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LBA – Fortitudo Bologna, Pietro Aradori “Il problema sarà tornare sul campo”

LBA - Fortitudo Bologna, Pietro Aradori "Il problema sarà tornare sul campo"

Sulla pagina Facebook Cantieri Aperti è stato intervistato come ospite il giocatore della Fortitudo Bologna Pietro Aradori.

La raccolta fondi. “Ho deciso dieci giorni fa di fare questa raccolta per l’Ospedale Civile di Brescia, che è un ospedale all’avanguardia ma in difficoltà in questi momenti. Ho cercato di dare una mano, spargendo la voce, ricordando che è il posto dove sono nato. Il sito è gofundme.com”

Cosa fai adesso? “Devo impegnare il tempo. Mi sveglio, faccio colazione e pranzo assieme per cambiare un po’ le abitudini, cerco di informarmi su cosa stia capitando, guardo film e serie tv, mi alleno in casa: per uno che gioca a basket ci dovrebbe essere solo un modo per farlo, ovvero campo e sala pesi, ma ci sono anche tanti altri modi. Chiaro che il basket mi manca, il tiro, tutto”

La prima cosa che farai su un campo da basket? “Allenarmi, giocare, palleggiare, tirare, non lo so. “

Un rischio che abbiamo tutti è quello di uscire da questa quarantena ingrassati. “Non so cucinare, quindi non rischio questa cosa. L’unico problema è che magari, uscendo da qua, non sarò ingrassato ma invece di fare 8/10 farò 5/10”

La prima cosa che farai in generale uscendo? “Andare dal parrucchiere”

Da giocatore, quale è la percezione di quello che sta succedendo, il prima e il dopo. “Ci sono stati dei passaggi non chiari. Già eravamo in un periodo di mezzo stop perché c’era stata la pausa Coppa Italia e Nazionale, e per dire, Varese era già ferma da un po’. Noi abbiamo fatto 5 giorni di stop dopo la Coppa, non sapevamo se avremmo giocato contro Pistoia, ma dopo quella sosta eravamo sicuri di andare in trasferta a Brescia. E il sabato sera della vigilia ci fu la bozza del Governo con lo stop definitivo. C’è stato un po’ di panico, anche gli allenamenti sono stati prima rinviati e poi sospesi. Ora l’ultima comunicazione sarebbe quella del 3 aprile”

I tuoi compagni, specie gli stranieri, come l’hanno presa? “Gli americani volevano tornare a casa dalle loro famiglie, ma ora forse negli USA è anche peggio di qua. Il problema, da giocatore, è che la stagione si è fermata, e ci siamo praticamente salutati. Ci sta che non si finisca, ma per 6-7 mesi non possiamo permetterci, noi come mondo del basket, di sparire dalla stampa e dalle televisioni. Anche il basket mercato lo si può fare se c’è qualcosa da dire… Conta restare nel radar”

Quanto servirà per tornare in forma? “Se ti alleni a casa hai la possibilità di restare in forma, ma sono movimenti e muscoli diversi. Il problema sarà tornare sul campo, riprendere confidenza con la palla, la fluidità del gioco di squadra. Almeno 3 settimane serviranno, perché qui non è nemmeno come in estate, perché qui abbiamo davvero staccato del tutto”

In casa che tipo di allenamenti puoi fare? “Gambe, addominali, braccia.. mille esercizi, affondi, squat, piegamenti. Tanto il tempo c’è”

Quando hai capito che potevi diventare un giocatore di basket? “Da piccolo a Lumezzane mi divertivo, volevo mettermi in mostra, eravamo l’unica squadra a fare un campionato nazionale. Ho stretto tantissime amicizie, ho scoperto un mondo nuovo. Ma forse è stato a Imola, in A2, che ho capito che potevo fare il professionista, anche se in Italia il passaggio da giovanili a senior è burrascoso, si perdono troppi giocatori che non vengono valorizzati, e nemmeno io ero certo di farcela anche se credevo nei miei mezzi”

In Italia c’è poco posto per gli italiani. “E’ giusto che giochi chi è più forte, ma non è detto che chi venga da fuori sia sempre migliore. Guardo alla Spagna, dove si parla in spagnolo anche nei time out. All’estero non è che tutto debba esserti dovuto, io in Spagna mi sono dovuto abituare, e loro pur avendo tanti stranieri hanno una mentalità diversa. Così rischiamo di essere una lega di sviluppo per americani, e viviamo in un mondo dove un giocatore è raro che riesca a stare due anni di fila in una stessa piazza. Solo chi ha progettualità riesce a vincere, e Venezia lo dimostra.”

Il posto più bello dove sei stato? “Istanbul, anche se c’erano problemi economici. Poi Madrid, molto bello, in un Estudiantes molto rispettato. “

La Turchia? “Le squadre di Istanbul la fanno da padrona, ma anche al di fuori c’è tanta passione, e le squadre della capitale sono tifate anche al di fuori della città”

Bologna è il Nirvana del basket. “E’ chiamata Basket City appunto per questo. Difficile riportarla ai livelli degli anni 90 ma ci si sta provando. Il calcio è seguito, ma si vive di basket, qua. E io mi ero già diplomato in un liceo di Bologna quando giocavo a Imola”

Il pubblico Fortitudo riesce a dare un passo in più, a porte chiuse non sarebbe la stessa cosa. “Vale per tutte le squadre, perché anche Pistoia, Varese, in casa hanno la loro forza. Ma se dovessimo giocare a porte chiuse vorrebbe dire che nel mondo c’è un problema, che la direzione è quella del non praticare sport. Chiaro che il basket manca, ma una partita, una sola partita a porte chiuse per motivi disciplinari ci può stare. Ma tante sarebbe impossibile, specie visto quello che succede al di fuori”

La partita che ricordi con più gioia? “La mia prima partita in serie A facendo la differenza fu un derby al Forum tra Milano e Varese, facendo 15 venendo dal nulla, dalla panchina. O un altro derby, stavolta con Cantù contro Milano, sempre al Forum. Poi la Supercoppa vinta a Torino con Reggio Emilia, non fu una mia gran gara memorabile ma fu una grande vittoria”

Il compagno con cui ti senti di più? “A parte i miei amici di Brescia, mi sento spesso con Mancinelli e Fantinelli”

Un ricordo dell’annata a Milano? “Ero giovane, la società era partita con Markovski e dopo poco arrivò Caja cambiando tutta la squadra, Armani era solo sponsor e la dirigenza era Corbelli-Natali. Mi innamorai della città, ho preso casa, ma era una situazione molto diversa da adesso, facevamo una Eurolega ancora meritocratica, io non lasciai il segno come avrei voluto, ma non puoi fare la differenza a 18 anni.”

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