Carlo Recalcati, allenatore del primo scudetto della Fortitudo Bologna ed ex commissario tecnico della Nazionale azzurra, è stato ospite dell’ottava puntata di “Effe trasmetto per te” su Radio 108. Ecco le sue considerazioni sulla Effe.
Doppio battesimo. Ho tenuto a battesimo la Effe per la prima partita in Serie A. Era il 1966: Fortitudo Bologna-Cantù. Questa da neopromossa è stata una stagione più che positiva, la squadra ha trovato subito la sua dimensione. Grazie a tanti giocatori di esperienza: il che aiuta anche se spesso l’età avanzata può diventare un’arma a doppio taglio. In certi momenti questo aspetto ha rallentato i ritmi. Ma facendo una valutazione complessiva si può dire che è stata positiva. Ha giocato la F8 di Coppa Italia, si è imposta con una pallacanestro bella da vedere, ha fatto esordire in Serie A Antimo Martino uno dei migliori allenatori del nostro campionato.”
La mia Fortitudo. Quando arrivai a Bologna, venivo dallo scudetto con Varese. Trovai una squadra molto più forte, ma condizionata da una cappa di negatività, pressione e finali perse. Ebbi il vantaggio di arrivare dopo una stagione esaltante in cui avevo vinto. Carlton Myers, in una delle prime riunioni, spronò i compagni a seguirmi perché avevo vinto con Varese.
Treviso in finale. Questo aiutò un po’all’inizio, ma poi tutto ripiombò nello sconforto dopo la sconfitta in casa con Treviso in finale. Anche io ero convinto di vincere quella partita. Avevamo giocato una stagione da protagonisti. Perdere quella partita fu come sentire il peso del passato e anche a me sfiorò l’idea che potesse essere un altro anno come i precedenti. Alla fine della partita feci la conferenza stampa e poi risalii in campo al PalaDozza e la cosa che mi meravigliò è che era ancora pieno di tifosi, tutti disperati. Loro pensavano al peggio anche per quella stagione. Allora capii che non potevo farmi vedere insicuro. Parlai con tutti e li rassicurai e che avremmo sicuramente vinto a Treviso.
La squadra in riscatto. La stessa cosa la feci in spogliatoio con la squadra. Noi potevamo ritenerci un gruppo contento, felice e ricco di valori. L’unico che doveva essere preoccupato era Marko Jaric perché aveva i genitori a Belgrado sotto bombardmento. Ebbi una risposta ultra positiva da tutta la squadra. Subimmo l’infortunio di Karnisovas prima della finale, quindi ci venne a mancare l’ala piccola di ruolo. Cercai di sopperire con l’utilizzo di tre guardie (Myers, Basile, Pilutti e anche Jaric). In gara1 non diede i suoi frutti, ma poi a Treviso feci una squadra più alta con Galanda e Fucka e fu la svolta.
Marko Jaric. Il mio primo impatto con Jaric fu telefonico. In estate stavamo trattando l’israeliano Oded Kattash ma quando Marko mi chiamò da Los Angeles, mi disse che aveva piacere di venire a Bologna e che sarebbe diventato il miglior playmaker europeo. Dopo quella chiamata mi aveva proprio convinto. Non era certo uno che millantava, rivedemmo i nostri piani e lo prendemmo.
Carlton Myers. Il ruolo di Myers fu importante perché quell’anno fece veramente il capitano. Ha speso tanto tempo nel parlare con Jaric nei momenti più difficili. Non ho mai visto Carlton arrivare mezz’ora prima degli allenamenti per parlare con i suoi compagni. Myers nella gestione di Jaric mi ha dato una grandissima mano.
Coreografia Effe. Noi eravamo del tutto all’oscuro della coreografia. Avevamo capito che qualcosa bolliva, ma quando arrivammo al giorno della partita ci stupimmo tutti. Ho vissuto tanti derby, mai nessuno cittadino. Ed è stata una atmosfera incredibile. Ma ricordo che non subii il contrasto dei tifosi avversari. Mi capitava spesso di incrociarli per strada, mi hanno sempre rispettato. L’unico episodio “avverso” con i tifosi Virtus fu quando una vigilessa mi fece la multa perché non stavo indossando la cintura di sicurezza e poi mi disse di essere una tifosa bianconera.