Quando a gennaio la stagione tennistica riparte dopo la pausa invernale, ogni vero appassionato avverte quella botta di adrenalina “buona” che aspetti da tempo. Che ti fa sembrare bellissima anche una partita modesta, o un incontro che in un altro momento dell’anno avresti tranquillamente trascurato. Doha è il primo appuntamento nel calendario, in Qatar. Grande organizzazione, cemento non così rapido, buonissimo campo di partecipazione. Ricordo distintamente l’edizione del 2005. Roger Federer “volava sulle acque”, giocando un tennis superiore. Vinse quell’edizione macinando i rivali uno dopo l’altro, non concedendo più di 4 game in un set. In finale regolò senza pietà Ivan Ljubicic, gran giocatore che diventerà prima suo grande amico e quindi coach. Proprio il primo match del croato “d’Italia” fu anche il mio primo match stagionale. Lo ricordo bene, e non perché in campo c’era il bellissimo rovescio di Ljubo, ma per il suo giovanissimo avversario. Un certo Stanislas Wawrinka.
Ceko? No, svizzero, con la famiglia di antica origine tra Cecoslovacchia e Polonia. Entra in campo, e boh? Non sembra un grande atleta… Fisico massiccio, al limite del tozzo, sguardo quasi un po’ perso in quello stadio, che osserva con un misto di curiosità e stupore. Il suo linguaggio del corpo sembra quello di uno che sta pensando “ma tocca proprio a me?”. Eppure andando a scovare il suo pedigree, c’è un dato notevole: Roland Garros Junior Champion nel 2003. 20 anni, movimenti piuttosto educati, rovescio ad una mano addirittura più bello di quello notevole di Ljubicic, esattamente “una partita per me”, da sempre estimatore del rovescio classico. La partita scorre via, piuttosto agile in realtà. Ivan è molto in forma (arriverà in finale), servizio, qualche discesa a rete, risposte lunghe a mettere a nudo una certa lentezza del giovane rivale. Wawrinka spesso arriva maluccio sulla palla, commette troppi errori in difesa o esagerando nella spinta. Però di lui mi resta una sensazione nettissima: oltre a quel rovescio bellissimo come esecuzione, è un tennista Pesante. In tutti i sensi. Pesante perché non si muove bene. Pesante perché a mettersi in moto ci mette troppo tempo, soffrendo quindi in difesa. Pesante perché quando lascia partire i colpi sono delle “sassate” micidiali, palle pesantissime, anche con quel diritto che scappa via inesorabile, ma che se sta in campo son dolori, anche per un grande come Ljubo. Mi riprometto di seguirlo, perché quel tizio dalla faccia bizzarra e piena di brufoli potrebbe anche diventare un bel giocatore. Quando uno ha quella capacità di sparo, quella potenza di fuoco e quel rovescio monomane meraviglioso, beh, non può essere solo uno dei tanti.
Ci metterà un po’ Wawrinka ad emergere, un anno e mezzo, facendo molta esperienza e capendo che solo di pallate non può vincere contro i migliori, che infatti aspettano i suoi errori e mettono a nudo la sua relativa lentezza, soprattutto nei cambi di direzione.
Nel 2006 vince il suo primo torneo sulla terra di Umag, battendo il giovanissimo ed emergente Djokovic in finale, ritiratosi curiosamente nel tiebreak del primo set perché spossato dal caldo e da un torneo per lui troppo faticoso. Andando rivedere il percorso di “Waw” in quel torneo, aveva battuto Martin, Cilic, Del Potro, Volandri e quindi Djokovic. Però…
Un successo che fa scattare in Stanislas una molla, “posso battere i più forti”. E questo sarà il suo mantra per diversi anni. Wawrinka diventa tennista ottimo, ancor più potente con un servizio migliorato, ma resta giocatore da impresa, uno che nella giornata buona può battere chiunque e che poi si eclissa, perde la misura e scappa via sparacchiando a destra e a manca. Nel resto del 2006 si prende il lusso di battere gente come Nalbandian, Almagro, Soderling e di nuovo Djokovic a Vienna indoor. Il 2007 è un anno di alti e bassi, ma nessuna vittoria. Nel 2008 esplode, con buoni risultati e soprattutto la finale al Foro Italico, il torneo in cui si presenta davvero al mondo. Mette in fila uno dopo l’altro Safin, Murray, Ferrero, Blake, Roddick (ritiro sul 3-0), e affronta di nuovo Djokovic in finale. Vincerà il serbo, ma Stanislas gli strappa un set, mostrando netti miglioramenti negli spostamenti, nella precisione con la prima di servizio, facendo gara pari rovescio contro rovescio, con molti scambi davvero bellissimi.
La carriera di Wawrinka ormai è lanciata, ma diventa uno dei migliori secondi. Difficilmente riesce a sconfiggere i big, o se ci riesce perde al turno seguente. Manca qualcosa al suo tennis, non è così solido mentalmente, continua a sbagliare troppo, i suoi piedi non sono abbastanza rapidi da assecondare la velocità dei suoi scambi. La svolta avviene nel 2013.
