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Coronavirus. L'inquinamento gioca un ruolo negativo

Coronavirus. L'inquinamento gioca un ruolo negativo

Un articolo del New York Post va a confermare analisi sulla diffusione del Coronavirus che sono state fatte in Italia nei mesi precedenti mettendo l’epidemia in correlazione con l’inquinamento atmosferico, e in aprticolare le polveri sottili.

I pazienti affetti da coronavirus in aree che presentavano livelli elevati di inquinamento atmosferico prima della pandemia – si legge – hanno maggiori probabilità di morire a causa dell’infezione rispetto ai pazienti in parti più pulite del paese, secondo un nuovo studio nazionale che offre il primo chiaro legame tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento e tassi di mortalità Covid-19.

In un’analisi di 3.080 contee negli Stati Uniti, i ricercatori dell’Università di Harvard T.H. Chan School of Public Health ha scoperto che livelli più elevati di particelle minuscole e pericolose nell’aria, note come PM 2.5, erano associate a tassi di mortalità più elevati causati dalla malattia.

Tre settimane fa, in una intervista all’ AGI, la fisica Antonietta Gatti, tra i maggiori esperti di tossicità delle nanoparticelle a livello internazionale, aveva dichiarato: “È stato detto che molte persone per lo più anziane (la media è 80 anni) sono morte non di coronavirus ma con il virus. Persone già debilitate, cioè con patologie anche innescate da inquinamento ambientale, non disponevano più di un sistema immunitario efficiente. Ricordo che al momento non ci sono medici capaci di diagnosticare una patologia da polveri. In un progetto Europeo (DIPNA) di nanotossicologia, noi abbiamo già dimostrato che cellule attaccate da nanopolveri non hanno più un sistema di difesa capace di reagire”.

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