Per fare un salto nel passato basta leggere le cronache politiche del basket attuale: si torna indietro di venti anni. Riportano gli stessi obiettivi di quando questo millennio era agli albori: visibilità in tv, palasport più comodi, ricerca di sponsor.
E’ quel famoso progetto che da leggendario col tempo si è trasformato in mitico: per crederlo possibile ormai non resta che la fede. Rispetto a due decenni fa le società hanno introdotto una novità epocale: la commissione per scegliere il presidente a cui affidarsi.
Si tratti di un tocco di modernità o solo della confusione che regna, è stata allestita una task force di tre club per individuare una figura che conosca lo sport e la materia televisiva e, magari, abbia una statura internazionale.
Dall’identikit, una via di mezzo tra Superman e Bertomeu: si può tentare col primo, l’altro è già impegnato con l’Eurolega. Prossima tappa: una commissione per formare una commissione.
Davanti all’evoluzione della loro specie, i dirigenti che in passato portarono il basket ai massimi livelli si indignerebbero. Oltre a essere tosti, loro sapevano dove andare: dopo confronti accesi, una soluzione unitaria la trovavano.
Ora, invece, più che discutere ci si fa i dispetti: se uno dice bianco, l’altro risponde nero. Poi si racconta che il basket italiano è sano, dimenticando che un campionato a 17 squadre è zoppo.
O che non deve guardare gli altri sport, quando un Ct e un presidente onorario dichiarano che il volley lavora meglio (non a caso, da anni si segue invano chi lo fa funzionare).
O che il pubblico è in aumento, fingendo che non sia merito di un torneo allargato e del ritorno di grandi piazze. O che epr avere ascolti migliori bisogna andare sui principali canali Rai, nonostante Virtus-Milano in una domenica senza calcio abbia fatto cifre non all’altezza delle aspettative.
Oppure che non è colpa dei Club se la Nazionale non dovesse andare ai Giochi: come se i giocatori Sacchetti li prendesse da Marte!