Tanto carattere, ma lo stato di forma dei giorni migliori è un ricordo. Peter Sagan perde ancora, ma la voglia matta di riprendersi la maglia verde di leader a punti rende piacevole una tappa che – nonostante 5 GPM- poteva risolversi in mero trasferimento, schiacciata tra l’arrivo di venerdì a Puy Mary e quello di domenica al Grand Colombier. Sagan mette alla frusta i compagni sul Col du Beal (salita tosta, prima di giornata), si libera di Sam Bennett (il suo vero obiettivo), ma anche di un cliente inquietante come Caleb Ewan. Ma alla fine per lui sono briciole: un quarto posto, preceduto sia da Mezgec che da Simone Consonni (in tempi di vacche magre teniamoci stretto un bel podio) nella volata di consolazione. Loro sprintano è uno già festeggia. E’ Søren Kragh Andersen, danese, 26 anni: sublima con la sua fucilata da finisseur la splendida azione tattica della squadra, il team Sunweb.
Hanno tre pallottole in canna, le usano magistralmente in un finale che prevede due GPM Côte de la Duchère e Côte de la Croix-Rousse (di fatto dei cavalcavia). Benoot è il primo a scattare, ripreso. Poi tocca all’astro nascente Hirschi, ripreso. Quindi è la volta di Andersen che fa bingo. In mezzo c’è anche lo scatto di Leonard Kamna, il tedesco della Bora, già protagonista il giorno prima in salita. E’ un compagno di squadra di Sagan, con il senno del poi la scelta di farlo andare fa sorgere qualche dubbio. Al buon Peter viene infatti a mancare una pedina chiave nel momento della verità.
In classifica generale non cambia nulla: Roglic resta in giallo, la Jumbo tiene sempre le antenne dritte e non si fa sorprendere quando Egan Bernal prova sull’ultima salitella. Perché lo ha fatto? Un messaggio psicologico al leader oppure un tentativo di chi sa di essere battuto e prova a tendere trappole in ogni dove. La risposta si avrà già domenica.
Arrivo a Lione, città legata a doppia mandata al Tour, presente 100 volte su 117 edizioni. Vi si concluse la prima tappa in assoluto, nel 1903. Partenza da Parigi, arrivo dopo 467 km: vittoria di Maurice Garin, valdaostano che già da un paio d’anni da italiano era diventato francese. Garin, che poi quel Tour lo vinse, impiegò 17 ore e 45 minuti alla media di 26 km/h. Le cronache dell’epoca lo dipinsero all’arrivo in ‘’incedibile stato di freschezza’’. La stessa cosa non si disse di Eugéne Brange, l’ultimo, che arrivò quasi 21 ore dopo.
Cenni di cronaca. Con la Bora di Sagan scatenata nel fare selezione, è difficilissimo andare in fuga. Per questo la tenacia di Stefan Kung, la cui capacità di cronoman gli permette di resistere abbastanza a lungo in testa, gli vale il premio del combattente di giornata. L’ultima volta a Lione, nel 2013, a vincere fu Matteo Trentin (oggi settimo). E’ anche per questo che la CCC del vicecampione del mondo coopera con la Bora nel tenere in mano la corsa. Poi però tutto diventa incontrollabile. Tutti quelli che scattano danno la sensazione di farcela. A parte il vincitore, quello che parte meglio è Alaphilippe, perfetto per un finale così. Fuori classifica, la Jumbo di Roglic se ne fregherebbe di andargli dietro se non fosse per il fatto che proprio in quei frangenti tenta Bernal… E Andersen ringrazia: “Non ho parole, che grandi emozioni. Ho sempre sognato di vincere, ma non sapevo sarei stato in grado di fare una cosa del genere. Credo di avere delle buone gambe. La situazione è cambiata da quando ha vinto Hirschi: ha dato la svolta. Siamo il team più giovane del Tour”.
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Ciclismo, Tour de France: Andersen, assolo capolavoro. Roglic resta in giallo
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