Vittorio Gallinari, uno dei grandi prodotti della classe 1958 del vivaio Olimpia, ha giocato tutta la sua carriera con il numero 12. Era la sentinella di Dan Peterson, l’uomo per tutte le stagioni soprattutto ovviamente come difensore. Faceva parte della Banda Bassotti che colse di sorpresa la Serie A approdando in finale scudetto. Giocava da ala piccola addirittura quando Mike Sylvester andò a Pesaro e Milano schierava in quintetto lui, Vittorio Ferracini e John Gianelli. Poi arrivò Dino Meneghin e il quintetto diventò ancora più potente, con tre centri sempre in campo sia pure con caratteristiche diverse (Gianelli era un eccellente tiratore) che Gallinari sosteneva dalla panchina, cambiando tutti. Ed era un abile interprete della famosa 1-3-1 di Coach Peterson. Ingiustamente, Gallinari è famoso per una partita vinta che però non avrebbe portato nulla a fine stagione, gara 2 della finale scudetto del 1983, a San Siro contro il Bancoroma.
L’Olimpia giocava per restare viva ma il Bancoroma era padrone della partita con il suo imprendibile playmaker Larry Wright. Peterson le aveva provate tutte e non gli restò che un’ultima mossa, disperata. Affidarlo a Gallinari, mettere un 2.08 su un playmaker velocissimo di 1.85. Successe l’incredibile: Gallinari oscurò la visuale a Wright, la mossa colse di sorpresa Roma e il suo attacco si inceppò, l’inerzia della gara cambiò completamente, il Billy rimontò a vinse la partita che spedì Gallinari nella storia del basket italiano. Ironicamente, un giocatore che ha vinto con l’Olimpia quattro scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa Korac ed è stato membro della squadra del Grande Slam, deve la sua notorietà ad una finale persa. Gallinari è anche quarto di sempre per presenze in Serie A in maglia Olimpia dopo Mike D’Antoni, Vittorio Ferracini e Franco Boselli con 349.
Gallinari era dunque il numero 12 e qui la storia diventa interessante: quando il figlio Danilo debuttò in prima squadra, avrebbe voluto giocare con il suo fedele numero 8. Ma c’era un problema: Claudio Coldebella, un veterano, aveva lui l’8. Danilo così ripiegò brevemente sul numero del padre, il 12!
La storia del 12 è quindi curiosa. Ad esempio, quando Roberto Premier fu ceduto a Roma via Cantù, l’Olimpia ottenne Antonello Riva. “Nembo Kid” giocava con il 12 a Cantù e indossò quel numero anche a Milano. Nel 2013, quando l’Olimpia acquistò a metà stagione Daniel Hackett, questi avrebbe voluto il 23 che tuttavia era sulle spalle di Keith Langford. Così scelse il 12 proprio in onore di Antonello Riva, che aveva conosciuto – ed è amico di famiglia – ai tempi della sua milizia a Pesaro (a fine anno, il 23 si liberò permettendo ad Hackett di appropriarsene). Con il 12 Hackett ha vinto lo scudetto a Milano.
Un 12 indimenticato è stato Melvin Booker che ha giocato a Milano in due momenti: nel 1998/99 quando la Sony arrivò quinta e poi nell’ultima stagione della carriera nel 2007/08 (in mezzo ha giocato a Pesaro, a Istanbul e al Khimki). Nel suo ultimo anno milanese, Booker era il playmaker della squadra che con una grande rimonta arrivò alla semifinale scudetto con Siena. L’estate seguente, Giorgio Armani diventò non solo sponsor ma anche proprietario unico del club. Booker decise invece di ritirarsi e diventare l’assistente allenatore alla Moss High Point High School in Mississippi, la sua alma mater, ma soprattutto per stare vicino al figlio nato nel 1996 e già allora una promessa (adesso è la star dei Phoenix Suns nella NBA).
Infine, un altro grandissimo 12 della storia: Mason Rocca, che ha giocato a Milano quattro anni ma soprattutto ha incarnato alla perfezione lo spirito e i valori del club, ha combattuto con lealtà, senza mai arrendersi, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Nel campionato di Serie A, Rocca è il 12° rimbalzista di sempre ma il sesto rimbalzista offensivo in maglia Olimpia, un grande Capitano.