Nel blu del mare si stagliano due antiche colonne bianche della penisola del Sinis: probabilmente, una delle “cartoline” più note della Sardegna. Siamo sulla costa occidentale dell’isola, a San Giovanni di Sinis, frazione di Cabras, in provincia di Oristano. È qui che si trovano i resti dell’antica Tharros, un museo a cielo aperto che racconta la storia di questa cittadina fondata dai fenici nell’VIII secolo a.C. (vicino ad un villaggio nuragico dell’età del bronzo), successivamente conquistata da cartaginesi e romani. In seguito arrivarono barbari e Bizantini, ma la sua storia terminò bruscamente intorno all’XI secolo, quando gli abitanti, stufi delle continue incursioni saracene, decisero di abbandonarla per trasferirsi a pochi chilometri, nell’entroterra, dove fondarono l’attuale Oristano.
La prima cosa che colpisce, raggiungendo l’area archeologica, è la grande bellezza del territorio, immerso nei colori del Mediterraneo, dall’azzurro delle sue acque al verde della macchia. Un anfiteatro naturale sul mare – all’estremità della penisola del Sinis, che infilza le acque del golfo di Oristano – delimitato dalla collina di Su Murru Mannu, da quella della torre di San Giovanni e dall’istmo di San Giovanni, che lo collega a Capo San Marco. Uno di quei casi in cui una passeggiata archeologica diventa anche l’occasione di godere di scorci emozionanti e pittoreschi.
Tra le rovine si possono ammirare, in particolare, resti della dominazione fenicia, ma soprattutto di quella romana. Di quest’ultima rimane evidente l’impianto urbanistico, con le strade lastricate che seguono la classica impostazione urbanistica ortogonale, ossia suddivisa in isolati quadrangolari uniformi, attraversati da cardi e decumani. Non mancano, poi, edifici termali, ben tre, vicino al mare, tra i quali spicca quello denominato “terme di Convento Vecchio”, il cui stato di conservazione permette di apprezzarne varie parti, come lo spogliatoio, il vano di passaggio per gli ambienti riscaldati e la stanza dei bagni. E come da tradizione romana, non mancano le opere di ingegneria idrica “di servizio”, dal sistema fognario, all’acquedotto con il castellum aquae, una grande cisterna che ne raccoglieva l’acqua, che sgorgava da una fontana pubblica.
Numerosi sono anche i templi, a partire da quello che può essere considerato un po’ il simbolo del sito, il tempio tetrastilo affacciato sul mare: di lui rimangono le basi e le due suggestive colonne (ricostruite). Altri edifici di culto interessanti sono il tempio di Demetra, il tempietto K, con portico e altare con cornice a gola egizia (probabilmente sorto su un’antica costruzione punica), e il tempio a pianta di tipo semitico, delimitato in tre lati su quattro da pareti di roccia.
Per quanto riguarda le testimonianze puniche, oltre alle necropoli, il celebre tophet (edificato nei pressi del villaggio nuragico dell’età del bronzo chiamato Su Muru Mannu) è sicuramente tra i più importanti: un santuario cimiteriale dove si trovavano le urne con i resti incinerati di neonati e animali sacrificati. Sempre di epoca punica, spicca il tempio detto “delle semicolonne doriche”, una struttura in parte costituita da un’unica bancata di roccia arenaria, e in parte da grossi blocchi squadrati.