È il momento delle proposte per rinnovare la pallacanestro nazionale in tempi di Coronavirus. Ma probabilmente ci si dovrà guardare in giro perché anche nel resto del mondo, NBA esclusa, il problema si ripropone tale e quale e una buona idea può venire a chiunque.
Quella finora che ci ha fatto sorridere è la proposta di trasformare i club italiani in franchigie. Ma dietro l’effetto scenico della parola, non si capisce che il sistema della Lega nordamericana è quanto meno di comprensibile tra le cose da poter mettere in campo qui che non è corretto e appropriato appropriarsi di termini che non fanno parte della nostra cultura per realizzare un qualcosa che non piacerebbe a nessuno degli addetti ai lavori.
Per realizzare una franchigia si dovrebbero prendere in considerazione parametri come la posizione della città, il numero di abitanti, la grandezza dell’impianto sportivo destinato a ospitare le gare interne (anche se solo progettato), come recita la Wikipedia.
Prendere in considerazione bacini di utenza è un esercizio statistico-finanziario cui molti dirigenti cestistici sono a digiuno totale.
Per esemplificare, di due società acerrime rivali come Varese e Cantù bisognerebbe farne una sola, realizzare un palazzetto a metà strada (sono 35 appena i chilometri di strada che le separano) creando una nuova viabilità, vincendo la riottosità dei tifosi canturini che non vanno neppure a Desio, congiungendo un’area che non vale neppure un quinto della conurbazione di Los Angeles.
Ma vuoi vedere che somma affascinante di palmarès, la lunga sequenza di banner appesa nel soffitto del palazzo che verrebbe fuori, la somma di due budget risicati che servono a malapena a salvarsi dalla retrocessione e dalla precarietà, il livello di potenziali sponsor che sale con un appeal rinnovato?
Così, visto che abbiamo appena scritto una nuova puntata di fantabasket, i nostri 24 lettori di pianetabasket (sempre uno in meno del grande Alessandro Manzoni) possono avere un’idea chiara che tutte le volte che leggerete “come le franchigie NBA” si tenda a menare ancora una volta il can per l’aia.
Certo è che almeno una cosa si dovrebbe mutuare dalla Lega americana. La certezza delle coperture economiche. Perché parla parla, la qualità e la serietà di qualsiasi rinnovamento della pallacanestro al più alto livello si andrà a realizzare non potrà prescindere dal poter offrire uno spettacolo costante e competitivo durante tutta la stagione agonistica.
Basta con i presidente che a novembre, bruciati i soldi degli abbonamenti, si inventano sotterfugi di ogni tipo per arrivare a fine campionato in qualche modo.