Stanislas decide di cambiare il suo nome sportivo in Stan, ma il cambiamento più importante è quello del suo staff. Si affida all’ex n.2 del mondo Magnus Norman, che aveva portato Soderling a due finali a Roland Garros. È la molla che trasforma quel ragazzo tozzo e potente in una vera macchina da tennis a tratti infernale. Nella GTGT Academy la vita di Wawrinka viene totalmente sconvolta. Norman lo accoglie dicendogli: “Tu hai tutto quel che serve per vincere gli Slam, battere chiunque. Il problema è che non ci credi abbastanza”. Questo il senso delle parole. Inizia un lavoro certosino su ogni aspetto del suo tennis. Riduce leggermente l’apertura del rovescio, che diventa ancor più eccezionale; lavorano moltissimo sul dritto, che scappa di meno e fa letteralmente “le buche in terra” per potenza e precisione. La prima di servizio inizia a veleggiare oltre i 220 km/h, e le seconda è meno ballerina. Ma il capolavoro di Norman è sui piedi di Stan, grazie ad un lavoro atletico pazzesco ed una nuova dieta per alleggerirlo, e sulla testa. Sul braccio dello svizzero appare un tatoo significativo: “Ever tried. Ever failed. No matter. Try Again. Fail again. Fail better”, frase di Samuel Beckett che esprime l’essenza del nuovo Wawrinka, uno che ha deciso di provarci con tutte le sue forze, sbattendo la testa e rialzandosi con convinzione, perché l’obiettivo è arrivare in cima, nonostante tutto. Ed il primo vero “nuovo” Wawrinka lo si vede all’US Open 2013, quando Stan mostra un livello da top3, sconfiggendo il campione in carica Murray in tre set, annichilito, e portando Djokovic ad un durissimo quinto set in semifinale, perso solo 4-6. Stan esce dal campo esausto, ma quello sguardo che era un po’ “così”, ora esprime un fuoco diverso, quello di chi sente di potercela fare. Il resto è storia.
Inizia il 2014 con un Australian Open da cineteca, batte tutti, incluso un fortissimo Nadal in finale. Si prende pure il lusso di vincere a Monte Carlo sconfiggendo in finale l’amico Roger (fondamentale per la sua crescita in molti momenti, tra consigli ed allenamenti) impedendogli di vincere finalmente nel principato. Chiude l’anno al n.4, è ormai seduto al banchetto dei grandi. E ci resterà, mostrando un tennis straordinario in moltissime occasioni. Storico il suo successo a Roland Garros 2015, quando batte ancora Roger nei quarti ed in finale infrange clamorosamente il sogno di Djokovic, lanciatissimo dopo aver disintegrato Nadal nei quarti. Altro Slam. E gli Slam diventano tre con il bellissimo ed inatteso successo a US Open 2016, domando di nuovo un Djokovic che pareva imbattibile. Chiude l’anno al n.3, il suo best ranking già toccato nel 2014. Alcuni problemi al ginocchio, la separazione da Norman (con cui tornerà recentemente) e qualche momento burrascoso nella vita privata lo fanno scendere. Si ferma per operarsi, a fatica ritrova il suo miglior livello, ma non la continuità dei momenti migliori. Ancora oggi regala perle di qualità, ma ha perso la continuità e la intensità dei giorni migliori.
Oggi Stan spegne 35 candeline, e lo festeggiamo con grande piacere perché nella sua ormai lunga carriera ci ha fatto bellissimi regali. È stato molto più di un outsider, diventando uno dei pochissimi giocatori capaci di spezzare la “morsa” dei big 3 più Andy Murray, il tutto con un tennis di una bellezza mozzafiato. Nel periodo 2013-2016, Wawrinka è stato forse il tennista più avvincente in assoluto da seguire, perché poteva permettersi di demolire tutti i più forti imponendo la sua furia, una grandinata di pallate incredibili, un ritmo e quantità di soluzioni da campione. È stato il tennista che ha impedito il Grande Slam a Djokovic nel 2015, battendolo nella finale di Parigi. È stato il vero trascinatore nel team svizzero alla vittoria in Davis, con un Federer sconfitto da Monfils nel suo primo incontro, mentre Stan fu impeccabile.
E poi, è un tennista che non ti lascia indifferente anche fuori dal campo. Negli anni è cambiato molto, passando da svizzero scontroso e non così simpatico, a giocatore “cult” per battute e stranezze. Oggi imperversa sui social con trovate geniali, a tirar su il morale in questo 2020 nerissimo.
Personalmente lo ringrazio perché il suo tennis offensivo, a tutto campo, sostenuto da quel rovescio meraviglioso, mi ha regalato emozioni vere, tra le più intense degli ultimi anni.
Buon Compleanno, caro Stan.
Marco Mazzoni
@marcomazz