Marco Belinelli ha raccontato una sfilata di aneddoti e ricordi della sua lunga carriera nella NBA e non solo in una diretta Instagram sulla pagina de La giornata tipo. Un lungo colloquio, di cui riportiamo alcune delle sue principali dichiarazioni.
Inizio in Virtus. Sono sempre stato abbastanza chiuso e timido e al primo allenamento con giocatori fortissimi come quelli ero preso dalla paura di sbagliare. Durante la ruota sbaglio il lay-up nel riscaldamento e divento rosso in faccia prima delle urla di Messina: ‘Belinelli, vai a fare i piegamenti’. Allenarsi con quei campioni e un grande allenatore non era facile.
Passaggio alla Fortitudo. Mi chiamarono in tanti, ma per me era importante stare a Bologna. Inoltre Repesa è un allenatore che ha sempre lanciato i giovani. Mancinelli e Fultz avevano spazio, il coach ti dava l’opportunità di metterti in gioco. C’era anche Smodis: alla fine del primo allenamento mi hanno messo dentro il cesto dei palloni e proprio Smodis mi spingeva giù dalle scalette del Paladozza con Bagaric dall’altra parte a prendermi. La mia prima settimana alla Fortitudo è stata così, ma sono stati tantissimi gli episodi. Gli ‘sberloni’ di Repesa, quando mi vedeva scollegato in partita si avvicinava e con le sue manone mi stringeva la faccia e mi urlava di svegliarmi.
Il -44 in EuroLeague. C’era un’atmosfera bellissima, tantissimi tifosi tutti in giallo, ma io a 17 anni mi cagavo addosso.
San Antonio. Ho giocato all’inizio, poi ho fatto tante partite dentro-fuori, non è facile. Magari dopo tre partite a sedere, Popovich mi butta in campo e devi essere pronto anche se sei nervoso. Ne ho parlato anche con lui, che la prende anche a ridere. A ridosso della deadline di mercato mi passava vicino e fingeva di parlare a telefono dicendo che Belinelli non era disponibile perché era contento dei pochi minuti a San Antonio, e a me rodeva.
Hornets. Quando stavo per firmare per Charlotte, una mattina mi squilla il cellulare: – ‘Pronto?’ – ‘Ciao Belinelli sono Michael Jordan’ Ho avuto un infarto.
Semifinale nel 2006 contro Napoli. In Gara 4 vinsero loro e Morandais si mise a ballare prendendomi in giro. In gara 5 feci 34 punti, vincemmo loro, andammo in finale, e gli dissi ‘Dance now!’. Fu l’unica volta che persi le staffe in campo.
Manu. La più grande dote di Ginobili è che giocare con lui è semplicissimo. Fa tutto lui. Tu devi solo farti trovare pronto e, in modo semplice, o in modo impossibile, ti arriva la palla per fare canestro.
Europei ’99. L’altro giorno mi sono rivisto tutte le partite e il documentario di Sky sugli Europei del 99. Mi sono commosso. Per quella squadra e per quei giocatori incredibili. E forse anche perché adesso il basket mi manca moltissimo…
Baso. Una parte dei miei tiri fuori equilibrio, quelli pazzi, quelli ignoranti, li ho copiati da Basile. Per me era un modello quando giocavamo in Fortitudo
Kobe. La prima volta che giocai contro Kobe ero a Golden State. Sulla palla a 2 mi disse ‘Ciao Marco, come stai?’, in italiano… Mi vennero i brividi… A fine partita ero impacciato perché ero ancora un ragazzino, ma gli chiesi la maglia. Lui me la diede.
Futuro? Sarò free agent in estate e voglio stare in NBA, ma valuterò tutto a 360 gradi.