglia del club sia con la Nazionale sono molto alti e, oserei dire, anche stressanti. Come “sopravvive” l’atleta a questi ritmi? C’è un messaggio che vorresti lanciare su questo tema?
“A volte mi sembra che ci si dimentichi che i giocatori di volley siano umani. Purtroppo oggi molti tornei si giocano con squadre secondarie, o comunque senza giocatori importanti, gli atleti subiscono tantissimi infortuni, dei quali molti sono gravi; questo proprio perché i tornei e gli appuntamenti sportivi sono davvero troppi. Per chi viene convocato in nazionale non esistono le vacanze. Io, ad esempio, per undici anni, non ho avuto più di 15 giorni liberi per riposare tra le stagioni. Non parlo solo di vacanza, ma di riposo. Il corpo subisce molto durante le varie competizioni che ci troviamo ad affrontare. A mio parere, un sistema di gioco così ‘aggressivo’ è sbagliato. Altri sport hanno una settimana di recupero tra una partita e quella successiva. Credo che ci dovrebbe essere un limite per poter fare in modo che i giocatori siano tutelati e protetti, dato che il volley, oltre ad essere uno sport, è anche spettacolo”.
Ti possiamo definire Facundo ‘giramondo’. Sei partito dall’Argentina per arrivare in Italia. Dopo 5 anni nel nostro Paese, riparti alla volta del campionato russo e poi di quello polacco. Dalla Polonia, il volley ti porta a Shanghai, poi in Quatar e infine in Brasile (prima al Funvic e, da questa stagione, al Sada). Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
“Non saprei da dove cominciare. Ho vissuto cose che non avrei mai immaginato: momenti bellissimi, altri difficilissimi e incontri con gente stupenda. Ciascuna esperienza mi ha insegnato tantissimo, sono stati dei percorsi stupendi durante i quali anche i momenti più difficili mi hanno portato a vivere un’altra moltitudine di situazioni meravigliose”.
Proviamo a descriverle tutte, ti va?
Ci sto.
Partiamo dalla Russia.
“Quella russa è stata una esperienza difficile: la prima volta lontano dalle mie case (sì, considero casa sia l’Argentina sia l’Italia), a metà stagione, mi sono infortunato alla spalla e ho dovuto fermarmi per undici lunghissimi mesi”.
Passiamo all’esperienza allo Skra Bełchatów, in Polonia.
“La Polonia è stata una esperienza incredibile che mi ha permesso di tornare a giocare ad alti livelli, in un campionato e davanti ad un pubblico stupendi. Mi sono davvero divertito e ho anche imparato tanto grazie a persone stupende che la vita mi ha fatto incontrare, come Miguel Falasca che mi ha accompagnato ed aiutato a diventare un vero giocatore, a direzionare nel giusto modo tutta la mia passione e le possibilità fisico-tecniche. Con lui i miglioramenti erano quotidiani, ogni giorno crescevo un po’ di più. In Polonia, ho imparato ad allenarmi per migliorare e non solo per arrivare in forma alla partita”.
Cambiamo continente e andiamo in Cina.
“La Cina è stata un’esperienza completamente diversa rispetto alle precedenti. La tensione sportiva era molto più bassa dato il livello e la gran differenza che c’era tra la nostra squadra (Shanghai) e tutte le altre partecipanti al campionato, ad eccezione del Beijing contro il quale abbiamo disputato le due finali, da noi vinte. Questa stagione è stata molto più importante dal punto di vista umano; ho imparato a stare più con me stesso e ad aprire la mia mente. È stata una stagione fondamentale a livello d’introspezione, mi ha definitivamente cambiato come persona, o anzi, ha fatto in modo che ritrovassi me stesso poiché, dopo tanti anni di pallavolo ed esigenze, non riuscivo più a capire chi fossi senza la maglia da gioco addosso. Ora so chi sono veramente”.
Dopo aver preso parte alla Qatar Volleyball League con l’Al-Jaish, tra un campionato cinese l’altro, sei volato in Brasile.
“La chiamata dal Brasile è arrivata al momento giusto affinché io potessi godermi al massimo quest’esperienza. Certo, con la vittoria del campionato tutto è diventato più facile, ma credetemi, anche se l’avessimo perso, sarebbe stata un’esperienza bellissima. Il Brasile è un Paese incredibile, con gente stupenda e molto allegra. Sono molto contento di aver avuto la possibilità di giocare qui anche per questa stagione. Sono più vicino a casa, non solo geograficamente, ma anche umanamente. E poi, non dimentichiamo che non indosso altro che canotte e infradito”. (ride)
Hai mai pensato di tornare in Italia?
“Il ritorno in Italia è qualcosa che mi è rimasto ancora in sospeso. Sono andato via quando ero ancora molto giovane; mi piacerebbe vivere il campionato italiano nuovamente, ma questa volta da ‘grande’”.
Se dovessi presentare Facundo Conte con tre aggettivi, quali useresti?
“Penso che nessuno possa descriversi in tre parole, ognuno di noi è molto di più. Se dovessi riassumermi in tre parole direi: allegro, passionale, autentico”.