Il numero 9 ha avuto tanti proprietari che hanno fatto la storia dell’Olimpia, anche se dopo Cesare Rubini è mancato un possessore che l’abbia detenuto a lungo. Rubini è stato il primo vero numero 9 dell’Olimpia, ancora quando ricopriva il doppio ruolo di allenatore e giocatore. Nella storia del club, Rubini ha avuto un ruolo paragonabile a quello di Adolfo Bogoncelli. Se a quest’ultimo si deve l’intuizione di aver fuso il suo club con il vecchio Borletti ideando l’allora famosa Borolimpia, Rubini è stato lo strumento tecnico con cui sul campo l’idea è stata tramutata nel più grande club della storia italiana. Bogoncelli infatti contattò Rubini per restituire al Borletti la gloria degli anni ’30 e costruire una formazione con una forte impronta triestina come aveva già tentato di fare con lo stesso Rubini con la Triestina Milano (che poi venne spostata a Como). Con Rubini al comando, l’Olimpia vinse cinque scudetti consecutivi tra il 1950 e il 1954. Le star erano il veneziano Sergio Stefanini, il triestino Romeo Romanutti e il milanese Sandro Gamba. Ma il 9 originale era stato appunto il grande Cesare Rubini.
Nel 1959 a Milano arrivò un altro giocatore strepitoso che avrebbe onorato la maglia numero 9 ovvero Paolo Vittori, ala versatile con tanti punti nelle mani che detiene assieme a Bob McAdoo il primato di società di punti segnati in una partita di Coppa dei Campioni, con 43. Con il 9 del Simmenthal, ha vinto quattro scudetti e due volte è stato capo cannoniere del campionato. Nel 1965 però se ne andò a Varese, passando in territorio nemico, perdendo l’occasione di vincere la Coppa dei Campioni del 1966. Andato via Vittori, il 9 passò sulle spalle di Duane Thoren, detto Skip, dall’università dell’Illinois. Thoren veniva da Rockford, a Illinois giocò tre stagioni come consentito all’epoca in maniera superba. In seguito, giocò nella ABA (13.2 punti e 11.0 rimbalzi di media in tre stagioni) e nel 1969 (quando vinse la classifica dei rimbalzi offensivi) fece l’All-Star Game. Dopo il college e prima di tornare in America, giocò un anno a Milano e probabilmente sarebbe stato l’MVP delle Final Four del 1966 di Coppa dei Campioni se il premio fosse esistito. Thoren segnò 21 punti in finale. Fu lui il migliore in campo contro lo Slavia Praga. Austin Robbins indossò il 9 l’anno successivo ma solo come straniero di una coppa sfortunata, persa in finale contro il Real, a Madrid.
Renzo Bariviera ha giocato a Milano in due epoche differenti, solo nella prima ha indossato la maglia numero 9: erano gli anni degli spareggi contro Varese e Barabba era un giovane saltatore emergente. Quando venne ceduto a Forlì, nel momento del ridimensionamento delle ambizioni dell’Olimpia, il 9 venne occupato da un Capitano storico, Vittorio Ferracini, che inizialmente aveva indossato il 16 e il 14 nella versione Innocenti. Nella prima stagione Cinzano, fu Ferracini a prendere il 9 mantenendolo per tutta la durata della sua permanenza a Milano.
In seguito, il 9 ha cambiato padrone tante volte: tra i giocatori che l’hanno indossato sono da segnalare Marco Mordente, Massimo Bulleri e infine il curioso caso di Nicolò Melli.
Melli aveva scelto il numero 18 a Milano, ma verso la fine della stagione 2012/13 l’Olimpia decise di ritirare la maglia che era stata di Arthur Kenney. Durante il suo viaggio, Kenney conobbe Melli e volle che continuasse a indossare il 18 per tutto il tempo che avesse voluto, anche nelle stagioni successive. Ma Melli, a fine anno, con un gesto di grande umiltà, decise di abbandonare il 18 per rispetto nei confronti del grande campione americano passando al numero 9, che era il numero della mamma Julie quando giocava a pallavolo nella nazionale statunitense.