Una stagione difficile, piena di alti e bassi e con una monoposto, quella SF1000, che non sfreccia veloce come dovrebbe. La seconda stagione di Charles Leclerc in Ferrari tra pandemia, la separazione nel 2021 dal compagno di scuderia Vettel e il terribile suicidio delle monoposto del Cavallino, per colpa del monegasco, nel GP della Stiria non è decisamente una passeggiata di salute. Questo Mondiale 2020 però ha regalato anche due podi al più giovane pilota vincitore di un GP nella storia della Ferrari. Un’altalena di emozioni, una montagna russa continua per i tifosi di Maranello che sperano ancora in Leclerc per questi ultimi quattro appuntamenti stagionali.
A partire dal prossimo GP in Tuchia che si corrrà a Istanbul domenica prossima, 15 novembre. Ma prima di volare a Costantinopoli il giovane 23enne, per ora 5° nella Classifica Costruttori a quota 85 punti, si è raccontato senza filtri al settimanale Vanity Fair. Dalla prima auto, alla morte del papà e alla perdita dell’amico fraterno Jules Bianchi nel GP del Giappone nel 2014, fino al mito di sempre Ayrton Senna.
Papà, Bianchi e il mito Senna
“Della mia carriera non cambierei nulla ho trovato risposta per ciascun errore. E dopo averla trovata, gli errori li ho dimenticati”. Inizia così l’intervista di Leclerc che ricorda anche il papà e quel GP di Baku in Formula 2 nel 2017 corso dopo soli 3 giorni dalla sua scomparsa: “Durante la malattia di mio padre, quando sapevamo tutti che non c’era via d’uscita. Per la prima volta in vita mia, mi sono sentito impotente. Avevo in testa il suo volto e nelle prove mi piazzai al ventesimo posto. Papà, però, non era mai felice se non mi vedeva vincere. E allora mi son chiesto cosa avrebbe desiderato e la risposta è arrivata velocemente. Feci il vuoto nella mente. Arrivai in fondo per lui. Ma non ho mai pensato di non correre quella gara”.
Determinazione e zero paura, anche quando il Circus corre sotto la pioggia battente. Come le macchine in pista anche la vita di un pilota corre a folle velocità, inghiottendo dolori e gioie. Soprattutto quando ripensa a quell’incidente a Suzuka che è costata la vita all’amico fraterno e pilota della Ferrari Driver Academy, Jules Bianchi. “In macchina non ho mai avuto paura, tanto mai sotto la pioggia: il giorno che mi succederà chiuderò la carriera. E correre sul bagnato mi piace perché le variabili non sono completamente sotto controllo, ogni errore è moltiplicato. È bello sentirsi al limite“.
Una vita fuori dagli schemi, come quella di una leggenda del motorsport, il suo mito e anche quello di molti piloti, da Hamilton a Vettel: Ayrton Senna. “Sotto la pioggia andava come un fulmine scodava come nessuno. E aveva zero paura in uno sport ai tempi era pericoloso davvero. A lui intitolerei la strada in cui vivo se dovessi scegliere”.
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Le prime gare, la prima 500 “bruciata”
Nella mente di Charles c’è un ricordo indelebile: la sua prima gara. “Ero in pista per gli Internazionali di kart a Lonato del Garda. Durante le prove papà e Jules Bianchi si arrabbiarono perché non ero aggressivo. Io allora tornai in gara e mandai un avversario fuori pista, dritto nell’erba. Avevo capito. Ma avevo esagerato. Il 95% delle gare era in Italia: così ho imparato l’italiano e per anni ho parlato più la vostra lingua che la mia. Lì ho i ricordi più belli”.
Coì come indimenticabile è quella Fiat 500, la prima auto che Charles ha guidato: “Ho quasi bruciato la frizione della mia prima auto. Era una fiat 500 del ’69. Non ero abituato a fare la “doppietta” col cambio. Ora però ho una Ferrari Roma. Ma invidio tantissimo la collezione d’auto privata del principe Alberto, a lui ho donato i miei caschi per mostrargli la strada che ha fatto. Mi ha sempre sostenuto, e siamo buoni amici. Parliamo spesso di sostenibilità ambientale, perché Monaco ha progetti all’avanguardia. Ne discutiamo tra una partita e l’altra di padel, a cui giochiamo spesso. Oppure quasi oggi pomeriggio, per esempio, abbiamo una partita assieme”.