E’ attualmente l’allenatore più longevo della serie A: dieci anni con la stessa squadra, e undici con la prossima stagione. Come si fa lo chiede Michele Contessa per La Nuova a Eugenio Dalmasson, coach dell’Allianz Trieste.
Continuità. Scelte condivise con la società e obiettivi e stimoli chiari all’inizio di ogni stagione. È meno difficile di quanto possa sembrare. In questi anni a Trieste abbiamo vissuto situazioni sempre diverse, partendo dal basso e salendo fino in serie A.
Negli ultimi ventisei anni ho cambiato solo cinque società, a parte il biennio di Vigevano, sono stato per cinque stagioni prima a vicenza e poi a Lumezzane, quattro alla Reyer.
Esordi. La mia storia, agli esordi, è un po’singolare. Oltre a giocare, ho iniziato anche a fare l’istruttore di educazione fisica a scuola. Un giorno un mio amico mi chiese se potevo sostituirlo qualche volta negli allenamenti al Basket Gazzera.
Alla fine della stagione, il presidente Rampazzo mi iscrisse al corso di allenatori di base a Favaro. Poi mi diede da allenare il gruppo Propaganda, e un giorno, dopo una partita contro il Mestre, mi avvicino Celada. E andai a Mestre.
Federico Casarin. Ci conosciamo da quando io ero un giovane allenatore agli esordi col Mestre e lui un ragazzo di ottime prospettive come giocatore. Un rapporto consolidato nel tempo, che va al di là del confronto fra dirigente e tecnico.
Quattro anni alla Reyer. Quattro anni straordinari. Ricordo il primo incontro a Marghera, nello studio dell’avvocato Alessio Vianello, con Federico e Luigi Brugnaro al quale il sindaco Cacciari aveva chiesto di dare una mano nel absket.
Ero contento di essere stato chiamato per rilanciare la Reyer: c’era una squadra da costruire con solo Marini e Guerrasio in avvio, un settore giovanile da mettere in piedi dalle fondamenta, un presidente avanti anni luce come idee e come obiettivi.
Ci aspettava un gran bel lavoro, ma se vedo adesso dove è arrivata la Reyer, non posso che essere orgoglioso di aver fatto parte del gruppo iniziale, oltre che aver riportato Venezia in Lega Due nel 2008 e aver regalato al club il primo trofeo come la Winter Cup nel 2007.
Il passaggio alla femminile è stato meno traumatico di quanto si possa immaginare. È stata un’esperienza molto utile, produttiva, anche perché allenare un gruppo di ragazze non è lo stesso che allenare i maschi, servono attenzioni particolari. È un’esperienza che mi sono portato dietro anche a Trieste.